08 maggio 2001

Intervista a Pietro Consagra

 
Incontro con Pietro Consagra scultore tra i più innovativi del linguaggio artistico del Novecento...

di

“Mi sono sentito fortunato a entrare nella scultura in marmo con tutta la variabilità del colore che gli altri scartano come disturbo all’unità plastica”. Quasi un manifesto della propria idea dell’arte, quest’affermazione dello scultore siciliano Pietro Consagra si trova tra le
righe della sua autobiografia, “Vita mia”. Il Maestro, che ha festeggiato i suoi ottanta anni, traccia adesso il bilancio di una vita intensa, caratterizzata da grandi avventure e battaglie condotte in nome dell’arte,
e soprattutto dall’incessante desiderio di dar vita alle sue sculture, con la viva consapevolezza di opporsi con determinazione a quella tradizione accademica ormai svuotata di senso e di relazioni con la contemporaneità.
La relazione con la storia, con il vero spirito del tempo, è d’altronde una necessità per Pietro Consagra, recentemente insignito della medaglia d’oro
come Benemerito della Cultura e dell’Arte dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. L’artista, nato a Mazara del Vallo nel 1920, è fondatore nel 1947-insieme con Ugo Attardi, Pietro Dorazio, Achille Perilli, Giulio Turcato e i siciliani Carla Accardi e Antonio Sanfilippo-
del movimento “Forma 1”, in cui veniva teorizzata la lezione dell’astrattismo, appresa grazie ad un viaggio parigino organizzato dalla gioventù comunista. “Trovammo lì -ricorda Consagra- la chiave che cercavamo”. E la chiave significava aver conosciuto artisti come Brancusi,
Pevsner (che lo ricevette in casa dato che nessuno poteva entrare nel suo studio), Arp, aver osservato i lavori in ferro di Julio Gonzales, sbirciato nello studio di Picasso, compiuto un giro nelle maggiori gallerie d’arte
che riaprivano dopo la guerra, concludendo il soggiorno con una significativa visita all’atelier di Giacometti. Al ritorno del viaggio, in quello “stanzino” che lo scultore condivideva con Renato Guttuso in via Margutta, nascono le sculture astratte di Consagra, caratterizzate da questo momento in poi dalla ricerca della frontalità, ‘innovativa e rivoluzionaria riduzione ad unico punto di vista per la scultura. Strutture metalliche di spessore che varia da perecchi metri a un millimetro, blocchi di legno, marmi, sculture monumentali o leggere come l’aria, preziosissimi
gioielli, e ancora le serie dei Colloqui, i Piani sospesi, i Piani appesi, i Ferri trasparenti, gli Addossati, le Sottilissime, fino a giungere all’idea della Città frontale, che qui in Sicilia divenne la straordinaria
scenografia dell’Oedipus Rex , nel 1988, a Gibellina, con quarantotto sagome disposte su tre livelli. Artista che si divide tra azione e pensiero, pubblicando saggi e riflessioni, Consagra è adesso protagonista
come ospite d’onore della Biennale di scultura del Cairo, (fino al 15 maggio, a cura di Gabriella di Milia) e della personale che a Milano gli dedica fino al 2 giugno la galleria Fonte d’Abisso, mentre la grande antologica che si sarebbe dovuta tenere a Marsala, all’ex Convento del
Carmine, è naufragata a causa di un improvviso taglio del bilancio, pur essendo già stata deliberata. Un vero peccato, a distanza di quasi trent’anni dall’ultima antologica, a Palermo, dedicata al maestro siciliano. Abbiamo raggiunto Pietro Consagra, che risiede a Milano, per una riflessione sul suo impegno d’artista.

Maestro, tra le sue opere realizzate in Sicilia ci sono la grande scultura che ha dato l’avvio alla Fiumara d’Arte, “La materia poteva non esserci”, la Stella di Gibellina e sempre qui l’edificio Meeting . Quali sono i suoi ricordi legati a queste esperienze?
Il quel terribile stato di necessità provocato dal terremoto gli artisti a Gibellina hanno voluto affermare il diritto di fantasticare. L’esperienza di Gibellina ha attratto prima me, poi Burri e molti altri. Ho visto che
ora la mia Stella del Belice è riprodotta nei dépliants turistici di Trapani. Forse è considerata come l’unico simbolo di modernità della regione.Putroppo è in atto un degrado inquietante che va combattuto. Il Meeting e gli Oracoli di Tebe di fronte al palazzo del comune sono presi
dalla ruggine. I due grandi elementi addossati la “Materia poteva non esserci” hanno una dimensione meravigliosa. Ripetono il miracolo del colloquio tra una scultura e l’ambiente circostante, sconfinato in questo caso, e a cielo aperto. Il risultato è stato più affascinante di quanto potessi immaginare. L’opera, che è alta 18 metri, meno quindi della Stella, ha retto magnificamente il confronto con le montagne”.

Tra i progetti non ancora realizzati in Sicilia ne ha da tempo ideato uno per la facciata del palazzo comunale di Mazara del Vallo…
“Quando ho visto l’insopportabile edificio del nuovo Palazzo Comunale, costruito in tempo record nella più bella piazza settecentesca di Mazara del Vallo, mi sembra fosse nel 1983, mi indignai per l’incoscienza dell’amministrazione cittadina. Poi, ripartito per Roma, non ruscivo a disinteressarmi a quel guaio, non me la sentivo di arrendermi, di cedere all’irreparabile. Infine mi venne l’idea di progettare una facciata, traforata da sculture-finestre, da sovrapporre a quella mostruosità. E’
vero, sono passati quasi vent’anni da quel primo progetto di facciata per Mazara…tempo fa l’ho ancora elaborato e l’ho esposto nella mia mostra personale Darmstadt, nel 1997. In quella occasione, il direttore del museo
tedesco ha fatto realizzare al vero due piani alti 11 metri. Non so a Mazara si stia per realizzare la facciata. L’alien è ancora ben in vista.
Un anno fa, l’attuale sindaco mi ha chiesto un nuovo preventivo, ma poi non ho vauto notizie.

RitrattoQuesta sua opera, se verrà realizzata, rimarrà comunque una scultura. Perché lei dice che non potrebbe eseguirla nessun architetto?
La mia visione frontale oltre ad aggiungersi nel panorama della scultura, ha rotto il vincolo della barriera professionale, per suggerire un linguaggio rinnovato anche in altri campi dell’arte. Dal momento che criticavo
l’architettura contemporanea, ho pensato di dovermi mettere all’opera come architetto. Al ritorno dagli Stati Uniti, nel 1968, ho scritto il libro “La città frontale”, in cui esprimevo la mia ribellione contro l’archiettura di
allora che rispondeva soltanto a necessità funzionali. capendo che l’architettura da sé non esprimeva più una coscienza plastica, progettai gli Edifici Frontali, perché da scultore avavo mantenuto la libertà di formulare immagini plastiche e di spostare la mia esperienza in tutti i lati della creatività. Nacquero così, nel 1968, quei miei edifici che si delineano con piani curvi continui, e che contrastando l’abuso razionalista
dell’angolo retto, privilegiano la comunicazione estetica.

Cosa rappresenta la città per uno scultore?
Noi abbiamo bisogno della città perché vogliamo stare con gli altri, non disperderci e isolarci. Dobbiamo concentrare tutta la nostra attenzione per proteggere la città e l’arte è un esempio, un aiuto, un obiettivo, un modo di vivere”. Proprio qualche giorno fa un critico d’arte ha definito il Meeting di Gibellina “un edificio trasparente fatto di sole linee ondulate, quasi un’anticipazione a “stiacciato” del Guggenheim di Bilbao.

Lei crede ancora nella necessità della fuga dall’Isola per riuscire a realizzare la propria opera?
In Sicilia non sento un’atmosfera reattiva. Mi piacerebbe che Palermo diventasse una città vitale, in cui ogni proposta nuova ha risonanza.

Quale opera le piacerebbe poter realizzare in Sicilia?
Ho già realizzato in Sicilia sculture molto importanti. Non troppo tempo fa, nel 1998, ho creato per il parco del Palazzo d’Orlean, un grande “Controluce euforico” in bronzo. Credo che la Faccaita di Mazara, il cui
progetto è stato ammirato in tante esposizioni costituirebbe un evento internazionale, oltre ad essere un intervento stimolante ed esemplare di una ecologia non distruttiva.

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Paola Nicita

[exibart]

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