26 agosto 2005

exibinterviste – la giovane arte Alessandro Dal Pont

 
L’arte come operazione umanistica. Posizione che, ancora oggi, disorienta. Quattro chiacchiere con Alessandro Dal Pont: la formazione, gli incontri, l’insofferenza per il conformismo. E uno studio tutto nuovo all’orizzonte…

di

Artista da sempre?
Sì. Già da molto piccolo avevo sviluppato una certa attitudine verso le materie artistiche e in particolare verso il disegno.

La primissima soddisfazione?
A sette anni ho vinto il primo premio ad un concorso di disegno per le scuole, da qualche parte devo avere ancora la rassegna stampa di tutti i premi vinti alle elementari! Quella dell’arte è stata comunque una scelta consapevole, maturata nel tempo.

La tua formazione?
Conseguita la maturità scientifica mi sono trasferito da Belluno a Milano. Gli anni di studio a Brera nell’aula di Luciano Fabro sono stati anni decisivi. In quell’aula ho conosciuto anche alcune delle persone che in seguito, ad accademia terminata, si sarebbero rivelate amicizie importanti con cui condividere anni intensi: Gianni Caravaggio, Irene Crocco, Caterina Aicardi e Satoshi Hirose.

Ti riferisci a un’esperienza in particolare?
Mi riferisco in particolare a “Microbo Erotico”, luogo milanese d’arte contemporanea no-profit che alla fine degli anni Novanta si proponeva di correlare, come una vera projectroom, attività di laboratorio ad attività espositiva. Nel 2002, frequentando il Corso Superiore d’Arti Visive della Fondazione Ratti di Como, ho avuto l’opportunità di conoscere Giulio Paolini e di confrontarmi con altri giovani artisti della mia generazione.

Come definiresti il tuo lavoro?
Un’operazione umanistica, un tentativo cioè di offrire luoghi di incontro e di confronto tra diverse forme culturali. Nel mio lavoro è sempre molto evidente questa attitudine, questa necessità di mettere assieme elementi di matrice molto diversa e a volte contraddittori. Cerco l’invenzione linguistica che definisca la qualità di quegli incontri.

Influenze. Quali gli artisti che hai amato?
Molti. Tra quelli fondamentali per la mia formazione citerei de Chirico, Fontana, Manzoni, Boetti, Fabro, Adriano Trovato, Lichtenstein, Steinback, Rehberger, Gonzalez-Torres, Orozco e Tom Friedman. Ma apprezzo molto anche il lavoro di Kippenberger, Koons, Gober, Hirst, Marc Quinn, Cattelan e Pipilotti Rist.

Un tuo pregio ed un tuo difetto in ambito lavorativo?
Come pregio direi la capacità di rimettersi umilmente in discussione, soprattutto per quanto riguarda il lavoro. Non sono mai completamente soddisfatto e dopo aver concluso una cosa, quasi subito la relativizzo e ne cerco i punti deboli per non rischiare di ripetere gli stessi errori la volta successiva. Come difetto direi la maniacalità, l’ossessione per la perfezione. Ma forse non è un difetto.

E nella vita?
Sono una persona corretta. Un difetto è che mi piace fidarmi delle persone.

Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Ce n’è più di una, per fortuna. Ognuna delle quali ha un ruolo importante e difficilmente sostituibile. Ma ne cito una per tutte, sperando che le altre non si offendano: mia zia Antonia!

Come vivi il rapporto con i tuoi galleristi?
Molto bene. Ad alcuni in particolare come Lino Baldini, Alberto Peola e Cesare Manzo sono molto riconoscente, perché hanno fatto e stanno facendo molto per promuovere il mio lavoro. Presto inizierò a collaborare anche con un giovane gallerista milanese, Davide Stroppa di Pianissimo, dove ho in programma una personale prima della fine dell’anno.

Chi ha interpretato meglio quello che fai?
Non sempre sono pienamente soddisfatto di come viene letto un mio lavoro (ma anche quello di altri artisti), anche se questo è normale e per certi aspetti inevitabile. A volte la responsabilità è stata mia, perché non ho fornito sufficienti indicazioni di lettura. E un’opera non sempre è un libro aperto. Finora il testo critico più approfondito è quello che ha scritto Luigi Fassi per la mia personale torinese da Alberto Peola.

Che rapporto hai con i critici e con la stampa?
I miei rapporti con alcuni giovani critici con cui ho già collaborato sono molto buoni anche se alcuni si sono defilati, mentre altri critici più maturi non hanno ancora preso seriamente in considerazione il mio lavoro. Spesso critici e curatori italiani, anziché fidarsi delle proprie sensazioni e della propria esperienza, nel valutare la qualità di un artista si affidano – come direbbe Pier Luigi Sacco – alle “cascate informative”, ovvero al surplus di “chiacchera” intorno ad un artista.

Facce nuove, male antico: il conformismo…
Sì, mi sembra che si abbia paura di uscire dal coro. Che si preferisca prendere pochi rischi.

E il luogo in cui lavori? Parlaci del tuo studio…
Il mio studio sarà grande e luminoso! Per il momento mi accontento di una semplice stanza con un letto, un tavolo e un computer. Non penso comunque sia così importante avere lo studio in un posto fisso, io per comodità cerco ogni volta uno spazio con caratteristiche diverse a seconda del lavoro che devo realizzare. Se invece per studio intendiamo il luogo dove vengono a farti visita le idee… questo luogo potrebbe trovarsi ovunque.

La città in cui si vive influisce con la produzione di un giovane artista?
Naturalmente sì. In questo senso Milano (oltre a Torino) è senza dubbio l’unica città in Italia nella quale potersi confrontare e crescere artisticamente.

Quale la tua mostra migliore?
Sicuramente La Scoperta dell’America, da Peola a Torino, perché mi sembra di essere riuscito per la prima volta a concentrare in un unico luogo un po’ tutti gli elementi, formali e concettuali, della mia ricerca. Una mostra che funziona, quindi, anche come paradigma dell’intero mio modo di lavorare.

Quali gli artisti che potrebbero farcela, a livello internazionale?
Pur non rientrando tutti nella sfera del mio gusto personale, secondo me potrebbero farcela, per certe loro qualità, Pietro Roccasalva, Diego Perrone, Roberto Ago, Lucia Uni, Francesco Gennari e Rä di Martino. Ma non escluderei che nomi più blasonati ce la possano ugualmente fare, nonostante non mi pare abbiano prodotto finora un lavoro così forte e profondo da imporsi a livello internazionale. In molti sono sopravvalutati, soprattutto a Milano.

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la rubrica ‘exibinterviste’ è a cura di pericle guaglianone

bio: Alessandro Dal Pont è nato a Feltre (BL) nel 1972. Vive tra Milano e Belluno. Si diploma nel 1995 con Luciano Fabro all’Accademia di Belle Arti di Brera. Nel 1999 è tra i fondatori di Microbo Erotico Projectroom, luogo d’arte contemporanea no-profit nato a Milano dalla collaborazione tra artisti e critici. Nel 2002 frequenta il Corso Superiore di Arte Visiva della Fondazione A. Ratti di Como, Visiting Professor Giulio Paolini, a cura di A. Vettese e G. Di Pietrantonio. Mostre personali: La Scoperta dell’America, a cura di L. Fassi, Alberto Peola Arte Contemporanea, Torino (2005); Poco dopo…, Placentia Arte, Piacenza (2004). Principali mostre collettive: (S)(O) (F)(A)(R), new italian art, a cura di R. Guidobono, Seven Seven contemporary art, London (2005); Europa in venti giorni, a cura di L. Fassi, Galleria d’Arte Cesare Manzo, Pescara (2004); XIV Quadriennale di Roma – Anteprima Torino, invitato da L. Beatrice, Palazzo Promotrice Belle Arti, Torino (cat.)(2004); AEREA, il vuoto come forma, (con L. Trevisani) a cura di D. Lotta, galleria Plastica, Bologna (2003); Tracce di un seminario, 24 artisti del Corso Superiore di Arte Visiva della Fondazione Ratti di Como, Visiting Professor Giulio Paolini, a cura di A. Vettese e G. Di Pietrantonio, Viafarini, Milano (cat.)(2003); Italianamente, a cura di C. Corbetta, UKS Galleri, Oslo, Norway (2003); Periscopio 2002, a cura di P.Campiglio, A. Madesani e F. Tedeschi, Galleria Gruppo Credito Valtellinese, Refettorio delle Stelline, Milano (cat.)(2002); Via libera, Corso Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como, Visiting Professor Giulio Paolini, a cura di A. Vettese e G. Di Pietrantonio, Como (cat.)(2002); Per una mobilità fenomenologica della forma, a cura di A. Bellini, nell’ambito di Tre Artisti in barca (per tacer del cane), rassegna a cura di L. Beatrice, galleria Pio Monti, Roma (cat.)(2002); Understatement, stato di calma apparente, a cura di M. Arfiero, Openspace, Milano (cat.)(2002); Trading Spirit, TENT Centrum Beeldende Kunst, Rotterdam, Holland (2001); Più vasto del misurato 2000, Daunbacino, luoghi dell’arte contemporanea, rassegna a cura di L. Laria, Link Associazione Culturale, Sassari (cat.)(2000); Più vasto del misurato, a cura di R. Borghi, G. Caravaggio e I. Crocco, Microbo Erotico Projectroom, Milano (1999); Destinazione ideale, Villa S. Carlo Borromeo, Senago – MI (cat.)(1999).

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