07 aprile 2009

pre[ss]ivew_anniversari Casabella

 
La principale rivista di architettura italiana ha compiuto ottant’anni. “Casabella”, dalla sua nascita a oggi, è stata lo specchio non solo delle tendenze e delle novità nel campo dell’architettura e del design. Soprattutto, è stata il ritratto della società. Senza dimenticare il merito d’un nome tanto semplice quanto diretto...

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Se s’immagina che la storia di una rivista di architettura possa parlare solo di edifici o luoghi, ci si sbaglia grossolanamente. La storia di “Casabella” è una storia di persone, che si sono succedute negli anni, per darle vita, arricchirla e mantenerla sempre attuale. Questo dimostra che una rivista è un organismo vivente, in cui le vicende dei direttori s’intrecciano con la storia, e che – oltre a trasmettere informazione – riesce a creare un contatto con chi quella rivista semplicemente la sfoglia. Per provare a raccontare l’affascinante storia di “Casabella”, possiamo dunque immaginarla così: un’ottuagenaria signora che ha avuto tanti figli quanti direttori.
Nata nel lontano 1928 grazie a Guido Marangoni, il suo nome di battesimo era “La Casa Bella” e ai tempi dettava le regole del buon gusto su come arredare una casa per la nascente borghesia italiana. Nel 1933 cambia nome, diventando “Casabella”, e indirizzo, quando Giuseppe Pagano ne assume la direzione. Pagano, il più illustre dei figli, si rivolge per la prima volta a un pubblico specifico: i primi laureati in architettura, mantenendo sempre come obiettivi primari educare e informare.
Gli anni ’30 in Italia corrispondono al regime fascista e Pagano, nonostante fosse fedele al partito, porta avanti idee legate al movimento moderno e invise al regime. Nel 1943, per queste ragioni, il Ministero della cultura Popolare chiude la rivista e Pagano si schiera al fianco della Resistenza, diventa un combattente ed è deportato nel campo di Mathausen, dove muore nel 1945. La copertina italiana del #774 di Casabella, febbraio 2009Ma persino in prigionia uno dei suoi ultimi pensieri va alla “madre” che aveva tanto amato: “Avevo tanti sogni, tanti progetti e tante speranze quasi certe. Finito! A voi continuare bene e meglio”. Lascia così ai direttori futuri un testamento morale e un compito ben preciso, che ognuno dei successori interpreterà in maniera personale.
Nel 1946, con la riapertura della rivista, esce un numero monografico dedicato a Pagano, curato da nomi di amici illustri quali Albini e Palanti, che per primi colgono l’impegno di diffondere l’ultimo messaggio del direttore. Le uscite regolari riprenderanno però solo con gli anni della ricostruzione nel 1954, con cadenza bimestrale.
Figlio di quegli anni è un altro direttore d’eccezione: Ernesto Nathan Rogers che, come il suo predecessore, non riesce a tenere separati impegno sociale e architettura. Rogers dirige la rivista fino al 1965, cambiando la testata in “Casabella-Continuità”, per sottolineare il legame con il passato, anche se si trova in tutt’altro contesto. Nei primi anni ‘60 le città crescono velocemente, crescono la speculazione e i quartieri di edilizia popolare, e Rogers si schiera apertamente a favore della pianificazione urbana e delle preesistenze storiche.
Gli anni successivi sono frenetici come il ricco clima culturale e i nascenti movimenti; si assiste così a un frequente cambio di direzione: dal 1965 al 1970 Gian Antonio Bernasconi, che riporta il nome a “Casabella”; dal 1970 al 1976 è il momento di Mendini, della sperimentazione e della ricerca che si spinge in territori inesplorati, fino a raggiungere il nascente campo delle arti visive. Assieme a Mendini, “Casabella”comunica con un nuovo linguaggio, cerca nuove forme espressive e diventa per la prima volta multidisciplinare.
Dal 1977 al 1981 Tomás Maldonado – poliedrico artista, progettista e docente alla Scuola di Ulm – tenta di far dialogare più discipline, introducendo storici, filosofi e sociologi, e allargando ulteriormente il campo e i temi di discussione. Dal 1981 al 1996 Vittorio Gregotti, con un presente completamente cambiato, cerca di riportare l’attenzione semplicemente sull’architettura, sull’informazione e sull’aggiornamento.
Ma la storia non si ferma, prosegue e diventa presente. Francesco Dal CoL’ultimogenito di una lunga stirpe di direttori è Francesco Dal Co, che dal 1996 a oggi si è impegnato a portare avanti la rivista, lasciando come i suoi predecessori un’impronta tutta personale: “Nei segni della curiosità e dell’apertura, nella ricerca del rigore e nel rispetto della storia, dell’informazione e dell’intelligenza dei lettori”. Ed è proprio osservando questi punti che Francesco Dal Co ha svolto un compito importante, quello di organizzare i festeggiamenti di “Casabella”con un anno d’iniziative culturali intitolato Che cosa ho imparato dall’architettura. Perché è proprio questo che ha fatto “Casabella”in tanti anni di attività: ha insegnato, non solo a livello informativo, a conoscere l’architettura, ma soprattutto a capirla. L’insegnamento che ha appreso Dal Co è stato “che l’esercizio del senso di responsabilità comporta un esercizio parallelo e continuo della pazienza e della sprezzatura”, come ha raccontato il direttore a “Exibart”.
Con la stessa responsabilità è scaturita la scelta editoriale di ripubblicare, in occasione dell’ottantesimo anniversario, il numero 195/198 del 1946, che riportava la lettera scritta a mano da Pagano a Mathausen. Un monito che ha dato origine a un sorta di eredità morale che accomuna tutti i direttori di “Casabella”.
Perché è così che l’anziana signora ha educato i suoi figli, seppur tutti diversi e con doti particolari, a divulgare l’informazione e a rivolgersi, come scrisse Pagano, “alla gente che non vende la propria coscienza e che lavora e sogna e opera ‘come ditta dentro’”.
Ma, come si diceva, la storia non si ferma. L’augurio che lascia Francesco Dal Co alla rivista è “di venir letta da un numero crescente di persone; probabilmente abituate a usare lingue diverse dall’italiano, dall’inglese e dal giapponese”.

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valia barriello

la rubrica pre[ss]view è diretta da marco enrico giacomelli


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 56. Te l’eri perso? Abbonati!

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