03 marzo 2014

La lavagna Della Consulta di Roma e della necessità di un impegno dell’arte fuori da sé

 
Della Consulta di Roma e della necessità di un impegno dell’arte fuori da sé

di Raffaele Gavarro

«L’artista è l’uomo senza contenuto, che non ha altra identità che un perpetuo emergere sul nulla dell’espressione ed altra consistenza che questa incomprensibile stazione al di qua di se stesso». Giorgio Agamben, L’uomo senza contenuto, 1970, Rizzoli (1994, Quodlibet, cit. pag. 83)

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Periodicamente, all’incirca ogni due anni, rileggo questo libro di Agamben, ed ogni volta mi sembra di comprendere qualcosa di più del senso dell’arte che vedo e sulla quale rifletto e lavoro.
La prima cosa che Agamben mi ha aiutato a capire, per la verità alla seconda o forse terza rilettura, è stata senz’altro la qualità della dimensione esistenziale ed esperienziale che l’artista ha nel e del mondo. Per meglio dire, quelle riflessioni mi hanno aiutato a capire che l’artista vive e occupa un posto nel mondo in una maniera che è molto differente dalla mia, che sono spettatore di quello che lui stesso vi aggiunge. Naturalmente alla pari dell’artista, anch’io vivo nel mondo ed ho un’esperienza di esso, ma in una misura diversa soprattutto nell’esito, e cioè nel lascito residuale che è l’opera d’arte.
Giorgio Agamben, L'uomo senza contenuto
«Ciò di cui l’artista fa esperienza nell’opera d’arte è, infatti, che la soggettività artistica è l’essenza assoluta, per la quale ogni materia è indifferente: ma il puro principio creativo-formale, scisso da ogni contenuto, è l’assoluta inessenzialità astratta che annienta e dissolve ogni contenuto in un continuo sforzo per trascendere e realizzare se stessa. Se l’artista cerca ora in un contenuto o in una fede determinata la propria certezza, è nella menzogna, perché sa che la pura soggettività artistica è l’essenza di ogni cosa; ma se cerca in questa la propria realtà, si trova nella condizione paradossale di dover trovare la propria essenza proprio in ciò che è inessenziale, il proprio contenuto in ciò che è soltanto forma. La sua condizione è, perciò, la lacerazione radicale: e, fuori di questa lacerazione, in lui tutto è menzogna». (Op. cit. pag. 82).
Per chi ha una relazione abituale con e nel mondo dell’arte, pensare all’artista in questi termini e pensarsi di conseguenza in una condizione così differente da esso, non è proprio una cosa semplice. Non si tratta tanto del prevalere della concreta pratica quotidiana nei confronti della volatilità delle riflessioni teoriche, quanto invece dell’inevitabile imporsi delle necessità funzionali di quel sistema dell’arte nel quale artisti, curatori, critici, galleristi, collezionisti, etc., operano. Parlare di “lacerazione radicale” e di “menzogna”, tanto per dire e come potete facilmente immaginare, non è esattamente come immettere olio lubrificante nei meccanismi del congegno. 
MACRO, Museo d'arte contemporanea di Roma
Ma come sappiamo bene il senso delle cose che viviamo non è quasi mai riconducibile, e in alcuni casi purtroppo, del tutto alla realtà nuda e cruda. Anzi e di contro è stata proprio la capacità di tenere insieme riflessione teorica e senso pratico, pensiero ed azione si sarebbe detto un tempo, ad essere stata la spinta principale ai cambiamenti. (E forse anche per questo ultimamente non ne abbiamo visti molti).
Ma vengo al punto. A Roma si sta per produrre un importante perturbamento nella realtà del congegno-sistema dell’arte, che anche se appare direzionato solo sul versante pratico delle cose, per la verità implica anche un certo consistente grado di consapevolezza delle ragioni teoriche che nonostante tutto ci impediscono di pensare all’opera d’arte come ad un mero prodotto e all’artista come ad un semplice, ancorché anomalo, produttore di beni inutili e di extralusso. Il perturbamento a cui mi riferisco è quello causato dal processo che sta portando alla ri-nascita della Consulta per l’Arte Contemporanea Roma, frutto di una strana alchimia di persone, idee e contingenze pratiche. Ri-nascita, perché questa strana alchimia si era già creata nel 2011, quando circostanze di emergenza, in fondo non dissimili, spinsero molti artisti, curatori, critici, galleristi e operatori vari, ad associarsi per dare maggiore visibilità al disagio che tutto il settore avvertiva. Occupiamoci di Contemporaneo, OdC, fu la sigla sotto la quale molti si ritrovarono, e che poi portò alla costituzione della Consulta. 
Mario Merz, Che Fare?
Lo dissi allora e lo ripeto oggi: quel riconoscersi come comunità, quel discutere insieme su come migliorare le politiche culturali, rendendo visibili le proprie esigenze ma anche rendendo disponibili alla città il proprio lavoro e la propria ricerca secondo i principi delle buone pratiche e dei beni comuni, fu un momento straordinario, epocale, in una Roma che per più di vent’anni aveva subito prima una desertificazione vera e propria, per poi essere illusa dalle false promesse di alcune “musealizzazioni virtuali”. 
L’emergenza Macro del 2011 venne risolta in un modo tutt’altro che condivisibile ma la Consulta, che forse aveva ancora bisogno dell’energia movimentista di OdC, non superò lo scoglio degli interessi incrociati e soprattutto ad essa contrari, tanto più efficaci perché classificabili nella nota tipologia italiota del carsismo ipogeo. Ma come si dice, il passato è passato, anche se poi, e non proprio a caso, è nuovamente il Macro ad essere causa del riformarsi dell’alchimia. Oggi però le cose sono molto diverse. E se è inutile dire che qualcosa abbiamo imparato da quanto successo, dall’altra è la tipologia del nostro interlocutore politico ad essere molto diversa da quella del 2011. Alemanno e Gasperini erano i nostri antagonisti naturali, la destra romana più discutibile e incolta, con la quale collaborare sembrò subito impossibile e per più di una ragione. Ma oggi la situazione è paradossalmente anche peggiore. La nostra aspettativa di assistere ad una rapida e decisa rimessa in moto delle politiche culturali, di un settore che rappresenta uno dei motori principali della vita sociale, economica e naturalmente turistica della città, ha subito un incomprensibile e scioccante stop. 
Ex Mattatoio, Roma
Rimango nell’ambito dell’arte contemporanea, anche se gli altri settori non se la passano tanto meglio: il Macro è senza direttore e senza alcuna ipotesi di prossimo riassetto giuridico e funzionale; il Mattatoio è oscenamente abbandonato; l’azienda Palaexpo attende una qualche ridefinizione e titolarità; il consiglio d’amministrazione della Quadriennale di Roma manca del rappresentante del Comune; Zètema rimane un mistero insondabile e intoccabile; le periferie sono praticamente abbandonate; non c’è nessun coordinamento per la didattica artistica nelle scuole; nessuna progettazione reale per il sostegno agli artisti e ai vari operatori culturali, così come accade nelle grandi città europee; non esistono progetti di respiro nazionale e internazionale di grandi mostre, di progetti di Arte Pubblica; delle fiere poi ormai manco a parlarne. Se eravamo nel deserto, oggi siamo finiti sulla Luna. Non si tratta solo di una questione di mancanza di denaro. La cosa angosciante è il disinteresse e l’incompetenza che si avverte verso tutto quest’ambito. Ci sono città che vivono dell’economia prodotta dal nostro settore, ormai lo sanno anche gli esemplari della razza asinina dell’Amiata, anche se evidentemente sapere non corrisponde alla capacità di realizzare. Ecco questa è la situazione in cui ri-nasce la Consulta. Un organismo che non rappresenta, ma che è la comunità delle arti visive a Roma. Uno strumento politico che si rende necessario in un momento storico in cui è richiesto improrogabilmente un impegno all’arte fuori da sé, di uscita dal suo stato di pur necessaria lateralità, che consiste nello stare in un quotidiano tutto suo, tangente al resto ma mai del tutto sovrapponibile a quello più generale. 
Tor Bella Monaca
Dico questo perché per molti di noi l’idea di essere inseriti in un contesto collettivo è quasi un’eresia, come lo è prendere impegni fuori da quella che è la propria ricerca e lo sviluppo del proprio lavoro. Ma voglio anche dire che se in questi anni c’è stata una richiesta plurale e condivisa all’arte, è stata quella di tornare a riflettere sui meccanismi sociali e politici in cui agiamo, come anche quella di farsi strumento di conoscenza del mondo stesso. E dunque la Consulta può anche essere intesa come la corrispondenza estrema a questa richiesta, che agirà come uno strumento di controllo etico e di contributo di conoscenza sulle scelte che farà l’amministrazione nell’ambito delle politiche culturali. Fornirà indicazioni in tal senso, mantenendo però una totale indipendenza e cioè non diventando consulente dell’assessore né di altre figure istituzionali, perché evidentemente questo non potrà essere il suo ruolo. Svolgerà invece attività di monitoraggio sul territorio, segnalando necessità e possibilità a chi ha in tal senso funzioni e obblighi istituzionali. Ma avrà anche funzioni di denuncia e di censura pubbliche. 
Per la prima volta con la Consulta stiamo creando un nuovo modello di partecipazione alle politiche culturali, che sarà determinato dagli stessi operatori e che lavorerà in stretta relazione con il territorio, e che forse sarà addirittura in grado di ostacolare quei processi di affidamento e di assegnazione (di qualsiasi cosa: incarichi, denaro, competenze, etc.) che sono da sempre basati sugli odiosi meccanismi politico-clientelari, familiari, amicali, salottieri, fino a quelli di natura diciamo più complessa. 
Alighiero Boetti
Il 2 Febbraio ci saranno le elezioni dei rappresentanti della Consulta. Sarà un momento importante in cui l’assemblea, che è la Consulta, sceglierà le persone che ritiene oggi più idonee ad attuare il proprio programma. Sarà l’inizio di qualcosa che per la verità non sappiamo bene ancora fino in fondo cosa sarà e dove potrà arrivare. Il 2 febbraio al Macro ci saranno anche artisti, curatori ed operatori di altre città, arriveranno da Genova, Bologna, Torino, Milano, per assistere alle elezioni, con l’idea di realizzare a propria volta consulte nelle loro città. Il passo successivo sarà la creazione di una Consulta nazionale.
Se riusciremo a realizzare questa specie di concreta e urgente utopia, avremo semplicemente corrisposto alla natura di un tempo in cui viviamo che ci sta richiedendo qualcosa di più e di diverso dal passato. Ma per riuscire a realizzarla dovremo avere la forza, l’umiltà e la generosità di portare l’arte fuori da sé, anche oltre la “lacerazione” e la “menzogna”.

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