Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- Servizi
- Sezioni
- container colonna1
L’Apple non sarebbe quello che è se molti anni fa gli Stati Uniti non avessero aperto le proprie frontiere a un uomo che veniva da Homs, in Siria. Quest’uomo era il padre di Steve Jobs. Parola di Banksy. Anzi, murale di Banksy che nel campo profughi di Calais, chiamato la Giungla, ha raffigurato il fondatore della Apple come un migrante. In fuga, con tanto di sacco sulle spalle, e un’espressione molto tesa del volto. Ma anche con un vecchio Mac in mano.
Lo street artist più famoso del mondo è stato diverse volte sulla costa settentrionale francese dove sono nati alcuni campi profughi e quella che vedete è una delle opere fatte con lo spray in risposta alla crisi dei flussi migratori che investe l’Europa e che proprio a Calais ha conosciuto alcuni dei momenti più drammatici.
Raramente Banksy si esprime con le parole. Ma questa volta l’ha fatto: «Spesso pensiamo che i flussi migratori drenino risorse ai Paesi dove arrivano i rifugiati, ma Steve Jobs era figlio di un migrante siriano. E Apple è l’azienda più redditizia del mondo. Paga più di 7 bilioni di dollari di tasse all’anno ed esiste perché gli americani, dopo la seconda guerra mondiale, permisero che un giovane uomo di Homs entrasse nel loro territorio».












