10 aprile 2013

Speciale Biennale/Parlano gli artisti del Padiglione Italia

 
Micol di Veroli incontra Massimo Bartolini
Ecco la sesta intervista realizzata da Exibart. Questa volta è il turno di un artista che ha già partecipato alla Biennale di Venezia e alla recente Documenta (13)

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Nel corso della tua carriera hai utilizzato diversi materiali e tecniche tra cui video e fotografia. Negli ultimi anni la tua ricerca si è invece spostata verso la trasformazione dello spazio, una sperimentazione che aiuta lo spettatore a comprendere la natura stessa di ciò che lo circonda attraverso una riflessione sull’immutabilità del tempo e degli oggetti. Puoi parlarci di questa tua scelta? 
«Francamente ho iniziato a lavorare con lo spazio e con il passare del tempo ho cominciato anche a lavorare con lo “spazio addensato” che è la scultura».
Questa non è la tua prima Biennale ed il tuo curriculum è fitto di partecipazioni a prestigiose manifestazioni internazionali tra cui citiamo dOCUMENTA (13) nel 2012. Quali sono le differenze, le urgenze e le motivazioni che muovono il tuo spirito creativo in questa Biennale 2013 circondata da un clima di profonda incertezza sociale?
«Il clima che viviamo ha influenzato profondamente il lavoro che presenterò alla Biennale, tutto quello che sento a proposito di questo momento storico è espresso nel lavoro».
I nostri artisti faticano ad imporsi all’estero, la scena italiana sembra anestetizzata ed incapace di supportare adeguatamente le giovani leve. La Biennale di Venezia sembra essere l’ultimo baluardo di un’arte contemporanea all’italiana che deve per forza di cose cambiare se vuole tenere il passo delle altre superpotenze. Quanto pesa per te oggi, questa presenza nel Padiglione Italia?  
«L’Italia ha aiutato poco i suoi giovani artisti, ma nonostante ciò negli ultimi dieci anni la giovane arte italiana è diventata molto proficua, tra le migliori del mondo. Per quanto riguarda la mia partecipazione alla Biennale ne sono ovviamente molto contento.
Nel 2009 Daniel Birnbaum ti ha invitato in laguna per il suo Fare Mondi e tu hai creato la Sala F dedicata alla didattica sperimentale per il pubblico, un’opera/operazione di estrema importanza per la promozione e la comprensione dell’arte contemporanea. Quanto è importante la condivisione in un mondo come quello dell’arte contemporanea che a volte tende a chiudersi in inutili esclusivismi?
«È un aspetto importante dell’arte, così come per altre discipline come la politica, la sociologia e via dicendo, anche se le peculiarità dell’arte sono altre».

Con “Vice Versa” Bartolomeo Pietromarchi ha puntato sulla giustapposizione, sui poli opposti che inevitabilmente si attraggono, una scelta curatoriale che si apre al dialogo ed alle possibilità. Questa scelta mi sembra molto vicina alla tua linea creativa o sbaglio?
«Non sbagli, ho realizzato spesso delle opere che servivano per ospitare creazioni di altri artisti, mi piace che un’opera faccia spazio piuttosto che occuparlo».
Tu fai coppia con Francesca Grilli, vale a dire una contrapposizione tra il suono e l’esplosione degli stimoli percettivi offerti dal tuo lavoro ed il silenzio, l’impenetrabilità, l’impossibilità che traspare dalle opere della tua collega. Questo assortimento mi sembra quindi quanto mai azzeccato. Cosa ne pensi? 
«Ho visto i lavori di Francesca Grilli solo in rete, quindi quasi non li conosco però mi sembrano molto belli».

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