26 aprile 2018

L’intervista/ Eva Frapiccini

 
LA STORIA, FRAME BY FRAME
L’artista ci racconta un viaggio per immagini dai terremoti alle aule dei tribunali. Con un appuntamento a Palermo

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Come si racconta la storia, quella più recente, tutt’altro che sopita? Come si esamina questo grande corpo di eventi, cause ed effetti, talmente proteiformi che, da una parte, sembrano sfuggire, perdendo consistenza appena li si osserva, dall’altra, entrano nelle nostre vite quotidiane e le condizionano, modificando abitudini e atteggiamenti. Eva Frapiccini osserva ciò che è accaduto, ne segue le tracce a ritroso e, tracciando le coordinate di un percorso rizomatico, apre nuove vie di interpretazione. Poi, contiene questa congerie di studi, ricerche, voci e sensazioni in una immagine, in un oggetto, nel ritmo dei colori e dei materiali, nella sovrapposizione degli angoli visivi, perché la storia è lì davanti a noi, anche se non sembra. Frapiccini è nata a Recanati, si è laureata in arti visive presso il DAMS di Bologna, è ricercatrice practice-based presso la facoltà di Fine Art, History of Art & Cultural Studies a Leeds, docente di fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e Ravenna. I suoi lavori hanno vinto numerosi premi tra cui il Canon nel 2004, il premio Giovane Artista del Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea, e sono stati esposti presso musei italiani ed istituzioni internazionali come la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo (Torino), la Maison de la Photographie (Parigi), il Nederlands Fotomuseum (Amsterdam), il MUSA (Vienna), il Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea (Rivoli), il Bozar – Palais des Beaux Arts (Bruxelles). Nei suoi ultimi progetti – The Spirit of Resistance e Nodo temporale 40° 39′ N – 15° 30′ E, ultimamente in esposizione all’Istituto Culturale di Londra, Velvet (Velluto) e Lamine (Foils), al MA.GA di Gallarate fino allo scorso 22 aprile per la mostra “Dancing in the Memory Palace”, e Il Pensiero che non diventa Azione avvelena l’Anima, sviluppato già a partire dal 2014, proposto per il bando Italian Council della DGAAP-Direzione Generale Arte, Architettura del MIBACT e che sarà esposto a giugno 2018 nell’ambito di Palermo Capitale Italiana della Cultura – ci accompagna in un lungo viaggio lungo le svolte del tempo attuale, tra i paesi del centro Italia e le aule dei tribunali.  
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Eva Frapiccini, MAGA Gallarate
The Spirit of Resistance e Nodo temporale 40° 39′ N – 15° 30′ E, sono due progetti che attraversano la geografia e la storia italiane, dal centro-nord al sud, dal 1980 al 2017. Cosa hai potuto vedere di uguale o di diverso, tra questi tempi e questi luoghi?
«La serie sul recente terremoto in centro Italia è stata realizzata nelle Marche, sono tre grandi stampe di circa 3 metri di lunghezza, su tessuto da cantiere microforato, lo stesso usato per coprire i palazzi in ristrutturazione. Ho scelto di andare a scattare in quei luoghi che conosco bene perché sono nata e cresciuta a pochi chilometri di distanza. Quindi è stato strano, vedere la distanza tra il paesaggio che ricordavo e come è oggi. Ho visto i proprietari delle case e terreni tornare per poche ore, essere accompagnati dai vigili del fuoco per entrare in casa. Ho parlato con abitanti che vivono uno stato di resilienza forzata, trasferiti in alberghi sulla costa o ospitati da parenti. C’è un portato emotivo che cambia con il tempo, dallo shock alla rabbia, non ancora rassegnazione, ma dispiacere. Il tessuto microforato rimanda allo stato di cantiere, ma ha anche una certa leggerezza visiva, che bilancia visivamente un paesaggio di distruzione. Mentre Nodo Temporale, è una serie di polaroid e pubblicazione d’artista, che cercano aspetti invisibili del piccolo paese di Balvano, dove persiste un senso di abbandono misterioso. Lì non vivono più da almeno 30 anni i pochi superstiti, all’epoca adolescenti, del crollo della chiesa del paese alla prima scossa del terremoto in Irpinia. Il crollo che ha inspirato il titolo di giornale “Fate Presto”, prima pagina usata da Andy Wharol per la sua famosa serigrafia. A Balvano, ci sono le case ristrutturate dopo il sisma, le cui facciate che espongono simboli massonici – magici, frutto dell’idea di un architetto di Reggio Emilia. Ho deciso di usare la polaroid, seguendo la tradizione di inizio secolo della fotografia di fantasmi, perché la polaroid è l’ultimo dispositivo “fedele al reale”, un positivo che non permette manipolazioni. Al tempo stesso, è un mezzo impreciso e non calibrabile, ma io volevo perdere il controllo sulla rappresentazione, a vantaggio della scoperta del non visibile, cercavo la magia di un’immagine che si “autoproduce”. La pubblicazione d’artista riporta estratti da vari testi per esempio, estratti della “biografia” di Balvano, da un libro di magia nera che riportava simboli analoghi a quelli sulle facciate delle case ristrutturate dopo il sisma, la teoria degli anni cinquanta del Novecento del bio geologo tedesco Ernst Hartmann secondo cui campi energetici positivi e negativi siano determinati dalla conformazione geologica e magnetica delle aree geografiche fino a creare alcuni nodi radianti sull’emisfero terrestre che costituiscono luoghi geo-patogeni. Da qui il titolo Nodo temporale, in corrispondenza di Balvano».  
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Eva Frapiccini, MAGA Gallarate
Siamo abituati a una narrazione della cronaca – dalle guerre ai cataclismi geologici fino alle “tragedie quotidiane” – tanto ossessiva quanto riduttiva. L’arte può offrire una sua interpretazione più complessa, anche dal punto di vista emotivo? 
«Se non è fine a sé stessa o strumentale, l’interpretazione dal punto di vista emotivo deve servire ad incrinare e persino rompere il muro, come diceva il grande Luciano Fabro».  
Hai esposto questi tuoi progetti per Scratched Surfaces, mostra all’ Istituto di Cultura di Londra. Come è stata accolta l’esposizione? Quali sono state le reazioni di un pubblico non italiano a immagini e storie del genere? 
«La risposta alla mostra a Londra è stata molto varia, art professionals, e pubblico generico. Ho parlato con dei ragazzi italiani di passaggio per studio o lavoro, e si ricordano le scosse, signore inglesi che hanno visitato la Basilicata dopo il terremoto in Irpinia. Mi sono accorta che parlare di resistenza di chi ha vissuto un terremoto aveva una strana permeabilità come fosse condiviso, lo trovo strano, ma non ne voglio parlare ora». 
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Eva Frapiccini, Scratched Surfaces ©photo by Simone Morciano
Come abbiamo visto per la tua recente mostra al MA.GA di Gallarate, il tema della memoria e della storia ricorre spesso nella tua ricerca. Come si dà forma a una materia così astratta? 
«Me lo chiedo spesso anche io. Mi interessa il funzionamento della memoria in generale, e uso la mia vita artistica e personale per capirlo, perché io stessa ho scarsa memoria, del mio vissuto, e del mondo. Ed è anche per questo che indago fatti e storie del passato, per colmare la distanza tra la mia vita e il mondo che mi circonda, nei suoi aspetti visibili o invisibili. La mostra di Gallarate, è nata dalla selezione Level 0, dove il mio lavoro è stato selezionato presso lo stand della Galleria Alberto Peola ad Art Verona 2017. Con la direttrice del Maga, Emma Zanella abbiamo pensato a proporre un allestimento di due miei recenti lavori Velvet (Velluto) e Lamine (Foils), entrambi partono da una riflessione sui meccanismi di rimozione e sedimentazione del ricordo. Ho usato il confronto tra la memoria personale e le scansioni di vecchie foto in un hard-disk, manipolato e sezionato parti di queste foto cercando di isolare il colore che poteva riportarmi alla luce di quel luogo. Il colore è emozione. Molta parte della neuroscienza sostiene che le emozioni siano il principale criterio di catalogazione dei nostri ricordi, come se avessimo la scatola con tutti i momenti di rabbia, felicità e dolore. Lamine (Foils) è una serie di strutture – archivio che sto realizzando per raccogliere immagini che focalizzano alcuni “temi” ricorrenti nei miei lavori: il senso di precarietà esistenziale, il senso di disorientamento tra città e non-luoghi, tutto attraverso oggetti o scenari inanimati».  
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Eva Frapiccini, Scratched Surfaces ©photo by Simone Morciano
Altro elemento che ritorna è il contatto con il territorio, fondamentale per il tuo progetto a Palermo, dedicato alle vittime della mafia. Ci puoi parlare di questa esperienza?  
«Il territorio nazionale è un elemento centrale del progetto, non quello specifico di Palermo, perché questa ricerca è molto connessa con la storia nazionale Italiana e non solo. È un progetto iniziato nel 2014, a partire dai documenti e appunti, che dimostrano l’ingegno di imprenditori, attivisti, giornalisti, commissari nella lotta alla Mafia negli anni ’70-‘80-‘90. I loro metodi di indagine innovativi, i collegamenti con l’FBI per i traffici di droga Italia – Usa, i pensieri e manovre di legge proposte dal politico PCI Pio La Torre, autore della legge al sequestro dei beni dei mafiosi, ecc… È un lento lavoro di ricerca e selezione, contrattazione anche umana, con archivi pubblici, privati, questure e prefetture. Sto scoprendo delle cose straordinarie, trucchi, connessioni, coincidenze di fatti e persone, che avevano un ingegno tale da diventare pericolosi per la Cupola, in particolare per la Mafia dei Corleonesi. Boris Giuliano, Paolo Borsellino, Pio La Torre, Basile, D’Aleo, Mario Francese, Rocco Chinnici, Montinaro, Pino Puglisi si sono passati il testimone nella lotta alla criminalità organizzata, le inchieste, lo spirito, e al di là dell’appartenenza politica, sociale o generazionale. Li univa la vocazione nel loro lavoro, che facevano con scrupolo a costo di non essere simpatici a tutti. Infatti, sfidare l’ordine delle cose li trasformava agli occhi dei loro pari in presuntuosi, arroganti e persino arrivisti, e ancora oggi qualcuno… Mi interessa come la loro caparbietà li ha resi pericolosi rivoluzionari dello status quo creato dalla collaborazione tra potere politico-imprenditoriale e Mafia. E forse, lo sono stati anche di più da morti. Sto modellando tutto il progetto, vincitore della I edizione dell’Italian Council, in un’installazione pensata per l’Archivio Storico Comunale nel centro di Palermo, in via Maqueda. Un luogo che ho scelto lo scorso ottobre 2017 per l’aspetto imponente delle sale. Non a caso lì Wenders ha girato la fine di Palermo Shooting. La mostra, a cura di Anna Detheridge (Connecting Cultures) e Costanza Meli (Isole Palermo) è parte del programma di Palermo Capitale della Cultura, e proseguirà il suo viaggio verso Bruxelles a novembre 2018». 
Mario Francesco Simeone 

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