30 giugno 2006

architettura Modelli

 
Il modello si converte in sistema di pensiero capace di generare spazio. Ian+ e Interaction design Lab ne rilasciano la propria –differente- versione aggiornata. Attraverso due approcci...

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Alcune pratiche architettoniche contemporanee propongono concezioni progettuali che rompono le regole cartesiane evadendo lo spazio tettonico, basando la propria capacità di espressione sullo strumento informatico. Esistono approcci progettuali diffusi che spingono l’utilizzo del computer oltre la sola facoltà di gestire morfologie complesse o tentare rinnovate possibilità di visualizzazione attraverso una consapevolezza degli strumenti a disposizione spesso esitante. In questi ambiti di ricerca il modello e la sua creazione, da ausili di lavoro, si convertono in sistemi di pensiero capaci di generare spazio, reintroducendo –in una nuova declinazione diagrammatica– una pratica operativa riconducibile a metodologie tradizionali.
All’interno di un iter progettuale che ne riconosce il valore determinante come fase operativa, il modello è liberato da ogni necessità di rappresentazione mimetica del reale, e si fa invece strumento attivo del progetto, vera e propria matrice creativa. Se sono altro da astrazioni pure, che si esauriscono nel territorio della virtualità, i modelli diventano fonte di nuove informazioni progettuali, strumenti attraverso cui attuare la riformulazione della disciplina architettonica.
Ian+, ESTONIAN NATIONAL MUSEUM
La personale Modelli di architettura, presentata da Ian+ -Carmelo Baglivo, Luca Galofaro e Stefania Manna- presso la Fondazione Olivetti di Roma (30 marzo – 13 aprile 2006), ha presentato dieci anni di lavoro dello studio romano. Ma soprattutto ha raccontato una concezione progettuale dove il modello non è esclusivamente rappresentazione in scala di opere in realizzazione. I modelli esposti, più che descrizione, erano allusione a luoghi architettonici. Metafore raccontano edifici dai confini aperti in osmotico rapporto con il contesto (il Centro Congressi Eur, 1998), di zone interne che negano chiarezza distributiva (la Fondazione Mies van der Rohe ,1998), di vuoti che si definiscono attraverso i flussi delle attività svolte al loro interno e ancora di edifici come spazi neutri pronti ad accogliere le influenze esterne di uomini e territorio, nella loro reciproca relazione (Nuova Sede Agenzia Spaziale, 2000).
In un’idea di architettura come processo, l’architetto lavora in scambio continuo con la sua stessa creazione. I modelli sono termini di un dialogo tra analisi e progetto, tra suggestione teorica e realtà concreta, tra tema e programma, in una ricerca in continua evoluzione. Lo spazio viene elaborato attraverso simulazioni fisiche e digitali, la cui continua interazione sposta l’orizzonte dell’immaginazione spaziale, genera nuovi sistemi figurativi e si rivela fondamento del momento creativo. Quando la (con)fusione tra virtuale e reale non si compie in rappresentazioni formali virtuosistiche e autocelebrative, è allora occasione per l’innovazione concettuale del linguaggio architettonico.
Il campeggio allestito da id lab in occasione del salone del mobile 2006
Lontano da ogni restituzione progettuale ortodossa, Id- Lab – Interaction design Lab ha proposto un modello concettuale per il progetto dell’edificio interattivo a cui sta lavorando con mutti&architetti e dotdotdot, in una visionarietà estrema che oltrepassa lo spazio e si fa accadimento. Un particolare modello dove la simulazione perde ogni declinazione spaziale e diventa rappresentazione reale, in luoghi temporanei, delle attività che si svolgeranno.
Pur nella sua totale diversità rispetto ai micromondi digitali, il modello concettuale mantiene ruolo attivo nell’ideazione del progetto, in cui non gli spazi, ma le dinamiche al loro interno diventano spunti creativi. I modelli concettuali, seppure manifesto del rifiuto di ogni tipo di rappresentazione virtuale, attingono dal mondo cinematografico ed approdano ad un’iperrealtà, dove si vive, più che contemplare, uno scenario immaginato.
Un’architettura che si forma dal suo stesso interno, plasma spazi attorno alle persone e ai flussi che generano; e un architetto che diviene un attento osservatore sugli effetti dell’esperimento situazionista di cui è artefice.
La prefigurazione del progetto quando è ancora dimensione mentale, è una esigenza forte di ogni processo creativo. Visualizzare ciò che ancora non esiste, siano spazi o situazioni, è espressione di un altrove, portatore di codici altrimenti difficilmente percepibili.

link correlati
www.ianplus.it
www.interactiondesign-lab.com
www.muttiearchitetti.it
www.dotdotdot.it

lucia bosso

[exibart]


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