20 gennaio 2015

Bside.L’architettura in controluce

 
Una nuova rubrica che incontra ambiti e autori attenti a divulgare, con parole e immagini, ciò che progettato, costruito
di Lucia Bosso

di

Marco Brizzi (1967) è uno dei rari personaggi ad aver mantenuto un profilo schivo nonostante si dedichi da tempo ad un intenso lavoro rivolto alla comunicazione e la divulgazione della cultura architettonica contemporanea. Con un approccio meticoloso, che segue con la sua agenzia Image insieme ad un folto team, indaga la trama fitta che lega l’architettura alla sua rappresentazione, con lo sguardo fisso sulla produzione video che ora è l’ambito su cui hanno deciso di scommettere.
Dopo anni di Image, l’agenzia che dirigi con Paola Giaconia a Firenze, lanciate la nuova piattaforma web ‘Architecture Player’, concentrata sul tema del video. Raccontaci.
«Fin da quando ci siamo costituiti come gruppo di ricerca e di produzione, abbiamo sentito la necessità di mettere in gioco un dibattito su alcuni argomenti, e il ricorso al video era connaturato con il nostro modo di pensare la comunicazione. L’agenzia Image faceva parte di questa ottica, ma ancora il video non entrava pienamente nella pratiche da noi promosse. Ora cerchiamo di unire le competenze acquisite negli ultimi 17 anni in questa nuova piattaforma, ‘Architecture Player’, che nasce a complemento del progetto avviato con Image».
Avete anche sviluppato un lungo ciclo di festival ‘BEYOND MEDIA’ fino al 2009 dove il video era centrale. E poi?
«‘BEYOND MEDIA’ è stato il nostro progetto iniziale ed è la ragione per cui ci siamo avvicinati al sistema della comunicazione: sentivamo l’urgenza di perfezionare le relazioni tra il mondo della comunicazione e quello della progettazione. Poi ci siamo accorti che i tempi non erano più quelli adatti per suggerire la creazione di un evento così massivo, assistevamo alla proliferazione di iniziative simili e abbiamo sentito che quella missione era compiuta. E abbiamo pensato che il progetto potesse trasformarsi in un sistema di propagazione di iniziative più piccole, dove il video fungesse da elemento di innesco di dibattito, parte del discorso. Questo è il modo in cui abbiamo pensato di proseguire il programma del festival, oltre naturalmente alla nascente piattaforma Architecture Player».
Museo Maxxi, photo © Iwan Baan
Mi sembra che non esista ancora un’esatta corrispondenza tra il video e un contenitore editoriale adatto ad esso, ovvero che parli in modo appropriato attraverso il video. Attualmente le piattaforme di informazione mescolano forme e contenuti creando racconti variegati. Sarebbe invece interessante poter visionare una sorta di giornale-video. Architecture Player sarà questo?
«Sì, è un po’ così. Architecture Player ha la centrale dedizione al video, e vedrà emergere la strutturazione di un racconto a partire da esso. È un sito pensato anzitutto come un modo per dare testimonianza del nostro interesse per il video di architettura e per cercare di mettere in evidenza le sue potenzialità, sia quelle note sia quelle ancora inespresse. Il percorso offerto al visitatore è composto di una serie di video, introdotti e accompagnati da schede redazionali e liberi da fruire. Poi, un ulteriore livello di lettura sono delle particolari playlist (chiamate “strips”) commentate da osservatori privilegiati in grado di mettere in evidenza temi e qualità di opere di architettura in video». 
E per far questo attingerete al vostro grande archivio?
«‘Architecture Player’ nasce per poter finalmente celebrare le potenzialità del video, per raccontare il nostro percorso e senz’altro per attingere al patrimonio di 3500 video accumulato in 15 anni. È il punto partenza per cercare nuovi percorsi nella produzione contemporanea». 
Qual è il criterio di scelta, data la vastità dell’ambito di produzione video non facile da perimetrare?
«Abbiamo sempre lavorato con la specifica intenzione di evidenziare come il mondo dell’architettura si avvalga dello strumento video, e quindi i nostri sono principalmente video di architetti : ci interessa vedere come l’architetto usi il video per raccontare e per sostenere il proprio progetto».
Foto del progetto Iceberg presentato nel video:
E dopo 15 anni di approfondimento del tema cosa emerge? 
«Che c’è stata straordinaria evoluzione. Ci sono comunque sempre grandi intrecci e rapporti di dipendenza con linguaggi cinematografici, televisivi o video-arte; gli architetti ci hanno messo un po’ ad emancipare il loro modo di  esprimersi, ma ora sono consapevoli delle opportunità in gioco; e poi le possibilità di produrre video brevi e economici sono fortemente incentivate e incoraggiate. Finora si può dire ci sia stato un fortissimo sviluppo e consapevolezza su questo strumento, che quando abbiamo cominciato ad osservare era veramente di nicchia; erano soprattutto gli studenti e giovani studi a cercar di capire che cosa fare per raccontare il proprio progetto in un piccola animazione narrata».
La fotografia dell’architettura negli ultimi 15 anni ha condizionato profondamente la progettazione: l’espressione e il contenuto si sono influenzati intensamente, fino a produrre un’architettura che definirei fotogenica. Intravedo invece la capacità nel video di rompere quest’ansia estetica. 
«In alcuni casi succede, in altri no».
La vostra ricerca è però incentrata sugli autori architetti che usano il video per raccontarsi: non credi esista il rischio di autocelebrazione? 
«Questo è un punto indiscutibile, la difficoltà di separarsi dall’esigenza di autorappresentarsi è difficile da combattere. Però forse, il video mette talvolta da parte questo senso di assertività che con la fotografia diventa più forte. 
E questo dipende anche dalle condizioni d’uso: la foto tende a manifestarsi a tutto campo sulle pagine di riviste, il video è pensato anche e soprattutto come strumento di condivisione di un pensiero, di un’idea. E la stessa necessità di mettersi davanti ad un pubblico non facilmente riconoscibile – perché la rete porta a questo – produce negli autori una capacità esplorativa meno assertiva e con più punti di domanda». 
Installazione video ‘Book for Architects’ di Wolfgang Tillmans, 14.Bennale di Venezia, Venezia
Mi viene in mette il video Abitare a Milano, via Gallarate del 2010 di Paolo Riolzi sul progetto di Mab, e trovo che far raccontare da un regista ciò che si è costruito sia un gesto coraggioso e intelligente, è un connubio che senza dubbio arricchisce il progettista. Chiaro che possa porlo in difficoltà emotiva il fatto di vedersi rappresentato da altri.
«Sì, salvo poi scoprire che questo gli fa gioco: molti progettisti tendono a usare il video per aprire porte dietro le quali non si sa bene  cosa si possa trovare».
Lo ha fatto recentemente Tomas Koolhaas con il lavoro video ‘Rem’ su alcune architetture di suo padre, e si possono notare buoni spunti di indagine.
«Sì, e la cosa interessante sta non tanto nel film, che comunque sottolinea la volontà di raccontare l’architettura in maniera meno autoritaria e guardare l’uso delle persone più che degli autori, ma sta nella famosa intervista appendice dove per la prima volta vengono registrate le reazioni di Rem Koolhaas. È interessante notare come un architetto intelligente si avvalga anche di letture contrastanti che non avrebbe immaginato di offrire. Semplificando, il video testimonia un rapporto diverso con il mezzo di rappresentazione rispetto alla foto dei decenni passati».
Senza dubbio introduce il fattore tempo.
«Questo lo introduce letteralmente, poiché l’architettura raccontata in video può essere descritta in termini spaziali più ricchi di informazioni rispetto ad una rappresentazione bidimensionale. E poi c’è l’altra dimensione tempo che è la vita stessa dell’edificio, raccontata dalle persone che la usano e la osservano in un tempo ancora più ampio, e raccontano come l’architettura non si possa riassumere in un’istantanea, ma abbia sempre bisogno di essere compresa nella propria essenza, che a volte è breve, ma comunque più lunga della vita di una fotografia».
Frame dal video ‘Rem’ di Tomas Koolhaas, 2014
Volendo ragionare per estremi, si possono riconoscere due matrici opposte nel modo di fare un video: un approccio descrittivo, che propone un ritratto didascalico, come ad esempio quello girato dal fotografo Iwan Baan sul Museo Maxxi. All’opposto, un approccio intimo, introspettivo, di forte ricerca come può essere il lavoro ‘ Book for Architects’ dell’artista Wolfgang Tillmans, presentato all’ultima Biennale di Venezia. Qual è il pubblico ideale per il video di architettura? Ha o no una divulgazione ampia?
«È nelle premesse dell’uso del video la ricerca di un pubblico più ampio, che è poi una chimera naturalmente, perché si tratta pur sempre di una disciplina che ha che fare con linguaggi settoriali che il pubblico può vedere come lontane. Però, che l’uso del video richiami la possibilità di intercettare l’attenzione di un pubblico più ampio, questo è presente e documentabile nella maggior parte dei video fatti dagli architetti, che sanno di poter raggiungere qualche categoria più lontana».
Il video sta definendo un’evoluzione tangibile nella cultura della comunicazione architettonica e forse è una possibile soluzione al grande tema, ancora non del tutto risolto, di come comunicare l’architettura.
«Non credo nelle soluzioni sistematiche. Credo tuttavia sia una opportunità che se spesa bene può riavvicinare l’architettura al pubblico dell’architettura stesso, in virtù quantomeno di un senso di necessità. Chi usa l’architettura deve anche poterla comprendere, capire le ragioni che l’hanno ispirata, e capire che cosa potrà fare, come completarne la valorizzazione. Il video può costituire un modo per riavvicinare le due categorie: i progettisti e il pubblico.
Siete da sempre pionieri in materia, mi aspetto nuove altre ottime intuizioni allora.
«Lo siamo stati pionieri, e ora cerchiamo di perpetuare questa attenzione e speriamo che questo costituisca un punto di partenza da dove altri potranno muovere i loro sguardi». 

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