19 ottobre 2009

fino al 15.XI.2009 Roger Ballen Milano, Triennale

 
Un’inquietudine diffusa invade l’ambiente. Una triste ironia e un vago orrore. Rimane il disagio nell’osservare le fotografie di Ballen. Lo stesso disagio che trasmettono i film di David Lynch...

di

Torna a Milano Roger Ballen (New York, 1950; vive a
Johannesburg), a
distanza di sei anni dalla grande personale in Corso Como 10. È un autore
leggermente cambiato da allora, anche se la sensazione è forse in parte dovuta
alla scelta curatoriale d’incentrare la mostra prevalentemente sulla produzione
degli ultimissimi anni.
Assistiamo più a un Ballen “pittore e scultore”, meno a un
Ballen “fotografo”. L’aspetto documentaristico va attenuandosi negli anni, fino
a scomparire del tutto nell’ultima serie, Boarding
House, dove viene meno
anche la rappresentazione della figura umana. La fotografia diventa un mezzo
per raffigurare le complesse costruzioni simboliche – grafiche e scultoree –
che l’autore mette in scena. Diventa forse troppo autoreferenziale.
La grandezza dell’opera di Ballen risiede nel sottile,
talvolta fittizio discrimine che separa il nostro dall’altrui inconscio. Le
fotografie degli anni ‘80 e ‘90 non inducono, obbligano
l’osservatore a fare i conti con le proprie paure, qualsiasi esse siano. La
loro forza sta proprio in questo non lasciare scampo. L’immediata connessione
che s’impone fra le immagini e la nostra soggettività è senza mezzi termini.
Roger Ballen - Brian with pet pig - 1998
Questo accade finché la fotografia di Ballen continua a
parlare dell’altro. La psicologia umana è rivelata – seppur secondo codici
personali – e diventa universale. E l’inquietudine che le opere trasmettono è
dovuta proprio a quell’impressione di comunanza che percepiamo rispetto a ciò
che è rappresentato. L’altro è uguale a noi, noi appariamo come l’altro, il
fotografo non è diverso da noi. S’insinua il dubbio di una strana
interconnessione di psicologie e fa riflettere.
Poi ci sono le opere degli ultimi anni. La composizione
formale delle immagini diventa più evidente. La terza dimensione del fotografico
è negata, mentre viene esaltata la bidimensionalità della superficie.
L’universo personale del fotografo è messo in piazza, esposto senza reticenza.
I simboli, che nelle precedenti fotografie erano presenze discrete, sono sempre
più ingombranti, fino a diventare i soggetti principali delle immagini.
Roger Ballen - One arm goose - 2004
Si ottiene così un discorso mentale e formale allo stesso
tempo. Ma senza la componente documentaristica viene meno anche l’universalità
che nasceva, appunto, dal confrontarsi con una realtà apparentemente altra. Ora
invece il confronto è soltanto rispetto a una precisa simbologia, che l’autore
vorrebbe universale.
Si hanno così immagini bellissime che si pongono sulla scia
di una tradizione piuttosto precisa, che fa capo a André Kertész, Brassaï, Hans Bellmer da un lato e a Cy Twombly dall’altro, ma che hanno perso in
parte la loro forza comunicativa. Bidimensionali a tutti gli effetti: perché da
un lato sono la superficie dove viene registrata la scrittura personale di
Ballen, dall’altro perché è negata la rappresentazione del mondo esterno, la
terza dimensione.

articoli correlati
Ballen
da Massimo Minini

francesca mila nemni
mostra visitata il 6 ottobre 2009


dal 6 ottobre al 15 novembre 2009
Roger
Ballen – Boarding House
a cura di Andrea Bellini
Triennale
Viale Alemagna, 6 (Parco Sempione) – 20121 Milano
Orario: da martedì a domenica ore 10.30-20.30; giovedì ore 10.30-23
Ingresso libero
Catalogo Phaidon
Info: tel. +39 02724341; fax +39 0289010693; info@triennale.it;
www.triennale.it

[exibart]


LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui