04 giugno 2007

fino al 20.VI.2007 Giuseppe Capogrossi Roma, Emmeotto

 
Segni sempre uguali, ma infinitamente combinati. Espressione di tensioni interiori. Il percorso artistico di Capogrossi in una mostra esaustiva. In una galleria che vuole risollevare le sorti di Via Margutta…

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Nei primi decenni del Novecento via Margutta svolse un ruolo determinante come una delle più vivaci aree culturali della città, grazie anche alla confluenza dei numerosi artisti negli Studi Patrizi. La stessa strada del “paesaggio verticale sommerso dal verde” che negli anni Cinquanta, dopo il film Vacanze Romane, diventò esclusiva, –vi risiedevano personaggi celebri come Federico Fellini- negli ultimi anni si stava trasformando, sotto un’apparente attività culturale, in una superficiale vetrina per stranieri in cerca di singolarità, oppure per italiani nostalgici dei tempi della crescita economica e culturale della dolce vita.
Ed è per questa ragione che bisogna prendere atto dell’attività di questa giovane galleria, che si pone l’obiettivo di rivitalizzare quell’ambiente culturale quasi scomparso, grazie inoltre alla collaborazione di Netta Vespignani, tra i fondatori dell’Archivio della Scuola Romana.
Il terzo appuntamento espositivo vede protagonisti i lavori di Giuseppe Capogrossi (Roma, 1900-1972), dall’inizio degli anni Cinquanta agli ultimi anni della sua vita. Proprio nel 1950 l’artista, dopo una fase neocubista, presentava la sua nuova produzione astratta presso la Galleria del Secolo di Roma, la Galleria del Milione di Milano e la Galleria del Cavallino di Venezia. In quel momento già si intravedeva la caratteristica forma a forchetta che avrebbe poi invaso la sua successiva produzione artistica fino ad essere riproposta nelle infinite dialettiche tra uno e multiplo, ordine e disordine, aggregazione e separazione e che è diventata infine il marchio inconfondibile dell’artista romano. Opere dove “i segni non sono necessariamente l’immagine di qualcosa che si è visto, ma possono esprimere qGiuseppe Capogrossi, Superficie 364, 1959, collage e olio su tela, 82 x 54 ualcosa che è dentro di noi, forse la tensione che deriva dall’essere immersi nella realtà”, come spiegava Capogrossi rifacendosi alla psicologia analitica junghiana. Jung riteneva infatti, a differenza di Freud, che la creatività fosse un istinto primario. In questo senso, rifiutando la ragione e il razionalismo, questa pittura fatta di labirinti psicografici sembrava situarsi come un’efficace espressione delle tensioni interiori.
L’interessante mostra in corso, attraverso i dipinti, le opere su carta e i collage, espone diversi aspetti del suo lavoro. Dall’evoluzione e combinazione delle tecniche usate all’utilizzo del nero sul bianco e alla posteriore inclusione del colore. E soprattutto la diversità delle composizioni, che danno vita ad una varietà impossibile da classificare. Nonostante l’evidente disparità, per esempio, tra la stratificazione di materia e colori di Superficie 364 e la piattezza del nero sul bianco di Superficie 437, le opere restano comunque connesse coerentemente e concettualmente.
Anche se la mancanza di un ordine cronologico non consente di percepire niditamente il progresso della sua ricerca, è possibile intravedere l’acutezza del lavoro di Capogrossi. Un artista che viene ormai unanimemente considerato uno dei principali esponenti della Scuola Romana, nonché figura di rilievo nel panorama dell’informale italiano e internazionale.

angel moya garcia
mostra visitata il 23 aprile 2007


fino al 20.VI.2007 – Giuseppe Capogrossi – Il segno organizzato
Emmeotto – Via Margutta 8, 00187 ROMA – a cura di Claudia Terenzi -ingresso libero – info: Tel. +39 063216540 fax +39 063217155 – info@emmeotto.netwww.emmeotto.net – Orario: 10,30-13,00 16,30-20,00, chiuso festivi, sabato pomeriggio, lunedì mattina (possono variare, verificare sempre via telefono) – Catalogo De Luca Editore – Ufficio stampa: Scarlett Matassi – 347.0418110 – 393.1372470 – scarlett.matassi@virgilio.it


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