11 ottobre 2010

libri_saggi Perpetual Inventory (mit press 2010)

 
In copertina, titolo e nome dell’autrice incorniciano una fotografia. È il ritratto d’una giovane Rosalind Krauss, con il mento appoggiato su una macchina per scrivere...

di

Lo scatto della copertina di questo libro risale al 1969
ed è firmato da Ann Gabhart, e sulla quarta di copertina è spiegata la scelta della
foto. Con una frase pronunciata nel 1974 da Clement Greenberg all’indirizzo
dell’autrice: “Spare me smart Jewish girls with their typewriters”.

Si gioca infatti ancora tutto in un serrato e burrascoso
dialogo con Greenberg questo nuovo libro della cofondatrice di October. Nuovo sino a un certo punto, in
verità, poiché si tratta di una raccolta di saggi e interventi in gran parte
già pubblicati, fatta eccezione per Fat Chance e Mr. Clean-Up. E, a dire dell’autrice, si
tratta dell’ideale prosecuzione di un’altra raccolta, pubblicata
originariamente nel 1986, che va sotto il titolo L’originalità
dell’avanguardia e altri miti modernisti
.

Per quanto riguarda questo titolo, invece, crea qualche
problema. Se infatti l’”inventario” non può che essere “perpetuo” – “un
critico rivede costantemente non solo le sue concezioni della tendenza e delle
correnti più importanti dell’arte contemporanea, ma anche le sue convinzioni a
proposito del lavoro più significativo al loro interno
” – allora fa specie che qui siano
riproposti saggi che risalgono addirittura al 1976, come il seminale Video:
The Aesthetics of Narcissism
, pubblicato sul primo numero di October.

Detto ciò, in questa raccolta l’Entmythologisierung è soprattutto rivolta al
postmodernismo ed è venata dalla convinzione che “l’abbandono del medium
specifico decreti la morte dell’arte seria
”. Nell’estrema sintesi kraussiana: “Considero
la ‘condizione postmediale’ un mito mostruoso
”.

Che fare, dunque? La soluzione proposta da Rosalind Krauss
nel succitato saggio consiste nell’individuare dei criteri specifici che
consentano di ricomprendere tecnologie allora nuove come il video nel discorso
mediale. In altre parole, il video non è sintomo di un approccio postmediale
all’arte, bensì è esso stesso un medium. E qual è la specificità dell’uso
artistico del video che permette di distinguerlo, ad esempio, dal cinema o
dalla televisione? L’utilizzo del video come specchio, come avviene in Centers (1971) di Vito Acconci. Andando più in profondità: “Il
medium della videoarte è la condizione psicologica del sé fissurato e
raddoppiato dalla riflessione specchiante di feedback sincroni
”. Qui sta la notevole innovazione
del saggio di Rosalind Krauss: l’aver individuato in una condizione psicologica – non tecnica o tecnologica,
dunque – la proprietà d’un mezzo, e nella fattispecie tale condizione psicologica è quella
del narcisismo, da intendere rigorosamente in senso freudiano e soprattutto
lacaniano.

Da allora in poi, il medium tende a introiettarsi. Come
dire: l’unico mezzo è la mente dell’artista. O quella del critico?

articoli correlati

Arte
dal 1900

Celibi

Alle
origini dell’opera d’arte contemporanea

marco enrico giacomelli

*articolo pubblicato su Exibart.onpaper
n. 68. Te l’eri perso?
Abbonati!


Rosalind Krauss – Perpetual
Inventory

The MIT Press, Cambridge
(MA)-London 2010

Pagg. 336, $ 29,95

ISBN 9780262013802

Info: mitpress.mit.edu

[exibart]

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui