05 febbraio 2003

saggi Politiche e poietiche per l’arte (electa 2002)

 
Il dibattito sui beni culturali in Italia, sulla loro gestione e sul loro futuro, è sempre acceso. Non poteva quindi mancare l’autorevole punto di vista della casa editrice Electa, storicamente specializzata nel campo della cultura...

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A fare il punto della situazione è questo saggio di Rosanna Cappelli, Politiche e poietiche per l’arte, pubblicato alla fine dello scorso anno, con cui viene inaugurata una nuova collana della casa editrice : “Electa per le Belle Arti”.
L’autrice, da tempo attiva nel mondo dell’arte, riesce a compiere un’analisi esaustiva del quadro normativo esistente sui beni culturali nel nostro paese e sui dibattiti e le polemiche che costantemente lo accompagnano. Partendo dalle recenti polemiche suscitate dalla legge che istituisce, nel luglio del 2002, la società Patrimonio Spa, che rende possibile l’alienazione dei beni dello Stato, viene fatta un’analisi a ritroso delle norme che hanno regolamentato il settore dei beni culturali nell’ultimo decennio, valutandone gli effetti concreti e la risonanza mediatica che la loro introduzione ha avuto. Con linguaggio fluido e al contempo preciso la Cappelli cerca di fornire chiarezza al lettore sui significati delle varie norme: dalla legge Ronchey (4/1993), che affida ai privati la gestione dei servizi aggiuntivi (libreria, biglietteria, organizzazione di mostre, attività editoriale, merchandising, attività didattica) nei musei, nei siti archeologici, nelle gallerie di proprietà dello stato, alla legge delega del 1997, (legge Bassanini) che stabilisce le norme sul decentramento dei beni culturali, passando attraverso la legge n.352 del 1997 che conferisce autonomia alla Soprintendenza Archeologica di Pompei, sino ad arrivare all’articolo 33 di collegamento alla Finanziaria del 2002, che permetterà ai privati la gestione dei servizi per migliorare la fruizione dei beni culturali. Di quest’ultima disposizione l’autrice sottolinea diverse, importanti, ambiguità e contraddizioni.
Nelle proprie considerazioni conclusive, invece, basandosi anche soprattutto sulla propria esperienza attiva sia nel campo dei musei statali sia nel privato (dal 2001 è, infatti, direttore del settore Musei e Beni Culturali di Mondadori Electa) la Cappelli compie un’analisi della situazione attuale: l’ormai consolidata dicotomia pubblico-privato permane come nocciolo della questione dei beni culturali in Italia. L’autrice sostiene che, per superare le reciproche diffidenze, e risolvere il dibattito che anche a livello normativo ha avuto come oggetto la differenza tra tutela e valorizzazione dei beni culturali, occorre porre le basi per una chiarificazione del concetto di valorizzazione. Concetto che può articolarsi, secondo lei, in valorizzazione scientifica, strettamente connessa alla tutela, e valorizzazione economica, legata alla fruizione e promozione dei beni culturali. La Cappelli tenta inoltre di ricercare le cause per cui la sostituzione tout-court del privato al pubblico si rivelerebbe inevitabilmente fallimentare: senza il riconoscimento dell’autonomia finanziaria e organizzativa delle Soprintendenze, dei musei statali, e la drastica riduzione dei passaggi burocratici che la pubblica amministrazione comporta, qualsiasi intervento dei privati si rivelerebbe comunque riduttivo e limitato, come si è verificato nel caso dell’applicazione della legge Ronchey.
Solo attraverso un cambiamento interno del settore pubblico si possono porre le basi per una “privatizzazione sostenibile”, concetto con cui l’autrice sintetizza la propria proposta. A tal proposito porta due casi esemplari: quello dei Musei Civici di Venezia, e quello dei Musei Capitolini di Roma. L’attenzione è centrata soprattutto sul caso di Venezia, dove si è costituita una vera e propria rete museale, che dimostra come una corretta integrazione tra pubblico e privato sia riuscita, da una parte, ad avere notevoli ritorni economici, dall’altra a non condizionare le scelte culturali, rimaste di pertinenza del settore pubblico.
Ciò che maggiormente colpisce di questo saggio, al di là della completezza delle informazioni, è la tensione critica e l’accoratezza con cui affronta queste problematiche e che sostiene l’intera scrittura emergendo in modo evidente già nella scelta del titolo e, soprattutto, nella parte finale. Nel titolo la scelta del termine “poietiche” non è casuale, ma rimanda all’antica definizione delle belle arti (scienze poietiche) dedite, cioè, alla creazione (poiesis) di opere e oggetti; scelta dettata dalla volontà di inserire il dibattito attuale sui beni culturali in una prospettiva più ampia che si ricollega alla genesi del concetto stesso di arte.
L’ultimo paragrafo del libro, invece, è dedicato ai “giovani amanti delle belle arti e di poche speranze”, in cui il pensiero è rivolto ai giovani laureati in materie umanistiche che intendano lavorare nel settore culturale. L’autrice ritiene indispensabile che i percorsi formativi offerti dal mondo dell’istruzione riescano ad innestare, su una solida base umanistica, conoscenze tecniche, di gestione economica e amministrativa, e strumenti di analisi della domanda e dei consumi cultuali per permettere ai giovani che intendano esercitare “il mestiere più bello del mondo” di agire professionalmente, in un settore, come quello dei beni culturali in Italia, da una decina d’anni in continua trasformazione.

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alessandra gambadoro


Politiche e poietiche per l’arte, Rosanna Cappelli, Mondadori Electa, 2002, collana “Electa per le Belle Arti”, pp.168, formato 12×19,5, ISBN 88-370-2060-0, prezzo 12 euro. Contatti: Electa, Via Trentacoste 7, 20134 Milano, Tel. 02 21 56 31, Fax 02 26 41 31 21, www.electaweb.com

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