06 aprile 2006

Uomini e topi a Berlino

 
Biennale tedesca in lingua italiana. Non solo per i due terzi dei curatori, ma soprattutto per il numero di addetti ai lavori di ogni genere e tipo che sono intervenuti nei giorni dell’opening dalla nostra penisola. Ecco cosa offre Auguststrasse. Tra chiese, muri, scuole, musei, appartamenti, cantine, container e cimiteri...

di

La pubblicizzazione dell’evento in quel di Berlino non è mancata: dal libro Checkpoint Charley alle mostre alla falsa Gagosian Gallery, passando per gli articoli-interviste pubblicati sulla rivista Zitty. Tuttavia all’opening si sentivano parlare più i dialetti nostrani che il tedesco, e se la stampa non ha lesinato commenti, di manifesti in giro per la città manco l’ombra. Negli aereoporti, alla stazione. Zero.
Aldilà di ciò, la mostra è indubitabilmente di buon livello. Forse non proprio la Biennale, ma comunque una rassegna da visitare con attenzione. Soprattutto semplice da affrontare dal punto di vista logistico, visto che è concentrata in poche centinaia di metri nel quartiere del Mitte, dunque nulla a che vedere con la caccia al tesoro della Manifesta di San Sebastian, co-curata proprio da Gioni. Mostra che gode di un allestimento impeccabile e di un’ottima organizzazione. E che trova nel disegno uno dei suoi punti di forza, senza tralasciare le grandi installazioni e i colpi di teatro, ma non quanto ci si sarebbe potuti attendere dal trio della Wrong Gallery. Anzi, c’è proprio poco da ridere, visto che la tonalità esistenziale della bb4 è piuttosto mortifera.
Cominciamo allora dal fondo. Dal lapidarium di un cimitero, dove si trovano le spoglie di un cavallo scuoiato allestite su due sostegni metallici a opera di Berlinde De Bruyckere. All’altro capo della strada, nella chiesa di San Giovanni Evangelista, un altrettanto cupo Andro Wekua ha creato un cubo nero sormontato e ospitante sculture con teste decollate e amenità simili, mentre un tabellone di Kris Martin annunciava rumorosamente partenze e arrivi resi illeggibili dalla dominante antracite.
La qualità generale dell’allestimento è facilmente esemplificabile.
Michael Beutler - Yellow Escalator, 2006 - installation with Pecafil, dimensions variable, courtesy Michael Beutler; Galerie Michael Neff, Frankfurt am Main
Sia che si trattasse di opere realizzate ad hoc, come la grande installazione di Michael Beutler, che ha occupato con lievi scale non agibili parte dell’ex edificio delle scuderie postali, oppure delle stanze riempite da Bouchet con terra e germogli; sia che si dovesse scegliere la collocazione, come nel caso della scultura antropomorfa col volto en abyme di Markus Schinwald, piazzata in uno sgabuzzino dell’ex scuola ebraica femminile, o della grande scultura sbeffeggiante di Thomas Schütte ai KunstWerke; sia infine che fosse necessario ripensare l’allestimento di opere storiche come Rats and Bats (Learned Helplessness in Rats II) (1988) di Bruce Nauman, artista terribilmente allestito all’ultima Biennale di Venezia.
Tuttavia, nel novero delle scelte curatoriali non sono mancate alcune delusioni. A partire da un Pawel Althamer che scimmiotta l’intervento sociale à la Nedko Solakov in occasione della Biennale di Istanbul; passando per un Jeremy Deller in versione klezmer, che assomiglia più a Ry Cooder che al vincitore del Turner Prize; e, restando fra i nomi “di grido”, l’installazione di Paul McCarthy non è certo delle migliori. Fra i più giovani, la forza della natura di Micol Assaël conferma di essere straordinariamente sopravvalutata, buon per lei, mentre la performance ideata da Tino Sehgal, con una coppia di attori simulano dolci carezze sul parquet, non eguaglia l’inventiva veneziana.
Tornando ai lavori più interessanti, non necessariamente realizzati per l’occasione, spiccano innanzitutto alcuni video: Summer Lightings (2004) di Viktor Alimpiev, con l’alternanza assordante e sublime di una classe di bambine che percuotono i banchi con la punta delle dita e i fermi immagine sulle loro espressioni durante le pause di un tale esercizio, e infine brevi flash su esplosioni notturne.
Diego Perrone - The first dad turns around with his own shadow. The mother bends her body in search of a shape. The second dad pounds his fists on the floor, 2006 - animation, DVD, 4’, courtesy Diego Perrone; Galleria Massimo De Carlo
Va citato il perturbante in chiave muppet-kitsch di Nathalie Djurberg e quello erotico di Felix Gmelin, nonché la straodinaria tensione creata di Mircea Cantor con Deeparture (2004), filmanto della convivenza forzata in una stanza candida di un lupo e di un giovane ungulato. Per chiudere la sezione video, ha goduto di particolare successo il “documentario” di Erik van Lieshout, allestito in un container i cui interni sono stati disegnati dall’artista stesso.
Dalle immagini in movimento a quelle fisse, si segnalano gli scatti di Roger Ballen della serie Shadow Chamber, visti anche da Guido Costa a Torino e fra qualche giorno a FotoGrafia a Roma; le polaroid di Saul Fletcher e gli scatti di interni minimal a opera di Ricarda Roggan.
Fra i progetti mixed media, sicuramente eccelle Michaël Borremans, ma l’impatto maggiore l’ha ottenuto Robert Kuśmirowski, che ha ricostruito a grandezza naturale un vecchio vagone ferroviario che occupa quasi totalmente la stanza dove è installato ed evoca deportazioni non troppo lontane nella storia della Germania.
E gli altri italiani? Danno ottima prova di sé Diego Perrone, con una nuova e ovviamente macabra animazione, e Roberto Cuoghi, il quale presenta quattro lavori retroilluminati sulla scia delle opere esposte la scorsa estate alla londinese Haunch of Venison. Senza dimenticare la risata –anch’essa piuttosto noir- che echeggia nel cortile dei KW, registrazione dell’indimeticabile Gino De Dominicis. È questo uno degli “omaggi” con cui è punteggiata la biennale berlinese, dove si possono trovare una installazione di Tadeusz Kantor (ispiratore del Maurizio nazionale con Charlie don’t surf, 1997) oppure un video e alcuni scatti degli anni ’70-‘80 della sublime Francesca Woodman.
La Gagosian Gallery, Berlino
Si diceva in apertura della marcata presenza del disegno, magari sulla scorta del recente volume Vitamin D pubblicato da Phaidon. Chi si è esposto maggiormente è Marcel van Eeden, con 137 lavori, ma la quantità non è sinonimo di quallità. Straordinari invece i pochi disegni di Roland Flexner, “semplici” puntinismi a grafite su carta, di un’espressività disarmante; spiccano pure le carte di Christiana Soulou e soprattutto le piccole incisioni di Benjamin Cottam (galleristi italiani, non ve lo lasciate scappare), che isolano i volti ritratti cancellandone il corpo, facendo così “galleggiare” le teste sul supporto.
Alcune curiosità per chiudere: pur presente in catalogo, Cady Noland non è presente in mostra. Speriamo invece che uno dei tre elementi della divertente installazione “mobile” di Damián Ortega sia stata riparata. E consigliamo ai visitatori di non tardare la propria deambulazione nell’ufficio che ospita l’installazione della coppia Kai Althoff & Lutz Braun: se il 24 marzo era già un autentico delirio puzzolente e marcescente, non osiamo immaginare come sarà fra qualche settimana!

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marco enrico giacomelli
mostra visitata il 23-24 marzo 2006


bb4 – IV Berlin Biennial for Contemporary Art
A cura di Maurizio Cattelan, Massimiliano Gioni, Ali Subotnik
Sedi varie in Auguststrasse + Diesel Wall in Orianenberger Strasse n. 65 (Mitte)
Orario: da martedì a domenica 12-19. Giovedì 12-21
Ingresso: intero 12 €, ridotto 7 €
Info: www.berlinbiennale.de
Guida, € 10; Catalogo, € 30; Checkpoint Charley, € 12 (prezzi in mostra)


[exibart]

10 Commenti

  1. Completamente d’accordo con le tue prime righe, non è stato un successo di pubblico e quello che c’era era quasi tutto imbarazzantemente italiano (con intere comitive d’istituti d’arte, Brera ad esempio, a sostenere “i nostri”).
    L’idea che me ne ero fatto dalla stampa tedesca è che era stata presa poco seriamente (più un party fighetto che una biennale). Alla fine io l’ho trovata superiore alle aspettative che si erano create.

  2. La sopravvalutazione degli artisti italiani viene fatta solo in Italia. Leggetevi su Artforum Diary http://www.artforum.com/diary/ il post di Claire Bishop sulla bb4 per capire l’interesse che suscitano gli artisti del bel paese all’estero. La frase “…vacuous installation of Roberto Cuoghi paintings” non lascia molti dubbi.

  3. non l’ho vista ma ho potuto ammirare il catalogo, che devo dire è studiato nei minimi particolari…infatti ogni luogo urbano era documentato a livello storico, e ogni opera, pur inserita in un contesto urbano, era proposta anche come opera fine a se stessa, assumendo così una doppia valenza!
    sarebbe da vedere!

  4. ‘e ogni opera, pur inserita in un contesto urbano, era proposta anche come opera fine a se stessa’

    ahah ma dai? hai scoperto l’acqua calda, un’opera che viene proposta fine a sè stessa in un contesto, sono cose belle

  5. Ammettiamo di aver preso parte a una comitiva -ma poi qual’è il problema?- e ammettiamo di non aver fatto in tempo a vedere qualche proposta, ma i nostri compatrioti ci sono piaciuti tanto a partire dal nostro compianto Gino. il lavoro di Cuoghi non era retroilluminato, forse il materiale aveva uno strano effetto. bravo anche Perrone, molto bello il video della Cantor … rimane da svelare il giallo di Cady Noland.
    qualche lavoro un po’ vuoto, ma meno vuoto del solito.
    BB4 buona, party insipido. noi siamo orgogliosi!

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    a me è piaciuto quasi tutto
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    compreso il senvizio di non solo moda sulla bb
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    il problema dell’italia è che ci sono troppi frustrati … ma domani si vota!
    mettiamo tutti una croce al posto giusto
    …e via i frustrati

  7. nessuna biennale meno di questa può evere la pretesa di rappresentare la scena artistica internazionale.

    bravo perrone???

    ma il lavoro di svankmajer qualcuno lo conosce?

    tutti preoccupati solo a prolungare un enorme brunch che sapeva di italiani in trasferta.
    sonnifero

  8. Sinceramente trovo questa Biennale stranamente ricca di artisti interessanti e di lavori molto forti. L’ho visitata per ben tre volte e analizzata attentamente. Escluse le mostre satellite dalla Galleria Gagosian in poi, mi sembra che i curatori abbiano fatto un ottimo lavoro… dopotutto con pace di tutti Cattelan e Gioni sono pittosto intelligenti.
    Sull’afflusso degli italiani, esclusa l’inaugurazione, posso testimoniare che i giorni seguenti eran tutti tedeschi ed inglesi…
    Inoltre non capisco perchè farne una questione politica… non credo lo sia. Ed adesso che ha vinto il vostro benamato Prodi… vedrete che scheiße!
    Buon divertimento allora…

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