22 dicembre 2006

arteatro_performance Margareth Kammerer/Jay Scheib

 
Quadrature d’appartamento e gestualità casalinga per un adattamento da reality show dello shakespeariano “Tutto è bene quel che finisce bene”. All’interno di un cosmo che persegue l’azzeramento dell’immaginario...

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È una camera-mondo quella che accoglie la solitudine e l’amore infelice della giovane performer Margareth Kammerer, alle prese con la scarnificazione estrema del testo shakespeariano Tutto è bene quel che finisce bene. In un assolo che potrebbe sembrare quasi un lavoro site-specific per l’ambiente del Raum, che ospita la performance come parte del progetto Living Room, organizzato da Xing.
Un tavolo, una sedia, una parete bianca sul fondo, un materasso a terra e una pila di bicchieri messi in bell’ordine su un cubo, una chitarra elettrica, una telecamera collegata ad uno schermo, una bottiglia d’acqua e un vaso di rose arancioni. Il tutto su un tappeto rosso, che delimita l’area di estensione del privato, quell’appartamento ideale in cui il dolore si rinchiude e presentifica e che è oggetto della ricerca coreografica della Kammerer e del regista Jay Scheib. Seconda tappa di un progetto di “soli coreografici per performer con chitarra e voce”, che si propongono come liberi adattamenti di testi shakespeariani, End Good Everything Good vede la luce dopo un margarethhamlet ambientato nell’appartamento berlinese della performer in cui la storia di Amleto diventava, secondo le intenzioni del regista Scheib, un puro pretesto per osservare la labile democrazia in cui viviamo e far scivolare i punti di vista degli spettatori costretti a guardarsi nell’atto di guardare.
In questo nuovo lavoro, incentrato sull’amore non corrisposto, tutto è troppo reale e amplificato. Duplicati impietosamente dalla telecamera, il cui utilizzo chirurgico dell’obiettivo a distanza ravvicinata risulta essere quasi nauseabondo, i gesti si spogliano di ogni valenza simbolica o metaforica e si offrono solo per quello che sono.
Margareth Kammerer/ Jay Scheib
Così l’atto di conquista dell’essere amato, attuato per mezzo di uno sguardo disincantato che centra l’obiettivo e chiama in causa lo spettatore, mostra tutta la sua puerilità quando la protagonista si versa dell’acqua sulle palpebre e denuncia la lacrimazione fittizia come un tentativo maldestro di rendere visibile un malessere che, se anche esiste, abita la scena surrettiziamente. L’oggetto del desiderio è sin da subito irraggiungibile, confuso con quel pubblico che si vuole disturbare e distogliere da uno stato di passività o con un essere ideale a cui la Kammerer leva instancabilmente le mani. L’esigenza di un contatto con qualcosa o qualcuno che esuli dalla realtà implacabile della stanza è il filo rosso che lega tutta l’azione scenica. Fino a diventare ricerca patetica e straziante quando la protagonista simula un’emorragia nasale o quando, nel disperato tentativo di provocare una reazione dall’alto, si mette a lanciare i bicchieri al di fuori del perimetro scenico.
La precisione calcolata e ritmica dei lanci è talmente dura da sopportare che il desiderio che un oggetto o evento giunga ad interrompere l’implacabile sequela diventa una sensazione tattile e condivisa. Ma ancora una volta nulla accade e non può essere altrimenti in questo universo chiuso in cui anche la finzione è data per quella che è, e non c’è posto per una visione del simulacro. Lo spogliarsi leggiadro, il saltellare, l’inarcarsi della schiena con le braccia tese verso un idolo posto troppo in alto per essere raggiungibile, sono meccanismi di seduzione destinati sin dal loro formarsi al fallimento.
Margareth Kammerer/ Jay Scheib
La trascendenza verso l’alto è sempre accompagnata da una pregnante spinta verso il basso trasdotta sia nel disequilibrio che scompone i salti e minaccia il loro naturale concludersi sia in una banalità di gesti quotidiani che assumono la masticazione di un mandarino o l’effervescenza dell’aspirina quale colonna sonora da abbinare al nostro sguardo da voyeur. La metafora, caduta in questo mondo da reality show, perde ogni possibilità di pluri-significanza e diventa oggetto letterale. Il graffitismo forsennato con cui la protagonista cerca di asportare le rose dalla banalità del quotidiano e dotarle di un’inusuale aura dorata, finisce, invece, con il rendere percepibile solo la qualità metallica e mortifera della gabbia di finzioni in cui la protagonista si è inconsapevolmente rinchiusa. La soluzione contro la cancellazione irreversibile dell’immaginario arriva come un lampo e si rivela nei rari momenti in cui quel mondo si accartoccia e implode su se stesso. Come nel momento di abbandono sul materasso che, ostacolando la ripresa e visione totale della performer, permette alla voce di farsi corpo e di abitare la stanza come un nostalgico canto notturno o, ancor più, nell’atto provocatorio di sbaraccare il circo della finzione e sottrarre allo sguardo ogni possibilità di notomizzazione del reale.
Nel collasso finale della scena su se stessa, con il tappeto rosso ripiegato sul tavolo a nascondere tutti gli oggetti di quel micro-mondo, la figura si rapprende e fa sistema attorno all’opacità di una superficie finalmente ermetica in grado di evocare altri mondi e figure. Come la nota immagine cordata dell’Enigma di Isidore Ducasse di Man Ray o la durezza mantrica della Rose is a rose is a rose is a rose con cui Gertrude Stein profetizzava la tautologia e il contrarsi della frase quale unica alternativa possibile e doverosa rispetto a un mondo che vuole rendere trasparente ogni tipo di immagine e di linguaggio.

bio: Margareth Kammerer (1966, Bolzano) compositrice, vocalist e performer, vive e lavora a Berlino. Ha suonato con il Laboratorio di Musica & Immagine, Fastilio, l’ensemble Eva Kant e altre formazioni. Dal 2000 si è concentrata su progetti per solo voce e chitarra, frequentando ambiti musicali apparentemente lontani come dalla forma canzone alla musica improvvisata e musica elettronica.. Le sue composizioni per voce e chitarra sono spesso basate su testi poetici classici e contemporanei. Apprezzata a livello internazionale per le sue canzoni ‘obliquamente pop’, il primo solo-cd To be an animal of real flesh per l’etichetta Charhizma è stato segnalato tra i migliori 10 cd dell’anno in Italia da Blow Up. Ha lavorato in numerosi progetti cross-over tra performance, teatro (Schaubühne e Ausland a Berlino, LaMaMa New York, Theatre de l’Incendie- St. Etienne, Francia, Teatro Nuovo Napoli, Chashama NY).
Nel 2005 collabora con Jason Forrest per il suo EP Lady Fantasy per la Sonig. Nel 2006 canta con la Otomo Yoshihide Jazz Orchestra al festival Märzmusik di Berlino. È fresco di registrazione il suo nuovo solo-album di songs, con Christof Kurzmann, Burkhard Stangl, Werner Dafeldecker, Marcello Silvio Busato e Axel Dörner. Sta lavorando a un progetto di canzoni italiane anni ‘60, con Seby Ciurcina, Marcello Silvio Busato e Massimo Carrozzi.

Jay Scheib (1969, Shenandoah Iowa, USA) si forma alla Columbia University School of the Arts a New York. Come regista teatrale ha messo in scena Bambiland di Elfriede Jelinek alla Norwegian Theater Academy, Norvegia; Draussen Tobt die Dunkelziffer di Kathrin Röggla al Mozarteum di Salzburg, Austria, The Power of Darkness di Tolstoj al Trafo di Budapest; Herakles tratto da Euripide, Müller, Händel con Chashama a New York; e This Place is a Desert da Antonioni, che ha debuttato nel 2006 al Institute for Contemporary Arts di Boston. Attualmente lavora ad una trilogia di opere science-fiction basate sui romanzi di Philip K Dick, Samuel Delaney e sulle serie tv di Fassbinder. Nell’autunno 2006 presenta tre nuovi lavori: Women Dreamt Horses di Daniel Veronese al BAiT Festival al PS 122 di New York; uno studio-showing al Prelude Festival al Martin Segal Theater Center di Manhattan, e End Good Everything Good con Margareth Kammerer per Living Room, Raum. Scheib è professore assistente di ‘Music and Theater Arts’ al Massachusetts Institute of Technology, è membro di facoltà al Mozarteum di Salisburgo ed è borsista del TCG/NEA Program for Directors.

link correlati
www.xing.it
www.jayscheib.com

adele cacciagrano
performance vista il 29 novembre 2006

arteatro è una rubrica a cura di piersandra di matteo


Margareth Kammerer/ Jay Scheib (D/I/USA)
End Good Everything Good
choreographic work for solo performer with guitar based on a romance by
Shakespeare
performer Margareth Kammerer
regia e coreografia Jay Scheib
+
WAITING ROOM
MARC BAUER (CH)
Cries of Geese (video)
Xing via Ca’ Selvatica 4/d – Bologna
tel 051.331099
info@xing.it


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