29 maggio 2007

fino al 5.VI.2007 Pawel Althamer Milano, Arena Civica

 
Tra droga e introspezione. Tra neoclassico e Alberto Giacometti. Un viaggio dentro l’animo umano, tra le pieghe della Storia. Succede all’Arena di Milano. Promotrice, la Fondazione Nicola Trussardi…

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Le prime apparizioni di Pawel Althamer (Varsavia, 1967) in Italia furono nel 2002. Per la precisione a Lucca da Claudio Poleschi e a Trieste, nello stesso periodo, presso lo Studio Tommaseo. In questi cinque lunghi anni sono cambiate molte cose. Da un lavoro discreto, che entra nella vita delle persone in punta di piedi, quasi a volersi celare tra le pieghe della quotidianità, la ricerca di Althamer approda a Milano con le trombe trionfali della monumentalità. Già l’ingresso è significativo in questo senso. Non è la vestizione del terriorio ad indurre lo spettatore ad entrare in mostra, bensì un’enorme mongolfiera -in puro stile Althamer- che rappresenta un uomo dal volto sofferto e le vanità più imbarazzanti libere al vento. Dal momento che il tema della mostra è l’autoritratto si deduce che si tratta dell’artista. Lo stesso che esibisce la propria resistenza alle droghe nei nove video che occupano l’ingresso della palazzina.
Se l’effetto allucinogeno richiama a sentimenti e reazioni un po’ d’antan, se non adolescenziali, (il recupero del rapporto con la natura, la catarsi verso Dio, l’esercizio di ritualità magiche di origini pagane), le sculture/installazioni parlano di un legame estremanente più profondo e consapevole con il proprio corpo, la storia e l’intimità dell’essere umano. Uno fra tanti –one of many, così intitola la mostra– è ciascuno dei suoi personaggi: il feto scarno ed immaturo che giace su un cuscino, il turista occupato a comporre un apparentemente spensierato, bensì inquietante, girotondo. Ma anche il finto gesso che con un approccio rilassato fa il verso alla struttura neoclassica della sala che ospita l’intero congegno allestitivo, mostrando la lingua alle vestigia della storia.
Pawel Althamer, Balloon (Pallone), 2007 tecnica mista: nylon, poliestere, acrilico, corde, elio 2100 x 671 x 366 cm - Commissionato e prodotto da: Fondazione Nicola Trussardi, Milano - Courtesy l
Qui l’artista diviene disinvolto, i suoi movimenti sono fluidi, decisi all’interno di una struttura complicata la cui gestione raggiunge il suo acme nell’installazione sonora stagliata sulla cornice del campo sportivo antistante l’Arena. L’atmosfera mortifera, ma sacrale, data dall’incontro sul tavolo operatorio della litania emanata dall’altoparlante, unitamente alla visione disarmante dei corpi in decomposizione -dei Giacometti contemporanei- che l’artista polacco mette in scena -le sue reti, i materiali scabri, poveri, che parlano del dramma della vita umana- agiscono sui sentimenti più reconditi dello spettatore.
L’autoritratto di Althamer, il rapporto con la religione, la sfida alla morte, la tenerezza disarmante delle sue figure inermi, è in realtà un ritratto universale della debolezza umana. Parla di tutti noi, mentre ci racconta di sé. Offre la guancia al giudizio umano e, nel contempo, gli sferra un destro.

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santa nastro
mostra visitata il 10 maggio 2007


dal 7 maggio al 5 giugno 2007 – Pawel Althamer – One of many
Arena Civica, Viale Giorgio Byron 2 (20154) – Milano (MM Lanza)
orario: 10-20 – ingresso libero – a cura di Massimiliano Gioni
www.fondazionenicolatrussardi.com


[exibart]

2 Commenti

  1. Uno degli artisti che più mi ha commosso da quando sono a Milano. Disarmante: statue fatte della stessa materia di cui l’uomo è fatto, nude, di fronte alle quali non puoi che sentirti nudo. Grande, forse troppo per la palazzina Appiani… il contrasto tra il piano terra e quello superiore è troppo marcato. I video troppo ravvicinati, ammucchiati in uno stanzino come scatoloni ed abbandonati ad un’osmosi selvaggia di suoni e voci. Al primo piano l’arredamento e le opere fanno praticamente a pugni. La mia domanda me: questo stridio è frutto di una scelta espositiva e di percezione del lavoro o si tratta più semplicemente di un’adattamento forzato ad una spazio non ideale?

  2. hai ragione. la mostra è densa di sensazioni importanti ma la location non le dà risalto.
    Anche io mi sono fatta la stessa domanda.

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