11 settembre 2007

fino al 5.XI.2007 Artempo Venezia, Palazzo Fortuny

 
Uno degli eventi più intensi tra quelli presentati a latere della Biennale di Venezia. Una mostra immensa, colta, seducente. Come compiere un viaggio nel tempo, attraversando la storia dell’arte e del pensiero...

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Artempo, dispositivo per randomici spostamenti dimensionali, è un sistema di immagini e oggetti che funziona come time machine: inaugurando un ampio viaggio attraverso il concetto di temporalità intrecciato a quello di arte, lo spettatore si muove lungo traiettorie, mappature, indizi e affondi che escludono consueti criteri cronologici. Il diabolico congegno espositivo non fa altro che azzerarlo il tempo, moltiplicandone le direttrici all’infinito.
L’effetto? Camminarci dentro è come smarrirsi in un cerchio composto da infiniti frammenti che sfuggono all’ordinata classificazione storica. Una sfilza di deleuziane immagini-tempo immerge lo sguardo in una pasta temporale eterogenea, fatta di angoli e pieghe, continuità e contraddizioni: un tessuto diacronico che annulla presente, passato e futuro in una ruota zen senza inizio né fine.
Figura chiave dell’operazione è l’eclettico collezionista fiammingo Axel Vervoordt, ideatore e organizzatore del progetto assieme a Mattijs Visser e ai Musei Civici Veneziani. Alla regia un pool di curatori: oltre a Visser ci sono Jean-Hubert Martin, Giandomenico Romanelli e Daniela Ferretti.
Preziosa la location, aperta al pubblico per l’occasione dopo decenni di attesa. L’antico edificio gotico, ex dimora-atelier del versatile artista e scenografo Mariano Fortuny, custodisce quadri, ambienti, tessuti, collezioni appartenute al celebre personaggio, citato perfino da Proust in un passaggio della sua Recherche.
Roman Opalka, OPALKA 1965/1, acrylic on canvas and voice - Collection of the artist / Lohan, China, 13th century, Sung (960-1269) - sculpture in wood - Collection Axel Vervoordt, Belgium
Tra le ampie sale sono distribuite più di trecento opere, un archivio eterogeneo che mescola con sapienza archeologia, arte moderna e installazioni contemporanee. Gli artisti? Oltre ottanta nomi di elevata caratura, mostri sacri della storia dell’arte e indiscutibili talenti del presente. Tra questi alcuni hanno realizzato spettacolari interventi site-specific: da James Turrel, col suo ambiente immersivo di luce rossa, a El Anatsui e Loris Cecchini che su due facciate del palazzo hanno srotolato un arazzo di lattine vuote, il primo, e una candida struttura molecolare, l’altro.
Procedendo attraverso accurati accostamenti concettuali, il percorso espositivo esclude tessiture filologiche, rigide griglie filosofiche o pedanti accademismi storico-scientifici, riuscendo a metter su uno spettacolo emozionale. L’ingresso è affidato all’incantevole gioco di specchi tra una creatura di cera di Berlinde de Bruyckere, corpo sospeso tra sensualità e consunzione, un etereo efebo di epoca romana (anonimo) e un agghiacciante dipinto di Francis Bacon in cui contorsione e rarefazione descrivono una figura allo specchio annegata in un giallo caustico. Più avanti la superficie deformante di Anish Kapoor prosegue l’incubo della dilatazione spazio-temporale, spostandolo dal piano della rappresentazione a quello della realtà. Efficace il dialogo sulla lentezza tra la marmorea Donna velata di Antonio Corradini, il viso femminile ripreso da Yael Davids nel video Face e quello morbidamente rarefatto dell’Ecce Puer di Medardo Rosso.
Installazione sulla facciata di Palazzo Fortuny realizzata da El Anatsui - Fresh and Fading Memories, 2007 - Recycled metal and copper wire
La sala centrale del primo piano raccoglie in una fedele ambientazione d’epoca alcuni dipinti di Mariano Fortuny, oggetti d’arredo e tappezzerie originali, accanto a preziose collezioni di reperti naturali e preistorici. Qua si avvicendano, in un’armonica rete di stridori e assonanze, opere disparate: l’asciutta deformità della Testa di Uomo di Picasso e la cruenta anatomia del volto mutante di Orlan, un materico Tutto Nero di Alberto Burri e una pittura bruciata della scuola del Tintoretto, la sottile silhouette surrealista di Alberto Giacometti e quella possente e vorticosa scolpita da Tony Cragg. E ancora, l’approccio numerico e meditativo al tema del tempo raccorda, per esempio, le opere di On Kawara, Enrico Castellani, Roman Opalka, Tatsuo Miyajima, Dominique Stroobant, Piero Manzoni, accostate a manoscritti calligrafici di antiche preghiere, a una solenne statua di Buddha o a cinquecenteschi strumenti astronomici.
La giostra di corrispondenze, ossimori, liaison ed echi tematici procede dritta e chiara, animata da energia caleidoscopica e forza strutturale. Due linee ideali fungono da bussola: se da un lato il tempo plasma l’arte attraverso stili, idee, linguaggi in perenne evoluzione, dall’altro la storia ci consegna capolavori che travalicano le contingenze assurgendo a valori di universalità. Un doppio movimento, questo, che getta l’uomo e la sua opera nella storia, ma che al contempo lo spinge ancor più in fondo ed in avanti, rendendolo partecipe di una heideggeriana verità ontologica intrisa di temporalità.
È così che sfilano davanti agli occhi opere immortali bagnate da un’aura spessa e abbacinante, dai tagli di Lucio Fontana alle perforazioni di Shozo Shimamoto, dallo specchio rotto di Marcel Duchamp al cielo stellato di Thomas Ruff, da un’accumulazione entomologica di Jan Fabre al celebre autoritratto pietrificato di Alighiero Boetti steso al sole.
Dominique Stroobant, La Sfera Schiacciata, 2007 - Collection Axel Vervoordt, Belgio
Il tessuto sporco, rude, rumoroso del tempo storico funge per l’uomo da serbatoio creativo, da cui attingere carburante per anima e pensiero. La bellezza che ne deriva è un patrimonio spalancato sull’eternità. Torna alla mente quell’idea di tempo come principuim individuationis e distensio animae descritta da Sant’Agostino: la vita umana si spalma tra attenzione (presente), memoria (passato) e attesa (futuro), le tre dimensioni di un tempo interiore e attualizzato. Un tempo che struttura e attraversa l’esistenza come un lampo perenne o una trama aperta.

helga marsala
mostra visitata l’8 giugno 2007




dall’8 giugno al 5 novembre 2007 – Artempo
Venezia, Palazzo Fortuny – Campo San Beneto (San Marco) 30124
orari: 10/18 (biglietteria 10/17); chiuso martedì
Biglietti: intero 8 euro, ridotto 5 euro – info: +39 041 5209070
www.artempo.euwww.museiciviciveneziani.it


[exibart]

2 Commenti

  1. Finalmente una mostra degna di essere ammirata, intensa, colta, bellissima come da tempo non si vedeva; la splendida nota di H. MARSALA affascina e rende quasi palpabile l’atmosfera, anche on line !!! il che è tutto dire !

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