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20
febbraio 2009
fino al 21.III.2009 Alexej Koschkarow Milano, Docva
milano
Guerra fredda ed esasperazioni. Miniature ed errori. Decori e dettagli. Bianchi e bronzi. Armi e vessilli. In una sola installazione, un posto di blocco abbandona la storia. Fori di proiettile ed emblemi parlano di un limite interno che non esiste più...
di Ginevra Bria
A partire dal 1961, a Berlino, il Checkpoint Charlie è stato un punto di passaggio inevitabile e sanguinario. Attualmente in città, di quel ch’è stato, se ne può solo osservare una ricostruzione ambientata e appariscente (con tanto di aiuola con bordura fiorita all’intorno), una struttura d’attrazione turistica come una bianchissima garitta prefabbricata. Una bertesca di frontiera che però ha determinato dapprima l’identità della città e poi quella della Germania, intaccando infine la storia di Stati Uniti e dell’ex Urss.
Tra il 1945 al 1990, il Checkpoint Charlie collegava il settore sovietico a quello americano. Da qui erano ammessi solo passaggi di militari, civili stranieri e diplomatici. Al Checkpoint Charlie i membri delle forze armate erano registrati e informati delle consegne di sicurezza. E le autorità tedesche, sia dell’Est che dell’Ovest, non avevano il diritto di ispezionarli. Proprio davanti al Checkpoint Charlie, durante il crollo del Muro, la tensione crebbe e sfociò in repressione armata, quando carri armati sovietici e americani si fronteggiarono direttamente durante alcuni giorni drammatici.
Oggi, nella sala ingigantita dalla luce, Alexej Koschkarow (Minsk, 1972; vive a Berlino) ha ripristinato e rielaborato, attraverso caricature funeste, il concetto del Checkpoint Charlie. Un modellino, in scala ridotta rispetto alla garitta di frontiera, troneggia al centro dello spazio. Unico, bianchissimo, ridondante e falsamente misterioso, questo casotto bianco – fatto di gesso, fori e compensato – è stato posto fra due coppie di baionette. Sulle gronde, sugli orli della struttura miniata campeggiano ali d’aquila, saette, armature, elmetti, blasoni e rami di alloro, emblemi di guerre e speranze invincibili.
“Chic esorbitato con inconfondibili attrazioni barocche; suggestioni a realtà/motivi distanti e variegati che sono incastonati in cammei dalla rara perfezione e cura morbosa del dettaglio”: in questo modo Milovan Farronato, curatore dell’installazione, introduce il lavoro. E aggiunge: “La personale ricostruzione in scala offerta da Koschkarow è sottoposta a una revisione con annessa falsificazione storica”.
Il Checkpoint Charlie, visto da Koschkarow, è una riproposizione e un ricollocamento ridondante del reale già accaduto. Basta infatti scivolare sotto il sostegno del casotto per capire quanto l’artista, all’interno del modellino, si sia divertito a ingigantire i fasti delle visioni. Rimembranze truci ed epiche che nel contemporaneo esasperano le vicende politico-sanguinarie legate a quel preciso posto di frontiera.
Ecco dunque perché vedere qui cambia il proprio significato e diventa, ancora secondo Farronato, “accentuare, esasperare alcuni aspetti con il senno del poi e trasformare questa ‘baracca di piccole dimensioni’ ma di sempiterno valore simbolico in un monumento e monito imponente, tra il saloon e la trincea”.
Tra il 1945 al 1990, il Checkpoint Charlie collegava il settore sovietico a quello americano. Da qui erano ammessi solo passaggi di militari, civili stranieri e diplomatici. Al Checkpoint Charlie i membri delle forze armate erano registrati e informati delle consegne di sicurezza. E le autorità tedesche, sia dell’Est che dell’Ovest, non avevano il diritto di ispezionarli. Proprio davanti al Checkpoint Charlie, durante il crollo del Muro, la tensione crebbe e sfociò in repressione armata, quando carri armati sovietici e americani si fronteggiarono direttamente durante alcuni giorni drammatici.
Oggi, nella sala ingigantita dalla luce, Alexej Koschkarow (Minsk, 1972; vive a Berlino) ha ripristinato e rielaborato, attraverso caricature funeste, il concetto del Checkpoint Charlie. Un modellino, in scala ridotta rispetto alla garitta di frontiera, troneggia al centro dello spazio. Unico, bianchissimo, ridondante e falsamente misterioso, questo casotto bianco – fatto di gesso, fori e compensato – è stato posto fra due coppie di baionette. Sulle gronde, sugli orli della struttura miniata campeggiano ali d’aquila, saette, armature, elmetti, blasoni e rami di alloro, emblemi di guerre e speranze invincibili.
“Chic esorbitato con inconfondibili attrazioni barocche; suggestioni a realtà/motivi distanti e variegati che sono incastonati in cammei dalla rara perfezione e cura morbosa del dettaglio”: in questo modo Milovan Farronato, curatore dell’installazione, introduce il lavoro. E aggiunge: “La personale ricostruzione in scala offerta da Koschkarow è sottoposta a una revisione con annessa falsificazione storica”.
Il Checkpoint Charlie, visto da Koschkarow, è una riproposizione e un ricollocamento ridondante del reale già accaduto. Basta infatti scivolare sotto il sostegno del casotto per capire quanto l’artista, all’interno del modellino, si sia divertito a ingigantire i fasti delle visioni. Rimembranze truci ed epiche che nel contemporaneo esasperano le vicende politico-sanguinarie legate a quel preciso posto di frontiera.
Ecco dunque perché vedere qui cambia il proprio significato e diventa, ancora secondo Farronato, “accentuare, esasperare alcuni aspetti con il senno del poi e trasformare questa ‘baracca di piccole dimensioni’ ma di sempiterno valore simbolico in un monumento e monito imponente, tra il saloon e la trincea”.
ginevra bria
mostra visitata l’11 febbraio 2009
dall’undici febbraio al 21 marzo 2009
Alexej Koschkarow – Checkpoint Charlie
a cura di Milovan Farronato
DOCVA – Documentation Center for Visual Arts
Via Procaccini, 4 (zona Cimitero Monumentale) – 20154 Milano
Orario: da martedì a venerdì ore 11-19; sabato ore 15-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 0266804473; viafarini@viafarini.org; www.docva.org
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