27 novembre 2009

DISSENSO CORPORALE

 
Artista affermato a livello internazionale, Sheng Qi rappresenta uno degli esempi più “sgradevoli” dell’utilizzo del proprio corpo come forma di protesta. Ci ha raccontato la sua esperienza dentro e fuori la Cina. Nel ventennale dell’“incidente” di Tiananmen...

di

Prima di lasciare Pechino per Roma nel 1989, Sheng Qi (Hefei, 1965;
vive a Beijing) prende la ferma decisione di amputarsi il mignolo della mano
sinistra e lo seppellisce in un vaso di fiori, per lasciare in patria un pezzo
di sé. Dopo un’esperienza in Italia, si laurea presso il Saint Martins a
Londra. Tornato in patria nel ‘98, ha partecipato a numerosi e rilevanti eventi
a livello internazionale.
Un’importante attenzione sociale da sempre
accompagna il suo lavoro. È infatti uno dei pochissimi artisti cinesi ad aver
lavorato sul tema dell’Aids e ad aver pubblicamente combattuto a favore di
campagne per la consapevolezza sociale.
In questo ventennio, Sheng Qi ha presentato lavori
di notevole interesse, sfruttando diversi media: dalle pionieristiche
performance alla fotografia, per dedicarsi poi soprattutto alla pittura. La sua
poetica s’incentra sullo studio del corpo. Come linguaggio e come cultura.

Fra gli artisti che usano il proprio corpo come
forma di protesta, sei probabilmente uno degli esempi che creano maggior
disturbo. Come hai vissuto questa situazione e cos’ha rappresentato per te
questa “etichetta”?

L’intento è stato quello di
ricordare il momento dell’espatrio attraverso il mio stesso corpo. La mia mano
sinistra non cambierà mai, così come quel ricordo rimarrà sempre presente. Il
mio corpo si è trasformato in scultura vivente. Ho provato tanto dolore
all’inizio, e non solo per la perdita fisica; poi, a poco a poco, il dolore è
scomparso. È stato quando ho cominciato a forzare me stesso all’assenza di
emozioni: si è creato un vuoto dentro me.
Nel 1999 ho iniziato a usare la
mano sinistra come icona personale nel mio lavoro artistico, scattando diversi
ritratti posando sul palmo vari ricordi, foto e oggetti del mio passato. Tutti
hanno iniziato a dire: “Guarda questo! Si è tagliato il mignolo da solo!”. Ricordo bene gli eventi di
vent’anni fa. A morte quel giorno! Non dimenticherò mai… Comunque, questa è
la mia vita e non la posso cambiare. Vado avanti, nonostante le numerose
ammonizioni che ricevo dalla polizia locale.

Sheng Qi - My left hand-70.s - 2000 - fotografia - cm 150x100Nel 1989 hai preso una decisione molto forte. Ti
sei privato di una parte di te per colpa e per amore del tuo paese. Cosa
significa amare a tal punto la propria patria da desiderare di lasciare fisicamente
una parte di sé in essa? Cosa rappresenta per te l’orgoglio nazionale?

L’“io” del passato, quello che sono stato, è già
morto e le sue ossa sono già state seppellite. Non credo più a quelle
“bugie” e la mia vita ora prende senso nel cercare di smascherarle.
Il potere della macchina dello stato non cessa di riprodursi, ma la vera forza,
quella interna, non ha bisogno di armi. Amo la mia patria, ma odio i
nazionalismi!

Sei riuscito all’estero a trovare quello che
cercavi? Come hai vissuto quel lungo periodo di esilio come persona e come
artista? Cosa ti rimane di quell’esperienza?

La cultura
cinese ha ancora molto da imparare dall’Ovest. In Occidente ho visto la forza e il valore della democrazia. Ho
trovato tanta umanità. Amavo le persone che incontravo. Stavo bene, ma allo stesso tempo provavo molta nostalgia e sapevo che avrei dovuto,
prima o poi, trovare le
forze per tornare a casa.

Presenti spesso immagini molto forti,
emozionalmente complesse e provocatorie.
Come si è sviluppato concettualmente
e tecnicamente il tuo lavoro in questi anni, dalle performance iniziali alla
pittura?

Un momento importante è stato il 1986, quando ho iniziato
la ricerca performativa. A quel tempo il mio corpo era più robusto e atletico!
Poi, all’età di quarant’anni, quando il corpo ha iniziato a indebolirsi, ma il
mio cuore era ancora molto forte, ho cominciato a dipingere, portando la
passione giovanile su tela. La pittura ha il vantaggio di riuscire a
raggiungere un pubblico più vasto. La texture rigata, che caratterizza il mio
lavoro pittorico, intende trasmettere il trascorrere del tempo. Lascio
scivolare il colore come se fosse sangue o lacrime che segnano il viso.

Nel tuo lavoro dai sempre molta importanza al
corpo. Vi è per caso una qualche relazione con la memoria e con la denuncia del
periodo di abusi e torture che ha afflitto la Cina durante la Rivoluzione
Culturale?

Sì, c’è una relazione. Il corpo è la memoria del nostro
passato e non può essere modificato. Così come la storia stessa: non può esser
cambiata. La Rivoluzione Culturale ha cambiato drasticamente la Cina, il popolo
e le sue usanze. È un fatto che non può essere ignorato né modificato. È stato
un incubo.
Sheng Qi - Bang bang bang - 2009 - olio su tela - cm 180x240
Il primo ottobre si è celebrato il 60esimo
anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese. Immagino che
anche tu abbia assistito al pomposo festeggiamento in Piazza Tiananmen. Cos’hai
provato?

No, non l’ho visto. Mi sono sottratto a questa finzione.
Troppo inquietante. Mi avrebbe ricordato la Germania degli anni ‘40…

Quest’anno si ricorda il 20esimo anniversario non solo
dell’“incidente” in piazza, ma anche della prima mostra d’avanguardia cinese, China
Avant-Garde Exhibition
. In febbraio gli stessi organizzatori hanno cercato di riproporla,
ma lo show è stato immediatamente censurato al momento dell’opening. Cosa ne
pensi? Il governo sembra davvero terrorizzato… Ma da che cosa?

Ho spesso problemi di questo tipo:
le mie mostre vengono chiuse o modificate e la polizia controlla il mio studio.
Secondo me, semplicemente non guardano in faccia la realtà. Hanno paura della
verità.

articoli correlati
Sheng Qi a Parigi

a cura di cecilia freschini

[exibart]


LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui