12 aprile 2010

fino al 31.VIII.2010 21×21 / Alberto Garutti Torino, Fondazione Sandretto

 
È il momento di riflettere sul nuovo secolo. Si parte da Torino, dove tecnologia non necessariamente vuol dire innovazione, ma a volte malinconico sguardo al passato. Per reinterpretarlo. In occasione delle celebrazioni del centenario di Confindustria...

di

Confindustria per i suoi cent’anni sceglie la cultura. Un
connubio vincente per la definizione del primo decennio 2000, perché i lavori
dei 21 artisti per il XXI secolo si propongono come riflessione sulle dinamiche
dell’arte contemporanea in un particolare momento, cioè nel pieno ribaltamento
dell’assetto politico, in cui la città è in bilico fra tradizione e
sperimentazione, fra conservazione del patrimonio e progresso.
In una dimensione entropica, fra tensioni più o meno
rapide, si dispiegano le opere dei 21×21+1: Albero Garutti. Temporali è l’installazione principale
firmata Garutti presentata nella project room. Si tratta di un oggetto luminoso
composto da cerchi in legno con lampadine che, anche se nell’insieme ricordano
una luminaria natalizia, si accendono ogniqualvolta un fulmine cade sul
territorio italiano. Il dispositivo è infatti collegato alla rete del CESI – Centro
Elettrotecnico Sperimentale Italiano e rivela la magnitudine del fenomeno
atmosferico. È uno sguardo verso il cielo che porta l’immaginazione da un luogo
all’altro. Collegandoli.
Matteo Rubbi - Italia1961 - 2010 - veduta dell’installazione presso la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino
Il primo lavoro in mostra dei giovani è Italia61 di Matteo Rubbi, il logo in versione scultorea della
manifestazione sul centenario dell’Unità. È l’elogio malinconico e nostalgico
di un tempo passato, memoria solida sulla quale costruire il futuro. Anche il
lavoro di Ian Tweedy, solito a rispolverare la storia con lo sguardo del presente,
ripercorre le immagini di un’epoca attraverso un gran collage sulle imprese dei
dirigibili e dipingendo su un muro, in scala 1:1, un albero in cui è impigliato
un maggiolino Volkswagen.
In questa direzione si collocano anche i video di Rossella
Biscotti
e Meris
Angioletti: sugli effetti della tragedia di Chernobyl il primo, più psicologico
il secondo. I Describe the Way and Meanwhile I Am Proceeding Along It di Angioletti è una sorta di non proiezione,
poiché la conversazione è strutturata come rivisitazione di un radiogramma
fantascientifico degli anni ‘40 e prende forma come esercizio di memoria
dell’artista.
I segni del passato si mescolano a volte con oggetti
contemporanei: è il caso dei tavoli di Martino Gamper, residui dei mobili spezzati e
deformi di Giò Ponti che invitano a riflettere sul connubio funzionalità-estetica, oppure
dell’installazione di Ludovica Carbotta, un assemblaggio di materiali lignei di scarto che
ridisegnano la cupola della Cappella della Sindone del Guarini. Non è un omaggio a Torino quanto
un’analisi del vuoto, del dentro e del fuori di uno spazio da cui affrancarsi
come esperienza pregressa.
Paola Pivi - Have you seen me before? - 2008 - installazione - dimensioni variabili - courtesy Massimo De Carlo, Milano & Galerie Emmanuel Perrotin, Miami-Parigi - photo Attillio Maranzano
Nell’esposizione non mancano i meno giovani, gli artisti
di casa Sandretto. Da Paola Pivi a Diego Perrone, passando per Giuseppe
Gabellone
e
Patrick Tuttofuoco, le loro opere sono un must per la fondazione. Sono dei divertissement disneyani in cui Pivi sembra giocare con un orso tutto
tenerezza da stringere, per poi scoprire che si tratta di un peluche ricoperto
di piume giallo pulcino. Straniamento anche per le maschere di Tuttofuoco, espressione del desiderio
infantile di trasformarsi in qualcun altro.
Il XXI secolo appare sommariamente fresco, a tratti
frizzante e a volte invece fermo sul riflesso di sé. Come in Colosso
fluviale
di Luca
Francesconi
dove,
attraverso l’allestimento di un accampamento (con utensili, armi e un pentolino
in cui cuoce del fegato di pesce), l’artista intende rivisitare
antropologicamente l’attività della pesca come una delle più antiche dell’area padana del
Po.

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claudio
cravero

mostra visitata il 25 marzo 2010


dal 25 marzo al 31 agosto 2010
21×21. 21 artisti per 21° secolo + Alberto Garutti
a cura di Francesco Bonami
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
Via Modane, 16 (Borgo San Paolo) – 10141 Torino
Orario: da martedì a domenica ore 12-20; giovedì ore 12-23
Ingresso: intero € 5; ridotto € 3; gratuito il giovedì ore 20-23
Catalogo disponibile
Info: tel. +39 0113797600; fax +39 01119831601;
info@fondsrr.org; www.fondsrr.org

[exibart]


14 Commenti

  1. Dispiace dirlo ma ho trovato la mostra semplicemente noiosa (sperimentale? mi sarei accontentato di trovarla malinconica, sic) perchè non offre né uno spaccato plausibile dell’attuale ricerca né presenta opere significative alla vigilia del nuovo millennio. A parte il lavoro di Squillacciotti (peraltro neanche menzionato nella recensione) alcune opere dei ‘più giovani’ sanno già di muffa e rispondono solo alle logiche mercantilistiche di Bonami.
    Per quanto riguarda gli artisti Rubbi che Tweedy, ritengo che debbano riflettere sul loro percorso perchè ripetono da troppo tempo la solita solfa con le medesime modalità stilistiche

  2. Interessante paragonare questa mostra alla sua sorella curata da bonami nel 2002. In questo caso si è scelta una selezione stranamente più inclusiva (data anche dal tema “industriale”) ed attenta, affiancando i soliti noti a nomi nuovi (forse un whitehouse effect). Curioso che Alberto Garutti con una grande lampadario “intelligente” riesca ( per via di un urgenza ben definita nel tempo) a salvarsi dall’ikea evoluta. Infatti, guardando a questa mostra, è chiaro un problema generazionale. L’unica urgenza “giovane” sembra quella di remixare alcuni elementi del passato più prossimo e riadattare informale, post-concettuale, arte povera, ecc. Lo smart relativism o la sua declinazione “ikea evoluta” emergono quando l’oggetto risulta più “forte” dell’atteggiamento-urgenza che c’è sotto.

    Prendiamo Matteo Rubbi, presente sia in questa mostra che nella mostra Ibrido al PAC. Rubbi riprende il logo di una grande manifestazione organizzata per il centenario dell’unità d’italia e fa distribuire il quotidiano La Stampa uscito nel 61. Una buona idea. Un’idea smart. Un sapore malinconico. In realtà, dopo un primo istante, queste soluzioni “corrette” e intelligenti risultano complementari ad un certo ordine “assimilato”. La stessa democrazia, il mondo, un sistema culturale “bloccato”, permettono di essere intelligente per poter perpetuare se stessi. E’ come se le soluzioni più intelligenti siano funzionali ad un certo ordine precostituito. E’ come se la malinconia trasmessa vada a mimetizzarsi con una melanconia reale e presente, e quindi sparisca. Quindi alla fine, queste soluzioni non riescono a creare tensione e significato. Quando si torna a casa da certe collettive si conserva in testa una visione bianco-grigia con alcune macchie di colore, e poi un certo vuoto.

    Inoltre il procedimento che c’è sotto è semplice e non propriamente “intelligente”, direi meccanico e burocratico.
    Il procedimento è quello dello smart relativism:

    formalizzazione ruffiana/mainstream + citazione colta

    Fondamentalmente si tratta di prendere Moussoscope (Mousse+Kaleidoscope) per la parte formale, e poi cercare su Wikipedia il carico concettuale. Il gioco è semplice, quindi poi non si capisce neanche perchè scegliere Matteo Rubbi e non un altro giovane non selezionato. Parlo di Matteo Rubbi come esempio per evitare generalizzazioni.

    Questa mostra conferma un affaticamento del linguaggio, un problema di contenuti. In realtà per i figli di pierluigi celli, il problema non è “come fare” ma è “cosa fare”. In ogni fase del 900′ questo “cosa fare” era chiaro, mentre questo primo decennio sembra una fase di passaggio, un momento di spaesamento.

  3. Siamo sicuramente in un fase di trasformazione, fino a quando non si vorrà prendere atto di questo cambiamento non si potrà fare altro che ripetersi.

    Per fare del trasformazione bisogna avere il coraggio di lasciare le vecchie forme, oramai stantie, per le nuove, che già ci circondano. Ma questa scelta è anche un ripensamento del senso estetico e del valore reale dell’arte.

    Scelte che il sistema dell’arte (soprattutto il mercato) in questo momento non è in grado di fare, perché dovrebbe ripensare la funzione e il ruolo dell’arte stessa, a tal fine si presentano situazioni sempre più compulsive.

    I nuovi media e il nuovo senso del fare sono la chiave determinanti dell’arte e solo accettandoli si potrà evolvere.

  4. un’altra lunga dissertazione di LR, come sempre scritta in parallelo alla recensione, che assume quindi una pura funzione strumentale: non c’è un vero commento, infatti, ma si parte dalla recensione per riprendere un discorso interrotto in precedenza, dicendo sempre le stesse cose, prendendosela (chissà perché..) sempre soltanto con gli ‘ultimi arrivati’, giovani, o giovanissimi, e ancora senza rinomanza.
    gli altri, quelli che Cravero ha citato, con una malizia appena dissimulata dal pudore dell’espressione, “gli artisti di casa Sandretto”, quelli non si toccano, se non obliquamente, stando bene attenti a non fare nomi e cognomi.
    invece il vero problema di questa mostra, come di tante altre, è la presenza ingombrante e oggettivamente fastidiosa, di quei “meno giovani” (ancora citando Cravero), con le loro opere, mediamente insulse e velleitarie, che riescono a far sembrare Cattelan quel genio assoluto che in verità non è.
    soprattutto la Pivi risulta ancora una volta irritante, un’altra ‘cosa’, l’ennesima, oltraggiosamente insulsa, che non si capisce cosa abbia a che fare con l’arte contemporanea (intesa come ricerca intellettuale, ovvero come un’espressione evoluta del pensiero) nonostante faccia presenza fissa in tutte o quasi le mostre ‘che contano’.

  5. Fluxus-blitz di Pino Boresta

    Auditorium Parco della Musica (Roma)
    FLUXUS BIENNIAL – After Fluxus
    Ore 20.30 Venerdì 26 Febbraio 2010
    Intervista psichica # 2
    George Maciunas interviewed by Ramundas Malašauskas

    Arrivo, visito velocemente la sala dedicata a Maciunas quando poi Lucio Perotti si mette al pianoforte e incomincia a suonare si raduna tutto intorno un cospicuo numero di persone che si dispone a semi cerchio. Finito il primo brano musicale capisco che è arrivato il mio momento, mi tolgo la giacca che appoggio li accanto e vado in mezzo alla folla vicino al pianoforte e saltando strillo “E meno male che c’è Maurizio Cattelan…. E meno male che c’è Maurizio Cattelan” Nessuno mi interrompe e il pianista continua a suonare come se nulla fosse il pubblico non riesce a capire se ciò facesse parte della performance o meno. Dopo un paio di minuti qualcuno dell’organizzazione mi fa gentilmente cenno di smettere, io nonostante stessi quasi svenendo per la fatica gli faccio segno guardando l’orologio che avevo quasi terminato il mio blitz-perfomance. Continuo così ancora per un altro paio di minuti. Quando esausto smetto, inaspettatamente tutto il pubblico mi saluta con un bel applauso.
    Quando poi vistosamente affaticato seduto su una sedia sotto il portico dell’Auditorium qualcuno mi chiede perchè lo avessi fatto, rispondo che era un omaggio a tre menti indubbiamente geniali come George Maciunas, Simone Cristicchi e Maurizio Cattelan e comunque ognuno poteva tirare le proprie conclusioni.

    Pino Boresta

  6. Devo ammetterlo – io apprezzo il signor Boresta decisamente più di che il signor Cattelan – !! ed è la pura verità.
    Forza Pino che sei davvero un mito.

  7. si prova a metter sù una discussione un po’ meditata che cerchi davvero di formulare dei commenti sensati sul tema del pezzo, poi, come un coniglio dal cilindro, salta fuori il primo facinoroso di una lunga fila e via! tutto si squaglia come neve al sole, ognuno si sente in diritto di intervenire a casaccio, totalmente fuori tema, nei modi più sguaiati, come i goliardi del tempo che fu.
    ci si chiede cosa ci stia a fare una redazione, e davvero passa la voglia di intervenire a questi forum

  8. Concordo con lorenza di milano e caro fc possiamo tranquillamente fare a meno di te sei molto meno interessante di tanti altri.

  9. Non è obbligatorio farsi piacere Garutti e la Sandretto e nemmeno parlarci su, bastano la critica e le riviste. Queste danno valore i commenti non ne forniscono ne ne levano ma fanno comodo a exibart.

  10. gentile Giordan di Pisa,
    prendo atto del suo commento al mio stesso, forse non ha nemmeno tutti i torti.
    avrei magari dovuto scrivere che, fossi stato al posto di quell’ignoto funzionario del Parco della Musica non gli avrei “gentilmente fatto cenno di smettere”, al Boresta: lo avrei bensì preso a calci nel sedere cacciandolo dalla sala.
    va meglio così?
    un caro saluto,
    f c

  11. Lo sai caro fc che se tutti la pensassero come lei probabilmente l’arte contemporanea non esisterebbe, ma meno male che lei non conta nulla o almeno lo spero vivamente altrimenti poveri noi…..

  12. Ho trovato un po’ offensivo definire “oggetto” il lavoro di Garutti che, al contrario, ancora una volta dimostra la sottile, ampia e affascinante ricerca dell’artista, che è riuscito a realizzare la contemporaneità del tempo in un unico spazio, testimoniando la vitalità della natura e la sua forza.
    Per il resto concordo con coloro che criticano le scelte curatoriali che cadono su nomi ormai non più giovani facendoli ancora passare per “giovani”, disattendendo la finalità della mostra, ovvero una riflessione sul nuovo secolo.
    Concordo con la monotonia, ancora l’orso giallo della pivi e mi viene da domandarmi: ma, nel mentre, la pivi ha realizzato qualcos’altro? Un’artista brillante, che ha eseguito opere interessanti, spiazzanti, originali, che sembra essere implosa.
    Tutto il resto è noia.

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