30 luglio 2010

fino all’8.VIII.2010 Berlin Biennale 2010 Berlin, sedi varie

 
Quanto conta la realtà nella nostra vita? Che senso ha parlare di fatti e cose vere quando tutti sanno che le bugie e l’intrattenimento sono il pane quotidiano con cui vengono alimentati gli individui? Questi gli interrogativi che pone criticamente la Biennale di Berlino. Le risposte, però, sono a senso unico...

di

È un tema complesso e
intellettualmente seducente quello pensato da Kathrin Rhomberg per la sesta
edizione della Biennale di Berlino. Un argomento che può essere posto
essenzialmente in forma interrogativa, date le smisurate difficoltà a
rispondere univocamente: qual è il valore della realtà, di tutto ciò che
onestamente può essere considerato vero? È soprattutto, come scrive nel suo
saggio in catalogo, un’analisi mirata a chiederci “perché l’autoinganno
abbia smesso di essere considerato esclusivamente come un fenomeno di
psicopatologia individuale e sia diventato invece – nella nostra corsa
frenetica cui ci induce la nostra società basata su modalità competitive – un
prerequisito accettato, giustificato e tollerato dai più tanto per la
sopravvivenza quanto per il perseguimento del successo
”.

Giustamente, come osserva
Rhomberg, “non esiste un criterio uniforme che ci permetta di orientarci in
questo mondo che sembra dicotomico
” (in realtà le due componenti più spesso di quanto si
pensi si mescolano) senza aver sviluppato reti di conoscenza che ci permettono
di decifrare le informazioni, di leggere gli eventi. Conviene quindi basarsi
sulla molteplicità, sul prefisso ‘multi’ che evidenzia i gradi di complessità
della nostra società, data la nostra sostanziale inettitudine a riconoscere a
prima vista e a percepire i confini tra reale, fiction e bugia. Dispiace però
che le risposte messe in essere nelle mostre berlinesi siano invece troppo
orientate al realismo politically correct da occidentali che si mettono gli occhiali per
riflettere sui propri drammi, senza proporre – oltre alla critica
socio-politica – altre forme e dinamiche di smascheramento. L’effetto è così quello
che le opere sono accessorie e servono a descrivere e a fare analisi più che a
proporre e a veicolare pensieri, utopie e quant’altro. Sono cioè diventate
simili a sistemi che producono solo informazione.

Non è un caso che le opere più
interessanti siano quelle in cui lo spettatore partecipa, senza essere oggetto finale di
un sistema (pur legittimo) di controinformazione. È il caso dell’installazione
monumentale di Petrit Halilaj che occupa la sala centrale dei KW, una sorta di palazzo
in legno abitato da polli. Chi guarda vede e può interagire con gli animali da
cortile e avvertire la puzza dei loro escrementi. I polli esistono, mentre la
pur encomiabile installazione di Mark Boulos – che proietta su due video alle
estremità della stanza un reportage sui guerriglieri del delta del Niger
contrapposto alla borsa delle materie prime – finisce per dire allo spettatore
proprio quello che catarticamente si aspetta di vedere per lavarsi la
coscienza.

È un errore in cui non cade Marxism
Today
di Phil
Colllins

(commissionato proprio dalla Biennale), lunga intervista a varie donne che
hanno vissuto il Muro e la propaganda, benché l’esito sia abbastanza scontato:
stavamo meglio quando stavamo peggio. Nella troppo lunga sequenza di video (per
la sola sede di Kreuzberg ci vogliono cinque ore!) i lavori più interessanti
sono però quelli performativi, antididascalici, come il caso dell’israeliano Avi
Mograbi
, che
chiede ai soldati la ragione dei loro comportamenti antipalestinesi, o Ferhat
Özgür
, che mostra
due donne turche che decidono di scambiarsi gli abiti, o ancora Sebastian
Stumpf
, che si
intrufola nei garage che si stanno chiudendo come un novello Arsenio Lupin.

Se si esclude la bella
installazione multitappeto di Hans Schabus e i lavori video di Armando Lulaj, tutto il resto è davvero noia
ammantata da una continuata e spiacevole mancanza di oggettualità, con
un’estetica uniforme e una visione troppo engagé. Manca proprio uno dei valore più
eversivi che l’arte e le opere possono fornire come riscontro della realtà,
contro l’essere solo destinatario finale di contenuti: l’esperienza
individuale.

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riflessione sulla scorsa Biennale di Berlino e del Withney

daniele capra

mostre visitata il 22-23 luglio
2010


dall’undici giugno all’otto
agosto 2010

VI Berlin Biennale
for Contemporary Art – What Is Waiting Out There

a cura di Kathring Rhomberg

Sedi
varie – Berlino

Orario: da martedì a domenica
ore 10-19; giovedì ore 11-22

Ingresso: intero € 14; ridotto
€ 7

Catalogo DuMont Buchverlag

Info: tel. +49 302434590; fax +49 3024345999; office@berlinbiennale.de; www.berlinbiennale.de

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33 Commenti

  1. interessante questa riflessione sulla biennale. Il punto sta che c’è una dimensione fiction tra realtà e sua documentazione. Questo avviene nell’informazione in genere ma anche nell’arte. Se prendiamo un fruitore medio di arte, costui probabilmente avrà visto più opere documentate che opere dal vero. Questa terza dimensione “immaginata” mi sembra possa fornire spunti interessanti.

  2. penso invece che noi avremmo molto da imparare da una biennale più sostanza e meno salamelecchi e pompa magna
    e che il concept di quella di Berlino sia filosoficamente e intellettualmente più stimolante di un “Fare Mondi” per esempio
    e penso pure che il video di Sebastian Stumpf
    potesse avere quelche riferimento al muro di Berlino più che a Lunpin

  3. ovvero come essere impegnati ad annoiarci tutti….senza nè radici nè storia…solo un piatto noglobalismo di maniera radicalsciccoso, un popolo di Seattle in piena Europa…se il resoconto corrisponde, siamo in acque alte…

  4. forse è un po troppo engagé ma è discutibile il potenziale eversivo di un atteggiamento individualista:
    prendiamo due casi di individualismo italico ,cattellan e il piu mediocre vascellari , ecco due individualisti non troppo engagè che non sono sovversivi per nulla e che non disturbano nessuno perchè in un certo modo si mettono davanti alle questioni senza in definitiva affrontarle, comunicando in modo altisonante ma vuoto nel concreto. forse a berlino c’è troppa concretezza e il rischio è che una realtà cruda sia prevedibile comunque è interessante che lì, in quella particolare città con una storia ben nota, si manifestino certe idee e preoccupazioni: non dimentichiamo che non molti anni orsono si parlava della “Fine della storia” finalmente raggiunta! forse bisognerebbe lavorare su una via di mezzo, certo , ma guardando all’ambito italiano , con i problemini che si ritrova il bel Paese, gli artisti italiani non fanno bella figura nè per impegno e forse nemmeno per intelligenza; parlo ovviamente dell’andazzo generale….

  5. Condivido e metto l’accento sull’antiesteticità, cioè si tratta di arte, sarà superato ma questa riguarda l’ambito visivo, per cui l’occhio…

    giusto riflettere ma soprattutto guardare…

    e in questa biennale c’è poco da guardare, tanto da riflettere ma poi a che serve, oramai le hanno fatte di tutte da sierra alla abramovic…

    qui la sensazione è che si sfrutta un malessere altrui per il proprio benessere di notorietà…

  6. Caro Luca, nel caso delle opere viste per riproduzione (sia statica che dinamica: foto o immagine in movimento) più che una “fiction della rappresentazione” di cui parli tu, penso esistano molteplici fiction, differenti approcci documentativi che hanno attinto altrove non avendo sviluppato dei codici propri. Per esempio hanno rubato a man bassa al cinema o ai videoclip musicali o al mondo dei cartoon. È difficile trovare dei criteri documentativi certi ed oggettivi, per cui anche la documentazione è soggetta ai gusti, alle mode, alle ideologia. Alla fine hai ragione tu quando dici che guardando una riproduzione ci siamo sciroppati non solo le opere ma anche tutto l’ambaradan di mezzo. Alla fine siamo più entrati in contatto con la rappresentazione dell’opera, mediata e non necessariamente oggettiva, che esperito l’opera stessa.

    Cara Jennyfer, condivido che la questione intellettuale posta dalla Rhoberg sia molto più stimolante di “Fare mondi”, ma anche molto più rischiosa, con il pericolo che le risposte ricercate siano didascaliche (com’è capitato qui). Tanto più perché, al “deficit di realtà” che caratterizza la nostra epoca – in bilico tra realismo eccessivo e fantasy allo stato puro -, penso che sia necessario reagire trovando delle utopie che ci permettano di guardare altrove. Come risposta alla domanda chiusa e stringente della mostra avrei voluto altre domande, aperte, in grado di destabilizzare, di mettere incertezza.

    Caro Vincenzo, hai centrato la questione. Come ho scritto sembra la Biennale sembra la risposta degli occidentali di sensibilità marxista (cosa questa a dir il vero tutt’altro che negativa) che si mettono gli occhiali per spiegare come va il mondo. Manca l’aspetto visionario, e se l’arte non dà questi brividi evidentemente è informazione o qualcos’altro.

    Caro Achab, al contrario di te penso che l’arte abbia delle potenzialità eversive sull’individuo, cosa per altro che ad esempio conoscevano bene i nazisti o gli altri regimi dittatoriali che hanno agito in forma censorea nei confronti non solo di chi proponeva un’arte direttamente critica o politica, ma anche di chi mostrava gli abissi dell’uomo (vedi ad esempio il caso di Emil Nolde, al quale fu vietato di dipingere). Non è tanto il solipsismo o l’individualismo dell’artista che realizza l’opera, quanto la percezione di chi guarda.

    Caro Doattime, il problema a mio avviso è che molto spesso non esiste una pluralità di estetiche engagé, ma piuttosto una modalità noiosa e ritrita di mostrare le cose. Si ha infatti molto spesso l’impressione di avere a che fare con propaganda ideologica e non vera e propria arte. È difficilissimo essere politici senza essere pedanti, è una virtù rara!

    Caro Giampaolo, grazie per le tue parole. Penso che se l’arte dà risposte diventa pura ideologia…

  7. Caro Achab, io ho risposto alla tua obiezione principale che hai mossso alle ultime righe del mio articolo. Tu infatti scrivi “è discutibile il potenziale eversivo di un atteggiamento individualista”.
    Non ho capito bene la cosa su Vascellari/Cattelan, ma quello che volevo dire era che l’arte è in grado di cambiare intimamente chi la guarda, anche quando stimola un atteggiamento solipsistico dell’osservatore.
    E questa, a mio modesto avviso, è una gran cosa. Ho parlato dei nazisti perché erano consci dell’importanza e del valore dell’arte. A chi avrebbe nuociuto Nolde se Nolde non avesse inciso sulle persone sue contemporanee?

  8. Semplicemente mi fa paura pensare che esista una forma d’arte che si piega alle logiche curatoriali, una forma d’arte che serve come giustificazione di certe logiche massimaliste e pseudointellettualoidi utili alla sola masturbazione di curatori post Obrist che trovano un concetto sociologico su cui costruire un marasma apocalittico sociale. L’arte ingabbiata in queste logiche del reale è un arte non contundente, un arte dai Rai tre, il mondo visto da you tube lievemnte zuccherato da qualche trovata.Devo camminare in mezzo ai polli per capire la critica contemporanea? cosa c’è di più scontato e vecchio? cosa mi dovrebbe emozionare ? l’odore dei polli? gli escrementi? ma chissenefrega delle donne arabe ( ovviamente nell’arte) se me le propinano tutti i giorni su tutti i giornali?due si scambiano un vestito e allora? credo che sia meglio rifare un passo indietro in un mondo in cui gli artisti parlavano di demoni e di cazzi propri…anche per un attimo.

  9. C’ è una nostalgia politica difficile da cancellare. Mi sembra che questo rigurgito concettuale dell’azione sociale stia davvero raschiando il fondo fino alla noia. Chissa se questo artista dei polli avrà mai ascoltato negli anni 70 Giorgio Gaber!! avrà mai visto le azioni ( milioni di volte più interessanti de la fura del baus?). Ho paura che questi curatori siano troppo impegnati a trovare artisti da manipolare per le proprie idee di biennale più che guardarsi davvero attorno o cercare nel tessuto artistico. Alla base c’ è sempre una spinta individualista celata dal sentimento morale della collettività. Ma all’arte contemporanea non frega nulla di comunicare al pubblico, vuole il poco ricco, il sentirsi elitè, il piccolo giro, le testate specializzate. Quando si è compromessi con il mercato si cercano i portafogli gonfi non i cuori allargati; e successivamente è facile parlare di dinamiche sociali.

  10. Sono perfettamente d’accordo con te Orlando, ma l’arte a mio avviso è sempre un gesto politico…la politica, la morale, la storia, il concetto di bellezza, hanno da sempre fatto parte dell’arte, in oltre l’arte deve rappresentare un momento, ed è il momento di tornare a parlare di politica e valori senza retorica o ideologie.. e con la giusta ironia, personalmente non mi interessano i problemi esistenziali degli artisti o della loro sessualità o come si vestono…le trovo modaiolo, scontato e stra raccontato, non penso che Caravaggio non abbia fatto opere politiche nella sua vita… stessa cosa vale per Picasso…bisogna saper parlare alla gente di cose importanti senza farla annoiare…con inutili intellettualismi, vedere la commedia all’italiana in stile Monicelli e Comencini…con ironia e gusto per il divertimento…

    http://www.fattitaliani.it/index.php/news/515/60/UN-BIANCO-NERO-ROSSO-SANGUE-INTERVISTA-AGLI-ARTISTI-DI-LABORATORIO-SACCARDI

  11. l’arte non è sempre un gesto politico.
    gli artisti, per esempio, che lavorano cercando la bellezza, non fanno politica.
    e, dirò di più, l’arte non politica è di gran lunga superiore…

  12. caro daniele
    mi pare che usi il termine solipsistico in modo superficiale se non fuoriluogo: se è solipsistico non ha bisogno neanche dell’arte, no?
    quanto a cattellan e vascellari intendevo dire che i loro lavori post- ideologici e legati a un’atteggiamento individuale non sono affatto trasgressivi di nulla perchè in realtà affrontano i temi o le questioni in modo generico anche quando apparentemente si impegnano su fatti sociali, politici ecc.(concedendo che vascellari sia in grado di affrontare un tema o una questione)
    Le ideologie o le filosofie diventano schemi e paraocchi per gli inintelligenti ma possono essere feconde e acute nelle mani meno banali, guardiamo recentemente zizek ad esempio.
    Pensare che ci siano fatti o opere senza interpretazioni o approcci in qualche modo precostituiti è semplicemente pigrizia intelettuale.
    Per il resto accogliendo le tue critiche su un’ecccesso di “Impegno” che rischia di tramutarsi in didatticismo o politica tout court (politica ineffettuale dato che è circoscritta nello zoo delle mostre d’arte)ho sostenuto che bisognerebbe seguire ovviamente una via di mezzo, inevitabile perchè la comunicazione contempla necessariamente un medium di aspettative opinioni ed “abiti” ed è superstizione parlare di un contatto diretto e intimo tra opera e fruitore
    quindi a berlino forse qualche schematismo di troppo ma mi fanno ridere questi artistini italiani che vorrebbero continuare a fare le loro cosette senza il pericolo di discorsi troppo impegnativi

  13. Piero, Michelangelo era un artista politico perchè rappresentava la politica e la filosofia del suo mecenate…vascellari è solo uno che si veste male e suona peggio..Cattelan è un artista…

  14. sostenere in pubblica piazza che ogniuno sia fautore del proprio destino è un operazione umanista quindi politica, il David è un’opera politica perche rappresenta la filosofia del suo mecenate che era un uomo politico oltre che religioso…

  15. Caro Achab, penso invece che sia tu ad ignorare il significato di “solipsismo”. Ecco qua, leggi con attenzione (diz. Garzanti):
    1 (filos.) ogni dottrina che concepisca l’io come unica realtà esistente; in campo etico, teoria che assuma il principio dell’egoismo e dell’utile individuale come norma etica fondamentale;
    2 (estens.) soggettivismo, egocentrismo esasperato.
    Dimmi un po’ se non quello di cui parliamo? Tu non hai detto che ci sono artisti che portano avanti questo approccio citandone un paio?
    Puntualizzazioni a parte, condivido il fatto che le ideologie non siano semplici scatolette da spostare nel grande bazar del pensiero ma strumenti che permettano di descrivere il mondo, talvolta di spiegarlo, più raramente di anticiparlo. Solo pochi hanno l’abilità di muoversi tra queste scatole non rimanendone schiacciati.
    L’arte ha talvolta questa capacità di muovere cose distanti senza toccarle. Ad esempio è capitato che l’arte concettuale, per sua definizione insensibile all’estetica, abbia sviluppata una “consuetudine” che alla fine è un’estetica, grazie alla quale ad esempio siamo in grado di capire se l’opera che stiamo vedendo sia un’opera concettuale o meno. E ugualmente fare un’opera a-politica potrebbe voler dire alla fine di fare un’opera non-politica. È una sorta di eterogenesi dei fini.
    Non criticavo le opere politicamente impegnate, bensì l’idea che un ritorno alla realtà possa essere solo possibile con opere programmaticamente politiche. La curatrice ed il suo team si sono fatti una domanda e si sono dati una risposta (Marzullo docet).

    Cara/o Laserjet, buona sintesi, condivido!

    Caro Piero, il David rappresenta un nuovo modello di uomo (quello rinascimentale e moderno), sconosciuto prima!

  16. caro daniele
    io il significato di “solipsistico” lo conoscevo già anche prima che tu ti decidessi a verificarlo sul dizionario tanto più che io non ho usato il termine “solipsistico” per nessuno (prova a rileggere le mie righe) mentre invece ho detto che la sua introduzione da parte tua mi sembrava
    usata “in modo superficiale se non fuoriluogo”:infatti chi l’ha usato per primo sei stato tu nelle frasi “Non è tanto il solipsismo o l’individualismo dell’artista che realizza l’opera, quanto la percezione di chi guarda.” e in “Ma quello che volevo dire era che l’arte è in grado di cambiare intimamente chi la guarda, anche quando stimola un atteggiamento solipsistico dell’osservatore.”

    Ora, queste frasi continuano a suonarmi un po sballate e penso che tu non sia molto in confidenza con l’uso che si fa di “solipsismo” in filosofia (uso ben diverso dal termine “individualismo”) altrimenti troveresti piu interessante questa definizione tratta da un altro noto dizionario: “Solipsismo-atteggiamento filosofico secondo il quale il soggetto pensante non puo affermare che la propra individuale esistenza in quanto ogni altra realtà si risolve nel suo pensiero (dal lat.solus, solo; ipse, stesso)”
    medita bene sull’etimologia e pensa a quello che hai scritto: cosa significherebbe una frase come : ” l’arte è in grado di cambiare intimamente chi la guarda, anche quando stimola un atteggiamento solipsistico dell’osservatore.”? come si fa a cambiare intimamente un solipsista se questo è convinto lui di essere l’autore del mondo? e cos’è uno spettatore solipsista se un solipsista è convinto che ilmondo esterno sia una sua creazione? E allora, se per definizione lo spettatore non puo essere solipsista altrettanto difficilmente lo puo diventare guardando le opere d’arte (se guardo un’opera d’arte convengo implicitamente che esiste una realtà esterna e quindi non posso diventare solipsista).
    Ma tu parlavi anche degli artisti non solo degli spettatori e infatti dici “il solipsismo o l’individualismo dell’artista”
    e qui le cose non migliorano perchè, primo:, appunto confondi “solipsismo” e “individualismo” che secondo un discorso meno banale non sono sinonimi, secondo: un artista che lavora in vista di uno spettatore non puo essere solipsista. Neanche cattellan o vascellari lo sono e nè lo vogliono essere: esprimeranno piuttosto un individualismo forse “furbetto” , opportunista,infantile , con un’approccio alla realtà superficiale ecc
    ma il solipsismo lo lasciamo a berkeley e a hume.
    ora però abbiamo perso un pò di vista la critica che invece avevo fatto agli artisti italiani in generale ……

  17. certi curatori scrivono troppe cacchiate, daccordo con orlando.

    Esempio: Flash Art luglio 2010 pag. 57, Daniela Zangrando su Alberto Tadiello.

    Un testo degno dei romanzetti Harmony.

    “Alzo istintivamento lo sguardo. Lui è li. Trattengo il respiro. Sa della mia presenza.

    E’ una bestia. Nient’altro che una bestia.”

    “Se lo si fiuta da lontano, meglio girare a largo o cambiare strada.

    La lingua ruvida e dura, cosparsa di aculei rivolti all’indietro e in grado di lacerare la pelle.”

    “Nonostante la paura, mi scuote l’ebrezza di tenergli testa, di non lasciare il campo.

    Le labbra si sfregano un po’ convulse, su e giu, attratte.

    Scordo la prudenza, calpesto il buon senso.
    Lui rimane li, attende.

    Intravedo il suo addome muoversi.
    Respira lento.

    Conto i passi che ci separano. Gli lancio un’occhiata. accettera’ la sfida”

    Non avevo voglia di copiare tutto, ma la Zangrando qui era davvero arrapata.

    In riferimento all’opera di Alberto Tadiello LK100A, 2010. barre e lamiere di ferro, dadi, bulloni, cavi d’acciaio, tubi, compressori, clacson pneumatico.

    Testo I M B A R A Z Z A N T E, specialmente per la Zangrando che scrive tali scempiaggini e indirettamente anche per Tadiello.

    Giancarlo Politi che stai a fa??????
    Lo vogliamo chiamare testo critico, compito in classe, o crisi post adolescenziale?

    Ho capito che c’e’ la disoccupazione, ma ormai fanno i curatori invece di scrivere i romanzetti Harmony!

  18. non esiste una realta ma tante e fra queste anche le bugie forse che i sensi non mentono noi siamo fatti di illusioni e sogni questa io penso è la vera realta

  19. Caro Achab, non vorrei che ci inalberassimo sull’uso di una parola, ma ti faccio presente che esiste un uso estensivo del termine, che è quello cui io facevo riferimento, tanto più perché stavamo parlando di arte e non di filosofia. Ma non voglio fare la precisazione sulla precisazione altrimenti qui si discute di aria fritta in maniera inconcludente.
    Per quanto riguarda i lavori degli artisti italiani che hai citato, trovo Cattelan trasgressivo e politico, anche nelle sue provocazioni, come dimostra anche il lavoro per la Biennale di Carrara: un’opera che pone delle domande e che mette in discussione gli stereotipi della storia della politica, ed è ben più profonda di quanto appaia nel spiegare il nostro ambiguo rapporto con il passato. È un lavoro “politico”, anche se non engagé.
    Vascellari ha sviluppato poetiche differenti, basate sulla visceralità e sul rapporto “ambientale” con chi guarda, attraverso la performance. Il suo non mi pare un lavoro che abbia degli effetti politici.

    Caro Luca, non so quale sia il contesto con cui Daniela Zangrando ha scritto il testo, non compro mai Flash Art. Segnalo a lei il tuo commento.

  20. “Come risposta alla domanda chiusa e stringente della mostra avrei voluto altre domande, aperte, in grado di destabilizzare, di mettere incertezza”…….
    si, non tutto meritava tra le opere e a volte le reazioni di alcuni autori a certe tematiche appaiono un pò scontate, non c’è dubbio
    Jennyfer

  21. di cose ovvie e scontate ce ne sono fin troppe, molti artisti sfogliano qualche rivista e poi pretendono di fare gli intellettuali, e tanti curatori fanno finta di nulla e propinano alla gente di tutto “tanto chi vuoi che se ne accorga”…

  22. caro Daniele
    l’uso estensivo di un termine in certi contesti non va bene, credo che riguardo ai discorsi sull’arte l’uso estensivo denota mancanza di chiarezza o consapevolezza altrimenti se vuoi visto che ci siamo posso far partecipare al dibattito anche il mio idraulico che di arte non capisce un
    tubo :)))
    (anche se mi rendo conto che la mia è una battaglia persa: chi cerca rigore intelettuale
    o intelligenza non lo può trovare certo nel mondo dell’arte contemporanea cosi’ com’è combinato e qui si cita giustamente certa robaccia che passa su flash art)
    credo che cattelan sia il tipico figlio di questo mondo con lavori che non fanno affatto pensare ma che sfruttano piuttosto l’onda del motivo esterno per fare risonanza
    ci sono molti che apprezzano quest’abilità ma continuo ad essere convinto che per apprezzare certe cose …..
    sarebbe stato piu provocatorio esporre il cenotafio con craxi davanti ad una sede di forza italia ma forse sarebbe stato meno generico ma come ho detto non ci sono molti Hans Haacke in italia
    quindi cattellan non engagè ma scusami nemmeno politico e se vuoi, tiriamo fuori i dizionari anche per il termine “politico”…
    vascellari ovviamente è ancora peggio e non perchè non mette dentro le proprie opere esempi raffinati come kennedy o hitler ma perchè è immerso nella sottocultura da Rolling Stone per cui la musica rock o punk sarebbero sintomo di rabbia allo stato puro , sono trasgressive e contro il sistema, anche se in realtà in italia la vera rivoluzione sarebbe la riforma del fisco piu che sentir strimpellare dei musicisti falliti nelle strade di vittorio veneto…..
    almeno i trobbling gristle erano incazzati sul serio (anche se personalmente faccio a meno anche di loro)

  23. caro daniele, se riesci anche prendendolo in prestito leggilo, anche solo il pezzo su tadiello, visto che segui l’artista e lo conosci.

  24. Sottoscriviamo in tutto e per tutto l’analisi sviluppata nell’articolo, aggiungendo che soprattutto manca, nella scelta delle opere, una critica ai LINGUAGGI del reale.
    Ad ogni modo, abbiamo solo un appunto sull’articolo: e Cameron Jamie, che da solo valeva l’altrimenti sprecato prezzo del biglietto?

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