01 settembre 2010

fino all’11.IX.2010 Anna Galtarossa / Hiroyuki Masuyama Verona, Studio la Città

 
Collezionare e collazionare, accumulare oggetti e trasformarli in mitologie: è l'utopia di Anna Galtarossa. Quella di Masuyama? Riaccendere in piccole lightbox i deliri visivi di Turner...

di

Possiamo esistere solo perché facciamo digressioni”: così il filosofo Hans
Blumenberg. E le composizioni di Anna Galtarossa (Bussolengo, Verona, 1975; vive a
San Pietro in Cariano, Verona, e New York) paiono esistere proprio solo perché
praticano l’operazione dello scarto: scarto inteso nella duplice accezione di
resto e deviazione di senso, di spoglia e correzione impressa all’esperienza.

Tutti gli elementi che l’artista impiega sono oggetti che
provengono dal mondo del riciclo: parrucche, fiori artificiali, calze di nylon,
paillette, borsette, bandierine di plastica. Un archivio del vissuto, una
raccolta di bizzarri scampoli memoriali. Galtarossa assume tutte queste scorie,
perché sono ancora vive, sono belle. E le assembla per costruire nuovi mondi e
nuovi trofei (come, qui, un gigantesco Totem rotante, simile a una divinità
dell’ebbrezza, della danza, del ritmo).

Per lei la scultura non è la regola, ma l’eccezione. La
sua opera esibisce l’ansia di contenere tutto il possibile senza darsi una
forma o disegnare dei contorni: è una sottile parabola del fare e del disfare,
dell’aggregarsi e disgregarsi dei vari materiali impiegati. Anna Galtarossa - Divinità Domestiche - 2010 - materiali vari - cm 80x60x45Alla fine pare una
sorta di “unicum” modificato, un coagulo di visioni e stravaganze, simile a
quello dei sogni. E il sogno, si sa, è reale e insieme impossibile: quello di
Galtarossa è un sogno a occhi aperti, fatto di un montaggio di oggetti veri
disposti in commistioni paradossali.

E anche gli assemblaggi di dimensioni più ridotte ci
raggiungono con la loro portata di eventi epifanici, facendoci sentire una
irrinunciabile distanza (se non un ribaltamento) rispetto alla realtà. Sono
soglie tra due mondi opposti che tuttavia si toccano o, come dice la stessa
artista, “cose mantenute in uno stadio di perenne flessibilità”.

In una delle “cappelle laterali” di quell’autentica
cattedrale che è lo Studio la Città, il giapponese Hiroyuki Masuyama (Tsukuba, 1968; vive a Düsseldorf)
presenta una ventina di lightbox di piccolo formato, poco più che miniature che
contengono un’immagine incerta, in fieri. Il soggetto è Venezia, colta seguendo
lo stesso tragitto e lo stesso metodo operativo del pittore romantico William
Turner
. L’artista
inglese tracciava una serie sterminata di schizzi e di studi a matita prima di
arrivare all’opera “finita”; Masuyama impiega centinaia di scatti prima di
fonderli digitalmente in un’unica immagine.

Nelle vedute di Turner la città sembrava disfarsi nella
luce e la solidità delle cose si confondeva con gli elementi fluidi. Masuyama
ottiene gli stessi effetti attraverso un lavoro di sovrapposizione di foto,
come a voler conseguire un’immagine da attendere, da guardare mentre lentamente
si forma e si dipana, senza mai diventare una forma definitiva.

Hiroyuki Masuyama - J.M.W. Turner, Fisherman on the Lagoon, Moonlight 1840 - 2010
- led lightbox
- cm 19,2x28x4
In entrambi i casi si pone comunque il problema della
compiutezza dell’opera. Se in Turner non si sa mai dire se la pittura sia
davvero conclusa, Masuyama va oltre ogni pura “esplorazione visuale” per creare
una dimensione potenziale, complessa, plurima. Ogni sua immagine intende
attingere all’immaginario e ogni sua visione aspirare alla visionarietà.

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Anna Galtarossa – Divinità domestiche

Hiroyuki Masuyama – After J.M.W.Turner. The last
journey to Venice

Studio La
Città


Lungadige Galtarossa, 21 – 37133 Verona


Orario: da martedì a sabato ore 9-13 e 15.30-19.30


Ingresso libero


Info: tel. +39 045597549; fax +39 045597028; lacitta@studiolacitta.it; www.studiolacitta.it



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