07 agosto 2011

SICILIA. UN GIORNO D’AGOSTO A GIBELLINA

 
Scompare oggi per sempre il Senatore Ludovico Corrao, che ho incontrato pochi giorni fa nel suo amato Baglio Di Stefano, sede e culmine delle sue battaglie e speranze per una terra migliore. Pubblichiamo qui la sua ultima intervista che gentilmente mi ha concesso accogliendomi per un giorno intero in casa sua, come omaggio alla sua immensa cultura e alla sua vitalità d’animo...

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Una figura esile ed elegante, quella del Senatore Ludovico Corrao, ricca di profondi Sentimenti, di Cultura e di Ideali e che ha saputo tradurre in uno straordinario amore per l’arte contemporanea il pensiero mediterraneo.

Espressione della rivolta milazzista e speranza viva di tutte le rivolte di cui ancora il nostro Paese necessita, ha dato vita alla più grande collezione d’arte contemporanea siciliana, quella del Museo delle Trame del Mediterraneo a Gibellina con l‘istituzione della Fondazione Orestiadi.

Alighiero Boetti, Giulio Turcato, Carla Accardi, Daniel Buren, Franco Angeli, Mario Schifano, Nja Mahdaoui sono solo alcuni dei nomi degli artisti che si leggono fra le sale e i corridoi del museo, amici del Senatore.

Un luogo magico e pervaso dalla cultura che ha visto grazie a Ludovico Corrao la sua rinascita da città terremotata a città d’arte.

Come nasce il suo rapporto con la città di Gibellina? 

Non c’è un progetto partorito dalla mente di Giove, c’è un lavoro in progresso che si arricchisce delle esperienze, dei contributi, delle necessità che sorgevano giorno per giorno, seppure con un obiettivo principale, quello di fare della cultura la leva principale della ricostruzione.

Perché ricostruire le case senza lo spirito, i valori comunitari di solidarietà, propri della civiltà contadina, senza questi segni di speranza, di fiducia nell’avvenire le case diventano vuote, prive di sentimento, diventano soltanto dei ricoveri ma non delle comunità, non delle città. 

E in quel momento tragico, evidentemente, il timore era che la cancellazione della città rappresentasse anche la cancellazione della storia di una comunità oppressa, misera, schiava dei padroni feudali, dimentica delle sue radici storiche importanti. 

Dagli elimi ai greci, ai romani, punto di passaggio interno della Sicilia per andare a Selinunte, a Marsala, per andare a Trapani, dimentica anche delle grandi mobilità di queste popolazioni, villaggi, villaggetti che crescevano, venivano abbandonati, a pochi metri veniva costruito un’altra cosa, quindi già c’era nell’anima di queste persone un nomadismo scritto nei propri caratteri che poi si verificava anche col nomadismo dei grandi flussi migratori, prima verso la Tunisia poi verso le Americhe e subito dopo il terremoto, verso le lontane Australie. 

Punto principale era di seminare, per far crescere qualche germoglio di ritorno alla propria storia, alla propria terra, di ritorno alle proprie origini con una visione non più legata alla storia, legata al rapporto con gli altri uomini ma con una società libera, aperta e l’arte, la cultura, era l’unica possibilità di dare forza e coraggio a queste persone.

Come ha avuto inizio il legame di Gibellina con l’arte?

L’incentivo economico valeva poca cosa anche perché in quei periodi l’agricoltura era già in crisi profonda e questi non erano coltivatori della terra anche se nei secoli avevano lottato per la libertà del feudalesimo. Ricordo un sacerdote arciprete di Gibellina dei primi anni del novecento, agitarsi con i contadini per l’occupazione della terra, contro la mafia, contro l’usura e fu fucilato sul sagrato della chiesa mentre andava a celebrare la messa. 

Figure eroiche che erano rimaste negli stati profondi della memoria contadina che aumentavano la voglia di riconquistare la terra. 

La città nasce dove c’è il tuo lavoro, dove c’è il tuo futuro, il sole, la terra, il porto, una terra dove mancava anche il richiamo di un mito che legasse. Ma il mito erano le loro battaglie, la loro resistenza, era in gioco il loro avvenire, finché nella famosa veglia notturna di Gibellina le parole straordinarie pronunciate da Carlo Levi, l’appello di Leonardo Sciascia e tanti altri artisti, suscitarono un moto irresistibile nell’animo dei contadini, delle donne di Gibellina e soprattutto nella partecipazione diretta degli intellettuali e degli artisti  alla ricostruzione fisica, materiale della città, non alla donazione di un’opera ma alla formazione di un nuovo cittadino, alla trasformazione antropologica dei contadini analfabeti in artigiani capaci di esercitare le botteghe nello spirito proprio del rinascimento. Questo è importante per Gibellina, al di là del valore delle opere, dei nomi dei grandi artisti che vennero con entusiasmo e si impegnarono con un sacrificio personale senza che avessero avuto la possibilità di una ricompensa, non lo chiedevano neppure, anzi donavano in qualche modo. E’ la nostra necessità anche rispondere ad una sfida dello Stato, che nella legislazione per la ricostruzione delle case del terremoto, inserirono una clausola che vietava nel modo più categorico l’utilizzo di piccoli fondi per l’edilizia pubblica dando spazio alle opere d’arte, cosa che per tutta l’Italia era allora valida, ed è valida ancora, sia pure criticabile per certi aspetti, qui veniva negato il diritto alla cultura, il diritto all’arte. L’unica arte possibile erano i monumenti ai caduti, quella soltanto veniva considerata arte, o le pareti affrescate nelle chiese per imporre un’ideologia religiosa. Dunque il problema era di fare uscire l’arte dalle chiese, dalle case dei nobili e portarle nelle strade, portarla nel cuore degli uomini, ecco seminare, perché germogli una civiltà nuova aperta al mondo contemporaneo.

In tutte le situazioni di catastrofi naturali o umane come le guerre i siciliani ricostruiscono con le pietre della bellezza, Noto, Messina, Palermo. Certo, si ricostruisce dopo le sciagure ma si ricostruisce nel segno della bellezza, perché la bellezza è verità, perché la bellezza è libertà, perché la bellezza è il riflesso dell’immagine dell’universo e del divino che è nell’universo ma che è dentro il cuore di tutti gli uomini. 

Nel 1991 istituisce le Orestiadi di Gibellina, rassegna internazionale di teatro, musica e arti visive. Nel 1996 ha dato vita alla Fondazione Orestiadi, donando gran parte delle sue opere al Museo delle Trame del Mediterraneo, ad oggi una delle più importanti collezioni italiane d’arte contemporanea, con quali obiettivi e quali speranze?

La fondazione nasce dalla constatazione che un piccolo comune, anche dalla mancanza del personale, non poteva affrontare un impegno che si era dimostrato cosi valido e che occorreva continuare a sostenere per i giorni avvenire e per il tempo avvenire, quindi la fondazione nasce con una consacrazione di quello che era già avvenuto, e l’opera di tanti altri volontari nei primi giorni del terremoto che dipingevano i murales e le baraccopoli o che costruivano dipingendo le case del popolo o che immaginavano i cimiteri e le nuove case come un segno dell’arte, come un segno della bellezza e quindi riperpetuare questo germe che era stato instillato e che aveva determinato all’insurrezione, la rifondazione di questo centro, sia pure spostandolo appunto qui nella valle, dove le comunicazioni già si aprivano a tante altre parti del mondo, perché è di questo la Sicilia ha bisogno, di essere aperta al mondo contemporaneo, senza nostalgia del passato ma con i valori del passato, che parlino la lingua di oggi e prefigurino il futuro di domani.

Oggi, a dieci anni di distanza dalla sua fondazione, cos’è cambiato? 

Dopo dieci anni continuiamo nella stessa attività, come le residenze degli artisti, dei giovani soprattutto che vengono qua, del teatro, della musica, negli incontri di poesia, dei poeti del mediterraneo, ci andiamo arricchendo di varie suggestioni, di vari apporti che possono essere dati, con le varie occasioni che si presentano, con le varie offerte di sostegno alle nostre iniziative e quindi anche con suggerimenti e adattamenti necessari che vanno fatti. Ecco perché dico che non c’era un progetto, quanto un’idea forte, un obiettivo generale da raggiungere con ogni mezzo e con una forza e un’energia di volontà, a costo anche di grandi sacrifici.

Lei Senatore che è stato anche espressione della rivoluzione milazzista, oggi per cosa farebbe una nuova rivoluzione?

La rivoluzione di Milazzo fu per la riconquista della libertà del popolo siciliano, libertà nel senso di disponibilità dei diritti umani intanto, disponibilità delle risorse endogene, delle risorse del sottosuolo, del mare, del cielo, della terra, cioè dire la pienezza del diritto di questi uomini che vivono su questa terra ma che la vedono ogni giorno rapinata nei suoi tesori da una politica colonialista ancora imperante che impedisce e impedirà finché durerà, lo sviluppo di questa terra. Ecco la battaglia dell’autonomia è la battaglia della libertà dei popoli e quindi si identifica con le battaglie di liberazione dei vari paesi del sud del mondo, in questo senso l’identità è il colloquio tra noi e i paesi poveri di allora del mediterraneo.

Oggi sceglierebbe ancora di vivere in Sicilia? 

Ma sempre, la Sicilia è il mio essere naturale, è il mio ossigeno, è la mia aria, è la mia vita. E però con gli occhi rivolti verso il mondo evidentemente e quindi sono anche un pellegrino, in continuo pellegrinaggio alla ricerca di nuovi sentieri o di vecchie trazzere, come erano quelle siciliane, da ripercorre per godere l’incanto di questa terra e le possibilità che ha, di gioia, di felicità da dare agli uomini e alle future generazioni.

Qualche anno fa è stata istituita una sede della fondazione a Tunisi. Come interagisce la cultura islamica con quella siciliana e con la fondazione Orestiadi nella scelta delle opere e degli artisti? 

Non solo la cultura islamica, tutte le culture interagiscono con la Sicilia, perché la Sicilia è un bacino nella quale si sono sedimentate tutte le culture del mondo conosciuto di allora, quando si parlavano le lingue di tutti i popoli, il greco, l’arabo, l’ebraico, il latino e qui la scuola era la scuola della poesia, la scuola dei giullari con la scuola di Federico II, poi la grande ventata storica fondamentale quella della civiltà islamica. Per noi è una continuità e questo miracolo per le presenze delle culture nel mondo si ripete oggi attraverso questo fenomeno dell’immigrazione di masse enormi da tutte le parti del mondo che guardano la Sicilia come una terra promessa, che approda in Sicilia dal mare, ahimè prendendo la vita e trasformando questo mare in un cimitero dove sono sepolti uomini, donne e bambini sotto lo sguardo beffardo di una luna e una società sorda ad ogni gemito ad ogni grido di pietà, ad ogni grido d’aiuto. Si sta verificando una rinascita del peggiore razzismo nazista che quantomeno dovrà impiegare dei capitali per costruire delle baracche, qui invece l’invito è a sparare sugli immigrati, a farli morire affogati nel mare, senza neppure le spese della sepoltura. 

La cosa orribile è l’insensibilità, l’indifferenza o addirittura il dileggio di un presidente del consiglio che verrà ad annunziare che per risolvere il problema di Lampedusa basta fare dei campi da golf, dei casinò, dei giochi, e la gente va a bagnarsi in quel mare da dove ogni giorno emergono cadaveri di morte, o spettacoli di cantanti di musica leggera, come se la vita passasse sui cadaveri di questa gente per dimenticare questa grande tragedia. 

Ed oggi in Sicilia queste masse di immigranti parlano le lingue di tutto il mondo verificando una novella pentecoste, le lingue dell’Asia orientale, le lingue dell’estrema Asia, dell’Asia meridionale, dell’India, dell’Africa, del Sudamerica tutti qui presenti con i loro dei, le loro religioni,  che adottano però anche un sincretismo religioso ai nostri santi, la devozione a Santa Rosalia, i viaggi che fanno al monte per venerarla, cosi per la Vergine Maria. 

O dei cattolici africani che riaprono le chiese cattoliche chiuse e le rianimano con la loro presenza, le gestiscono con i loro canti, le loro danze, le loro liturgie, ebbene, una primavera così bella, così straordinaria e inaspettata e la decadenza generale del costume, dei valori, dell’impostazione generale dei ceti dominanti del nostro paese, è un segno di continuità, di fertilità, cioè a dire questa terra è un vulcano che irrompe continuamente in musica, poesia, letteratura, architettura, in tutti i saperi e tutti i linguaggi di cui è capace l’umanità oggi. 

Lei è stato il fautore della trasformazione di Gibellina da città terremotata a città d’arte, mostrando come l’arte contemporanea possa essere un mezzo per il recupero valoriale del territorio e del tessuto culturale siciliano e della sua identità. Quale pensa possa essere il futuro dell’arte contemporanea?

L’arte contemporanea è legata al futuro, senza arte non vi è futuro e non vi è futuro senza arte evidentemente. L’arte è il sostegno della vita anche economica, è il motore stesso della vita economica, cosa sarebbe l’economia senza la ricerca scientifica quindi anche senza la cultura. A cominciare dalle coltivazioni del grano e dalle sperimentazioni, per non dire anche dell’indotto economico che determina l’arte, dai produttori di vernice, di tele, di bronzo, di fusioni, cioè a dire un immenso arsenale, cantiere di lavoro che può assicurare con il pane l’avvenire, può assicurare una vita più serena, più gioiosa.

Ci sono altri sogni per Gibellina e la sua fondazione che vorrebbe realizzare?

Ma certo, intanto il completamento del cretto di Burri e poi con l’umiltà e la modestia di capire che una città non nasce in poco tempo né si afferma. Noi possiamo dare le linee generali d’indirizzo, saranno le future generazione ad arricchirlo, modificarlo, stratificare le varie situazioni, rimuovere anche errori o debolezze delle esperienze passate, è un compito che viene affidato a loro. Come si dice, Roma non fu fatta in un solo giorno, occorrono decenni, secoli e millenni, forse questo ce lo auguriamo.

Quali timori nutre per la Sicilia d’oggi?

Per la Sicilia nutro il timore, che più che timore è una realtà, di questo nuovo crudele, criminale egoismo colonialista di sfruttamento totale dei nostri beni. Ci passano ricchezze sotto il naso, il petrolio che sgorga da qui, il petrolio che viene dagli altri paesi e, di passaggio senza lasciare una goccia, un beneficio per la Sicilia, proprio una rapina lenta ma inesorabile, che impedirà per molto tempo, finché la Sicilia non troverà la capacità di rivolta che trovò con Milazzo e saprà resistere anche agli attacchi mortali che verranno da belve inferocite come il capitalismo nazionale e internazionale, come il fenomeno della globalizzazione negativa che cancella tutto, ad uso e consumo dei potenti della terra.

a cura di giorgia salerno

Martedì 2 agosto 2011

[exibart]

1 commento

  1. ho conosciuto Ludovico Corrao 20 anni fa a Gibellina quando mi occupavo della storia del progetto utopico di questa straordinaria”città dell’arte”(su cui ho pubblicato in seguito un saggio)e sono rimasta colpita dalla sua personalità,dalla sua amabilità di ospite e dalla sua lucidità progettuale davvero originale.
    La sua scomparsa è una grave perdita per la cultura e per l’impegno civile finora da lui testimoniato

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