15 ottobre 2014

Fino al 31.X.2014 Un rumore bianco. Frequenze e visioni dalla penisola Assab One, Milano

 
Non definitela una mostra di “sound art”, anche se in scena sentirete sussurri e partiture speciali. Una ricognizione del giovane panorama italiano che traccia un’onda creativa ancora in via di definizione -

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«In White Noise  ho cercato uno squarcio di luce nel quotidiano. A volte, è una luce quasi spaventosa. Il nostro sentimento di paura lo evitiamo perché lo avvertiamo a un livello molto profondo, e ciò provoca un conflitto intenso. Credo sia una cosa che avvertiamo tutti, ma di cui non parliamo mai, una cosa che c’è e non c’è. Ho cercato, in White Noise, di collegarla a un altro sentimento, quel sentimento di trascendenza che resta appena al di fuori della nostra portata». Così descriveva Don De Lillo nel suo romanzo Rumore bianco, pubblicato nel 1985. Si parla del sottofondo della società capitalistica, della riduzione dello spazio privato, di quella “persuasione occulta” che dalla metà del secolo scorso stritola le esistenze del mondo occidentale, e alla quale si accondiscende. O quasi. 
Marco Bernacchia, Feedback, installazione, parte di tronco di pino marittimo, ombrelli colorati, cavalletto per tastiera.
L’arte non ha fatto eccezione nel suo porsi come riflusso sociale, nel suo essere specchio, che lo si voglia o no, del proprio tempo. Nonostante siano passati trent’anni le parole dello scrittore americano non hanno perso un grammo della loro validità e, curioso e forse inevitabile, è che ad Assab One l’età media degli artisti presenti alla mostra “Un rumore bianco”, a cura di Andrea Bruciati, sia proprio nata nella metà degli anni ’80. 
Si potrebbe definire una nicchia di resistenza che per certi versi cerca proprio quella trascendenza che solo il suono, il rumore, le frequenze (nel senso più acustico del termine) possono fornire a una descrizione che non è più della realtà, ma che la sperimenta secondo canali che mixano scienza, tecnologia, poesia, tradizione, in uno sconfinamento di generi. 
Trentuno gli artisti in totale, dalla A di Mario Airò alla T di Luca Trevisani, passando per Francesca Grilli, Donato Piccolo, Elisa Strinna e Michele Spanghero, per costruire un percorso che il curatore definisce «fluido, attraversabile», e che nel buio delle sale della splendida ex stamperia diventa una partitura suggestiva, con un’orchestrazione che in alcune parti spiazza per la sua rarefazione. È il rumore bianco: inudibile, impossibile da ricreare scientificamente, È una chimera come il sogno di un artista, come la capacità dell’immaginario di mettere in atto una partizione dell’impossibile o, in questo caso, di ciò che non si può sentire. 
Elisa Strinna, per esempio, ci mette di fronte al rumore della costituzione del mondo. Una puntina di giradischi accarezza (o graffia?) una pietra sedimentaria, solcandola dall’alto verso il basso. Un rumore decisamente scostante, roco, esce da due casse tirare a tutto volume che hanno in sottofondo il fruscio del loro essere in modalità on. Nei particolari di questo unico solco la storia di terremoti, tsunami, glaciazioni, alluvioni, in un timelapse che comprime millenni nel tempo di una canzone quasi muta. 
Del rumore bianco dell’economia delle holding, della politica e della lotta per il potere ci parla Michele Spanghero con la sua Stream, installazione del 2012: un anello di tubi industriali tenuti insieme da bulloni. Un oggetto-concetto, perfettamente cromato di blu e affascinante nell’estetica. Avvicinando l’orecchio, però, si ode qualcosa: è il rumore del petrolio che scorre attraverso i condotti di un oleodotto. Una riflessione doppia su un universo chiuso e apparentemente silenzioso (per la maggior parte dei consumatori) che allo stesso tempo è anche sporco di problematiche legate all’ambiente, affascinante per il suo concorrere alla ricchezza, corrotto, dove i giochi si possono udire solo all’orizzonte, e mai nella loro effettiva dimensione. 
“Primordiale” l’incipit della mostra con il Fischio di Liliana Moro, il suono più acuto che l’essere umano può emettere, per arrivare allo Strato Dust di Davide Bertocchi, ovvero il tentativo di raccogliere il canto del cigno di una chitarra che viene sacrificata in una speciale macchina trituratrice fino al silbo gomero di Oro, il cortometraggio di Francesca Grilli che mette in scena una sorta di rituale dove un falco viene liberato tra le pareti della Biblioteca Benedettina di Parma e una voce recita il Re Mida di Ovidio con la lingua fischiata dell’isola delle Canarie. Trappola del linguaggio e dello spazio associata al suono eletto dagli alchimisti, eppure impraticabile. 
Un paesaggio, più che una mostra. Orizzonte di eventi e di un’onda che non ha ancora un nome, ma probabilmente una traccia si.  
Matteo Bergamini
mostra visitata il 1 ottobre
Dal 2 ottobre al 31 ottobre 2014
Un rumore bianco. Frequenze e visioni dalla penisola
A cura di Andrea Bruciati con la collaborazione di Mario Mazzoli
Assab One
Via Assab 1, 20132 Milano 

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