11 maggio 2015

Goodbye Chris!

 
Scompare l'americano poliedrico, trasgressivo, eccentrico e calcolatissimo Chris Burden. Lo ricordiamo qui, ripercorrendo tappe e poetiche di una carriera sempre sul limite, e anche per questo grandiosa

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Il New Museum di New York, che nell’autunno 2013 aveva aperto la sua retrospettiva “Extreme mesures”, è stato ripostato sulla pagina instagram di Frieze, con una fotografia della grande barca, Ghost ship, che l’artista aveva installato sulla facciata. Parliamo di Chris Burden, scomparso a 69 anni, nella sua casa in California, dopo una lunga malattia. 
Artista in principio “estremo”, era divenuto celebre nel mondo per la sua azione più violenta: nel 1971, da un tiratore scelto, si era fatto sparare ad un braccio da una distanza di 5 metri. Era nato Shoot, uno dei casi più emblematici di quell’area “cattiva” della Body Art, che all’epoca contava parecchi protagonisti, tra cui gli Azionisti Viennesi, saliti alla ribalta qualche anno prima in Europa.
Burden, dopo l’incredibile risonanza mediatica che suscitò la performance, dichiarò: «Molta gente ha mal compreso, perché credevano facessi queste lavoro per sensazionalismo, per attirare l’attenzione. E invece spesso non c’erano che 3 o 4 persone ad assistere all’azione, a volte solo gli aiutanti. Per me era un’esperienza mentale. Sapere che alle 7.30 qualcuno mi avrebbe sparato, era come poter organizzare il destino».
Già quasi 40 anni fa si dichiarava estraneo, insomma, alla sua stessa opera di “violenza”. Eppure continuava a compiere gesti che sondavano i limiti del corpo, quasi a sfiorare la tortura: nel 1975 con White Light/White Heat, alla Feldman Gallery di New York, restò coricato 25 giorni senza mangiare né bere, né parlare, né scendere da una piattaforma triangolare sospesa a tre metri da terra. 
“In un mondo che tende a desensibilizzare l’essere umano, le azioni di Burden rinviano ad un rapporto più radicato, più vero con l’esistente”, scriveva Teresa Macrì nel suo Il corpo postorganico.
Poi, come ogni artista che si rispetti, anche Chris Burden aveva evoluto il medium, aveva solcato i tempi, restando però sempre presente a una sorta di lucida follia legata alla creazione e avvicinandosi in qualche modo all’arte più “classica”, anche se per Burden questo è un eufemismo, e alla sua originaria formazione di architetto. 
Prima si era “improvvisato” conduttore televisivo, in epoca reaganiana, specchio della faccia di plastica degli Stati Uniti, poi una scultura decisamente installativa, folle e grandiosa, aveva preso il sopravvento nel suo percorso. 
Diventato uno dei simboli del contemporaneo di Los Angeles e dell’America intera, la sua Urban Light, di fronte al Lacma: dal 2008 questa giungla di lampioni (sono 202 di diverse forme e altezze, recuperati tra le vecchie illuminazioni pubbliche della città), si accende al tramonto grazie all’energia solare, creando uno scenario perfetto che dialoga idealmente con Metropolis, una sorta di gigantesco plastico di una città molto più che immaginaria e futuristica, coloratissima, che dal 2011 è in permanenza nello stesso museo. 
Rappresentato da Gagosian dal 1991, vogliamo salutarlo ricordandolo con il video di un’altra sua opera a dir poco colossale: il 28 giugno 2008, il centro de arte Inhotim in Brasile realizza Beam drop. Nell’arco di una giornata, dall’alba al tramonto (dalle 7 alle 20), in una gigantesca colata di cemento fresco vengono letteralmente scagliati dall’alto una serie di parallelepipedi in metallo, di dimensioni e lunghezze tutte differenti. Una scultura monumentale, affidata al caso, sotto il controllo del tempo, e di un’infinità di stop & go non troppo preventivabili. Il destino che aveva spesso manipolato con la forza, oggi non si lascia abbindolare, e ci porta via uno dei più grandi artisti dell’ultimo mezzo secolo. http://www.youtube.com/watch?v=yBeU-JmEvFE(MB)

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