03 giugno 2015

Potere di carta

 
Il quotidiano turco Cumhuriyet conduce un'inchiesta sulle armi vendute ai ribelli siriani, e il Presidente Erdogan sfodera la migliore faccia da despota. Nessuna nuova, forse, ma un'occasione per riflettere su uso e abuso di potere

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L’Italia è al 73esimo posto nell’annuale classifica di Reporter senza frontiere. Giù, di 24 posizioni, rispetto al 2014. Intimidazioni, aggressioni, cause ingiustificate per diffamazione. Una fotografia poco edificante, che la dice lunga su politica e società di un Paese. Non va meglio in Turchia, che invece in classifica è al 149esimo posto (su 180 Paesi monitorati), e dove il Presidente Erdogan non ha mancato, in queste ore, di mostrare ancora una volta la sua faccia dispotica a tutto il Paese e, forse, a tutto il mondo. 
Stavolta nel mirino è il quotidiano “ribelle” Cumhuriyet, che ha documentato come sotto falso profilo (attraverso camion trasportanti medicinali) la Turchia abbia armato i ribelli siriani. Un’inchiesta e un video, pubblicati pochi giorni fa. E che hanno fatto andare su tutte le furie il Presidente-dittatore, in un periodo già bollente, visto che si avvicinano le elezioni del prossimo 7 giugno. Erdogn ha minacciato che i responsabili di questo “spionaggio” pagheranno un caro prezzo la loro attività. 
Eppure, come sempre più spesso accade, il politico non ha fatto i conti con quella folla di professionisti e popolazione che, in Turchia e non solo, ha deciso di smettere di sottostare al potere cieco. Il risultato? Che in dozzine di giornalisti, intellettuali e artisti hanno espresso la loro solidarietà sulla prima pagina del quotidiano, introdotti dal grande titolo “Io sono responsabile”, in sostegno del direttore editoriale Can Dundar.
Erdogan, inoltre, ha parlato di una “riscrittura della storia” da parte dei media, e nel frattempo – come era inevitabile-, la procura ha aperto un’indagine contro il quotidiano d’opposizione.
In tutta risposta il direttore ha twittato: “Non siamo dipendenti statali ma giornalisti. Il nostro compito non è di coprire gli sporchi segreti di stato ma siamo chiamati a renderne conto in nome del popolo. Chi ha commesso questo crimine la pagherà a caro prezzo – ha aggiunto facendo riferimento alle parole del presidente – non glielo lasceremo passare”.
La Turchia ovviamente ha smentito ferocemente il sostegno alle milizie jihadiste, ma ha comunque dato una nuova lezione di intolleranza nei confronti di chi dovrebbe garantire un’informazione libera e giusta, e non al servizio di una holding politica. La rivoluzione, ancora, comincia con una tigre di carta: talmente “innocua” da minare le sicure basi della paura. (MB)

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