15 settembre 2015

Fino al 20.IX.2015 Thaumazein Castello Malaspina di Massa, Massa

 

di

«Non vi piace il castello?», chiese in fretta il maestro. «Come?», chiese di rimando K. piuttosto sconcertato, e ripeté la domanda in forma più blanda: «Se mi piace il castello? Che cosa vi fa pensare che non mi piaccia?». «Non piace a nessun forestiero», disse il maestro.
Il castello dell’omonimo romanzo di Kafka, nella percezione fisica che ne ha il protagonista, ha perlomeno un’immagine doppia: da lontano e da vicino il Castello non è mai lo stesso. 
Questa duplice visione costruita attraverso lo spazio, la vista e la morfologia del territorio, permette di capire che la sua eredità non è solo di ordine storico. Grazie a forme letterarie e artistiche, memorie e storie che ne hanno accompagnato la progressiva perdita di funzioni fino alla sua trasformazione in monumento, il “Castello” è diventato per la contemporaneità un meccanismo arcaico che con la sua profonda inattualità crea spaesamento e stupore. Le immagini di sé che il Castello ha costruito, sono armi per incutere timore o meraviglia secondo il punto di vista: l’immagine della fortezza nel tempo immutata e quella della sua vita segreta, eccezionale e sconosciuta. Due Castelli e due distanze. 
Da questo tipo di riflessioni inizia il coraggioso progetto Thaumazein di Alessandra Franetovich che allestisce nelle sale del Castello Malaspina di Massa le opere di due giovani artisti Giulio Saverio Rossi e Jacopo Pagin. Il tema del “thauma”, lo stupore all’origine dell’atto conoscitivo e immaginativo, è reinterpretato seguendo lo sgomento che il castello stesso suscita. 
Abbandonati i panni del monumento, il Castello Malaspina nel progetto di Franetovich si mostra come un colosso intrappolato nel tempo, che distorce la percezione del presente, la sua consistenza e misura. Tenta perciò di ridefinire limiti e confini, Giulio Saverio Rossi con Le vacanze dell’agrimensore K. Il modellino fatto con la sabbia del litorale apuano, mima il castello Malaspina, che privato della sua pietra di fondazione, echeggia Borges: “dobbiamo costruire come se la sabbia fosse pietra”. Ma una volta che il meccanismo del potere è disinnescato, resta solo un gioco per bambini. Come nel caos di un cambio di Regime, il Castello sollecita la paura rispondendo con la fuga nel fantastico e nelle sue inquietudini. Un luogo fisico diventa psichico. Con Landscape Rossi mostra un paesaggio sfuggente e fosco, le colline circostanti il Castello, con un movimento che, dall’interno all’esterno, conduce l’osservatore ad una prima, cauta decifrazione del mondo; Rossi vuole vedere come il Castello vede: l’origine dello stupore dove il vero e l’immaginario sono ancora uniti, indefiniti. Ma per non cedere a questo indefinito, l’artista cerca con pazienza di ricollocare spazi e cose. Così nella serie pittorica Delle cose del mondo e del mondo delle cose, appaiono paesaggi di forme quotidiane della vita quotidiana: spine elettriche, lampade da tavolo, plafoniere; l’ordinamento del mondo è iniziato, ma un rumore s’intromette nell’immagine, fa vibrare la tela: l’oggettualità delle cose rappresentate finisce per soggettivare le cose stesse, rendendo impossibile ogni approccio alla conoscenza che non sia anche espressione di un punto di vista. In qualche modo il Castello è ognuno di noi. 
All’interno di questa oggettività irrisolta, il “thauma” di Jacopo Pagin è un trauma culturale e morale, una crisi del linguaggio e dei valori spirituali e materiali. Pagin vi si addentra stravolgendo e rinominando le figure del mito e della cristianità. Rispondendo allo sgomento con un eccesso d’iridescenza e polimorfismo, svela sogni, desideri, turbamenti del Castello stesso, creando un cortocircuito tra contemporaneità, immaginari ereditati e conoscenze da rifondare. Con gesti irridenti tipici dell’avanguardismo, Pagin mescola tecniche di collage e decollage, materiali di uso comune su cui le sagome delle cose sono ritagliate e lasciate cadere come pelle di serpente. Europa si è persa in mare è la tragedia che volge al kitsch, in cui i simboli della classicità e dei suoi eroi sono diventati solo un’apparenza inquietante. Antichità e modernità sono messi sullo stesso piano: così il bue di Rembrandt, Nativitas Christi, è fatto simbolo di una modernità da 4 soldi, macellato in uno straccio di feltro; e dal battesimo di San Giovanni alle piscine dei divi di Hollywood, oltre all’acqua (La bevanda del Tritone) anche la palma sacra (Hard Sphynx) viene rigenerata con la trasposizione nel suo duplice da immaginario cinematografico. 
Il progetto di Alessandra Franetovich riesce così a utilizzare un dispositivo millenario, il Castello Malaspina, già guidato nella sua storia da figure femminili, e a farlo funzionare attraverso ciò che il Castello stesso è capace di produrre, echeggiando quella misteriosa verità che dai tempi antichi ancora giunge intatta fino a noi: “la natura delle cose ama nascondersi”.
Barbara Galli 
mostra visitata il 9 settembre
Dal 4 al 20 settembre 2015
THAUMÀZEIN 
Castello Malaspina di Massa 
Orario: Dal 4 al 13 settembre dalle 10.30 alle 13.00 e dalle 17 alle 21, 19 e 20 settembre aperto dalle 15 alle 19.
Info: 3270460744, ale.franetovich@gmail.com

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