10 novembre 2015

Una Premier per la pace

 
...Ma soprattutto, per la libertà. Ecco Suu Kyi, la "Signora" che venticinque anni fa aveva già portato la Birmania fuori dalla dittatura (ma la cui dittatura non l'aveva permesso), oggi vince. Dando il "la" per riscrivere la storia di molti Paesi del sud est asiatico

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Al momento della stesura di questo pezzo non c’è ancora l’ufficialità, ma la Birmania sta uscendo dal regime militare che ha sempre contraddistinto il Paese asiatico. Lo fa con un premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, pronta a diventare Presidente nella nuova storia della libertà, con la Lega nazionale per la democrazia.
E così, dopo un quarto di secolo, le opposizioni fanno ammenda, e finalmente si chiedono in pubblico perché si è perso.
Si è perso semplicemente perché da anni era ora di perdere, perché Aung San Suu Kyi è diventata simbolo di un luogo che l’ha condannata (colpa del padre, generale assassinato in nome dell’indipendenza) ad anni di arresti domiciliari, ma che non ha scalfito la sua forza rivoluzionaria. Merito anche di Thein Sein, ex generale messo al potere nel 2011, che ha lasciato che in questa manciata di anni Suu Kyi venisse integrata nel sistema politico. Dall’interno, così, la donna (oggi 70enne, e che governerà come “ombra”, vista la famiglia dal passaporto straniero), ha lavorato per scardinare i dittatori, forte della sua cultura (la madre l’aveva mandata all’estero a vivere e lavorare) e dell’amore per una Birmania da cambiare dopo più di 50 anni di regime. 
Suu Kyi ci stava provando dall’88, quando rientrò in patria per assistere la madre e nei moti per la libertà divenne leader spontanea e subito riconosciuta (per la sua storia precedente). Nel 1990 aveva già vinto le elezioni, ma la dittatura di Ne Win non le permise di lasciare i domiciliari. Il resto della storia è nota, come il bacio di Obama l’anno scorso e il marito che ritirò per lei il Nobel per la pace nel 1991, mentre era prigioniera in casa. 
Ora quello che non si conosce è il proseguo della storia, anche per i Paesi “colleghi” che restano nella vecchia situazione di militarismo, ma quel che è certo è che i 50 milioni di birmani dalla loro “Signora”, come chiamano Suu Kyi, hanno imparato il valore della lotta. Nella guerra per la libertà. (MB)

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