17 novembre 2015

L’Aquila che non vola

 
Sono passati sei anni dal sisma dell'Aquila e il Presidente della Repubblica fa visita alla città. Non senza polemiche, e con il Sindaco Cialente che non le manda a dire. Eppure, da qui, bisognerebbe ripartire, «come accadrà a Parigi», afferma Sergio Mattarella.

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«Non si può morire perché si costruisce male. Quindi prima di pensare al Ponte sullo Stretto chi di dovere si ricordi che c’è un intero territorio da mettere in sicurezza, specie quello sismico». A parlare è il Sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, dopo la prima corona di fiori “benedetta” dal Presidente della Repubblica Mattarella nella sua visita sui luoghi del sisma del 2009.
Parole che, in realtà, sui media non hanno trovato particolare risonanza, come invece avrebbero dovuto averla. Perché? Perché l’Aquila ha un centro storico che sta rinascendo proprio in questi mesi, dopo anni di transenne, e come rimarcato da una serie di personalità legate all’ambiente universitario del capoluogo d’Abruzzo, il rischio ovviamente è quello di snaturarne l’identità. 
Verrebbe quasi da dire poco male, visto che ne è passata di pioggia, freddo, vento, gelo e sole battente sui muri del centro storico, e ora che forse la città avrà un nuovo volto, forse qualcosa riprenderà ad albergare tra quelle strade soppiantate delle ormai vecchie new town. 
Mattarella, invece, l’ha fatta davvero enfatica: «L’Aquila è per noi un nodo vitale, crocevia di opportunità, di cultura, di sviluppo. Oggi L’Aquila è una sfida nazionale, è un impegno per l’intero Paese. Il futuro dell’Italia parte anche da qui. Dalla ricostruzione del suo tessuto urbano, di quello civile e delle relazioni sociali, di quello economico». Ma è un futuro, ci rincresce ammetterlo, che parte con un profondo ritardo, e che forse non potrà recuperare il tempo perso. «Sei anni sono un calvario doloroso. Ci vorrà ancora tempo, dedizione e determinazione per restituire alla Città e ai Comuni del cratere quella normalità che oggi viene invocata come un traguardo. Le energie ci sono». E ci sono anche i soldi dello Stato, a quanto pare, annunciati anche da Franceschini nelle scorse settimane, per la conservazione e il restauro. 
Sarà la volta buona si spera. E lo si spera soprattutto quando Mattarella parla di non far vincere la corruzione o l’opacità nella gestione delle risorse, cosa che invece era accaduta con gli aiuti e i piani di ricostruzione di sei anni fa, con il Signor Guido Bertolaso e compagni, che poco tempo fa ha confessato che nel 2008 – durante la piena del Tevere a Roma – si era pensato di far saltare Ponte Sant’Angelo per arginare l’effetto “diga” che causavano i barconi incastrati. Certo, l’ex capo della Protezione Civile lo ha detto per difendersi, per dimostrare che lui, alla “civiltà” e alla sicurezza, ci teneva davvero, costasse anche abbattere una delle architetture-simbolo di Roma.
Vabbè. Il Governo è cambiato, tutto è diverso, le riforme sono avviate ma ancora – dopo sei anni – L’Aquila è ferma al palo. 
Chi avrà il coraggio di muoverla? E soprattutto quali danni incalcolabili e non più sanabili si troveranno di fronte gli uomini della ricostruzione? Anche questa è Italia, anche questa è, o è stata, politica. E anche questo è il risultato. Al di là di “nodi cruciali per economia, senso di appartenenza, attività produttive, coesione”.
Chi vivrà vedrà. (MB)

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