31 agosto 2016

I giorni (in)felici del burkini

 
Secondo l'ONU discrimina, ma Sarkozy ha promesso che - nel caso di una rielezione presidenziale - cambierà addirittura la Costituzione francese. Per un costume da bagno

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Più che una storiella estiva è una storia di ordinaria intolleranza, di confusione “planetaria” tra significante e significato. Una storia che ormai, più che un’equazione o riconducibile al concetto di “proprietà transitiva”, è quasi retorica: “i terroristi si dichiarano islamici, gli islamici mettono il burka, chi mette il burka è un terrorista”. 
Lo ha spiegato così un ristoratore, cacciando due donne musulmane dal suo locale alla periferia di Parigi e, in qualche modo, lo spiega così il decreto che dalla Costa Azzurra in giù, nei giorni scorsi, ha messo mano alla possibilità per il gentil sesso fedele ad Allah di indossare il “burkini” in spiaggia.
Sarà colpa della psicosi, sarà dovuto ai fatti di Parigi e Nizza e Bruxelles, sarà che ormai un costume da bagno è una specie di promessa dinamitarda nel Paese dei lumi che poi, invece, si perde in una specie di legge che l’ONU ha chiesto immediatamente di revocare perché “non rafforza la sicurezza ma, al contrario, alimenta intolleranza religiosa e discriminazione dei musulmani in Francia, in particolare le donne. La parità di genere non si ottiene regolamentando i vestiti che le donne decidono di portare”. 
Esattamente: libero arbitrio in libero stato, e se proprio si vuole essere pignoli, il volto in questo caso resta scoperto. Michel Houellebecq, a Milano lo scorso luglio, aveva rimarcato che un tempo – in Francia – le ragazze si vestivano in maniera più sfacciata; oggi meno, “per non passare guai”.
L’estate, al contrario, dovrebbe essere stagione di libertà – che non significa andare in giro in mutande o completamente coperti – almeno per evitare di buttare benzina sul fuoco rispetto a un argomento che brucia parecchio anche senza tirare in ballo i vestiti, anche se si tratta di tradizione/religione. Altrimenti si rischia di tornare a quella “stoffa del diavolo” (i tessuti rigati) sui quali il grande Michel Pastoureau aveva scritto l’omonimo saggio. E visto che di fenomenologie intorno alla paura dell’abito che fa il monaco per ora ne abbiamo sentite abbastanza, specialmente uscite dalla bocca della politica-propaganda, l’unica cosa che ci viene da augurarci è di fare tutti insieme un ultimo bagno in mare, con lo slip, il burkini o il bikini. Senza terrore, per favore. (MB) 

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