08 ottobre 2016

Ciao Nosadella2, ci mancherai

 
Uno dei primi spazi no profit chiude dopo 10 anni esatti. Il perché lo spiega la fondatrice Elisa del Prete, sullo sfondo di una Bologna che non investe più nell’arte contemporanea

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Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi, molto prima di essere accaduto” (Rilke, Lettere a un giovane poeta). Chissà se dieci anni fa quando Elisa Del Prete apriva Nosadella2 sapeva di stare dando vita ad uno degli spazi indipendenti più interessanti in Italia? Certo è che quello che accaduto dopo si è trasformato con lei ed in lei mentre stava accadendo. 
La casa di Elisa Del Prete a Bologna al civico due di Via Nosadella (la strada detta così probabilmente per via degli alberi di nocciole che proprio in autunno vengono raccolte) era di proprietà della sua famiglia  e aveva già accolto nelle sue vite passate viandanti sperduti e lontani o amici affini e vicini quando negli anni ’50 la nonna ne aveva fatto una pensione. E dico “era” a ragione del fatto che questa casa non è più sua. Nosadella2 chiude a distanza di dieci anni e come in ogni addio che si rispetti lascia tutto, compresa la dimora che è già stata venduta. È il destino delle case, quegli abitacoli così intimi e familiari, luoghi di oblio, ricordi e memoria condivisa con chi sta con te e con chi è stato lì prima di te, il cui eco aleggia ancora tra i pieni e i vuoti delle stanze. Passaggi, Transiti – come il titolo di uno dei primi progetti di Nosadella2 – di uomini e cose attraverso uno spazio e un tempo che, in particolare nella formula scelta delle residenze – entrano in relazione con lo spazio e il tempo degli altri, costruendo traccia dopo traccia quel bagaglio di esperienza che rende il processo creativo “il momento” in un’infinitudine di giorni, mesi, anni. 
Angela Serino per Nosadella due, 2010

«Nell’ottobre 2006 è nata l’associazione e nel gennaio 2007 abbiamo aperto ufficialmente lo spazio – ricorda Elisa Del Prete – dunque mi è sembrato giusto concludere a dieci anni esatti dal suo inizio. Così ho chiesto alle tante persone che in questi anni sono passate di qua di aiutarmi a lasciare la casa. Ho pensato di fare una festa, volevo chiudere in modo corale così come ho iniziato». Per  accompagnare questo nuovo passaggio della casa in via Nosadella 2, la curatrice ha pensato, infatti, di organizzare una tre giorni di “avvenimenti” (7-8-9 ottobre) per celebrare, in tempi e modi del tutto imprevisti, riti collettivi e individuali, visibili e meno visibili, offerti da alcuni invitati speciali e svelati passo passo durante le 54 ore di festa, «perché – continua – io possa portare qualcosa con me in un altrove, un flusso ininterrotto di accadimenti e situazioni come nello spirito di Nosadella2 fin dal suo nascere». 
Nosadella due, la cucina

Quando nel 2006, Elisa Del Prete sceglie di dare inizio ai suoi programmi di residenza rivolti per lo più ad artisti e curatori stranieri, si accosta ad un modo di intendere l’arte, mobile e itinerante, che in Italia ha sempre fatto molto fatica ad attecchire. La fondatrice di Nosadella2, del resto, laureata in Storia dell’Arte Medievale a Ravenna, tornava a Bologna dopo un periodo trascorso a Londra presso il Warburg Institute, dove sicuramente non erano mancati stimoli in questo senso. Bologna allora era un pullulare di realtà indipendenti e di quella cultura di resistenza che tanto ne ha caratterizzato la sua identità. Dunque non è stato difficile entrare in contatto con tutta una serie di enti para-istituzionali, oltre che  istituzionali, con i quali Elisa Del Prete e le sue fedeli collaboratrici – Giusy Checola e Francesca Cigardi – hanno creato un network aperto alla ricerca, alla sperimentazione, all’arte pubblica. Non sono mancati infatti le collaborazioni con il MAMbo o con l’Urban Center, che hanno reso possibili lavori che sono usciti dalle mura del “privato” per incontrare la città e i suoi abitanti. Ed in effetti è questo ciò che alla giovane curatrice interessava. «Non c’è mai stata un’idea definita di partenza su cosa volevo o cosa dovevo fare quanto piuttosto avevo chiaro il modo di lavorare, lavorare con gli artisti, attivare uno scambio in un ambiente comunque protetto dalle dinamiche istituzionali o prettamente museali e, convinta che dall’incontro nascono le idee, ho impostato fin dall’inizio il progetto tripartito in residenza, produzione e spazio pubblico. Dando la possibilità di risiedere da uno a tre mesi in casa ho seguito da vicino il processo, in primo luogo inteso come un’indagine sul territorio per restituirne una determinata visione. Credo nei processi lunghi – continua – attraverso una sedimentazione dell’esperienza e la messa in discussione anche delle idee di partenza. La residenza per me, infatti, è stata concepita come un momento studio, un’interpretazione di alcune necessità degli artisti e dei curatori». Stare dentro il processo, ecco il cuore dei progetti di Nosadella2, al fine di «mettere in visione questo stesso processo che è cognitivo e spirituale insieme, per rendere l’arte accessibile, per permettere e permettermi di lavorare su un lungo periodo che ha a che fare con la vita. Questa per me è l’unica forma di arte onesta che oggi si possa fare».  
Marta Dall'Angelo, Nosadella due

In dieci anni tante situazioni sono cambiate: le residenze sono sempre più diffuse e sembra abbiano perso la loro identità diventando più un momento di vacanza che di studio, lo stesso pubblico che fino a dieci anni fa guardava con perplessità questo mostro sconosciuto dell’arte contemporanea rimanendone comunque affascinato, oggi è più “abituato” e consapevole di questo linguaggio, almeno in una città come Bologna. E se quest’ultimo aspetto può essere considerato un bene, non è ben chiaro perché la città felsinea abbia ormai dirottato le sue attenzioni altrove. 
«Chiudo perché non c’è una situazione che permette lo sviluppo, perché non ha senso continuare ad investire in questo momento in un progetto del genere, quando la città stessa non investe più nell’arte contemporanea. Bologna non sta andando nella direzione del contemporaneo. Negli ultimi tempi hanno chiuso tanti altri spazi indipendenti storici e l’unico momento identificato con il contemporaneo è ormai Arte Fiera». 
Dunque, quale futuro per Elisa Del Prete? «Ho bisogno di staccare un po’, di continuare a crescere, di nutrirmi di quella linfa vitale che qui si è un po’ affievolita e poi come dice John Cage We are in the glory of not knowing what we’re doing». 
Buona fortuna allora Elisa, “e quanto al resto, lasci che la vita Le accada. Mi creda: la vita, in ogni caso, è nel giusto”, scriveva Rilke al suo giovane poeta.

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