21 novembre 2016

Tu sì que vales. O no?

 
Non abbiamo nulla contro la promozione dell'arte in TV. Ci sono stati tanti programmi, discutibili o meno, ma ci sono anche modi, più o meno discutibili, di presentare "progetti". A margine di ciò che accaduto nel week end, su Canale 5

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Diciamola tutta: aver associato un progetto della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma al “Tu sì que vales” di Gerry Scotti, Mara Venier, Maria de Filippi, e all’espressione del “Che è sta roba?” di Teo Mammuccari ci ha lasciato un po’ di agghiacciati. L’idea di Cristiana Collu, neo direttrice dell’istituzione romana, di affidare all’artista Paco Cao il “Museum Beauty Contest” – già presentato in Spagna nel 2014, a Oviedo – e che consiste nello scegliere, da parte del pubblico attraverso un sondaggio, Mister e Miss Galleria Nazionale 2017, valutando i soggetti dei dipinti esposti (secondo il criterio del “mi piace – non mi piace”) può essere una parentesi divertente per il rilancio del museo, ma da qui a farlo passare come l’attività su cui si basa la vecchia GNAM, ce ne passa. 
Eppure è questo il messaggio che è passato di fronte a 5 milioni di spettatori (la maggior parte dei quali, siamo sicuri, di Galleria Nazionale non aveva mai sentito parlare, e che dunque poco si curerà della questione – un po’ come si è letto nel volto di Mammuccari) e che sinceramente ci lascia perplessi. 
Il destino dell’arte, per certi versi, è anche la popolarità. E sappiamo bene quanto un museo popolare – si veda il nostro vecchio primo piano dedicato alle strategie di marketing del Guggenheim di New York – goda senz’altro di un maggior peso anche politico, oltre che sociale. Ma stavolta il mix di personaggi, i miserevoli cavalletti con sopra i quadri da votare, e dichiarazioni al limite del telegrafico da parte della direttrice («Per me la cosa più importante di questa opera d’arte, di cui tutti noi entriamo a far parte, è che mette in comunicazione due istituzioni come un museo e la televisione», è stato l’unico intervento) ha gettato tutto in quel mastodontico tritatutto che è il piccolo schermo del sabato sera. Stavolta, e perdonate lo snobismo, stiamo parlando di arte e non di imitatori, giocolieri (sebbene Paco Cao ce la metta tutta per somigliargli) o cantanti che – magari bravissimi – fanno il loro pezzo, raccolgono applausi o fischi, e fine. 
Stiamo parlando di un museo che ha appena rivoluzionato la sua struttura, che è mandato avanti da fondi pubblici, e che per certi versi è un unicum in Italia. Ma che stavolta, pur nella comprovata abilità comunicativa di Collu, non ha scelto il target giusto a cui rivolgersi. Certo, 5 milioni sono un numero sterminato per il mondo dell’arte nel nostro Paese, ma ancora una volta il rischio è che questi milioni di telespettatori pensino che i musei (o peggio, l’arte) siano il luogo dove poter scegliere con un clic il più e il meno “bravo”. Quelli che “vales” e quelli no. E per noi, così, non “vales”. (MB)

1 commento

  1. La dottoressa Collu ha fatto la figura dell’assistente ossequiosa e semi-muta del giocoliere-cialtrone di turno sul palco di un teatrino comico. Non é quello il modo di rappresentare da direttrice un museo del peso di quello che dirige. Se non se ne rende conto, meglio che segua dei master e lo impari. Così non vales neanche un po’. Anzi, fa pena.

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