22 dicembre 2016

A tu per tu/Lisa Parola e Hilario Isola

 
La curatrice di a.titolo e l’artista si conoscono da anni. L’ultimo lavoro di Isola, l’Atelier del camouflage, è occasione per una conversazione

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Atelier del camouflage, progetto d’Arte Ambientale ideato da Hilario Isola, ricorda alcune riflessioni del geografo Denis Cosgrove che nei suoi studi sottolineava quanto il paesaggio rappresenti “un modo di vedere, un modo nel quale una società rappresenta a se stessa, il contesto che la circonda e le sue relazioni con esso, un modo con cui narrare le relazioni culturali e sociali che la strutturano”
Atelier del camouflage nasce in collaborazione con i centri di ricerca delle aziende Miroglio Textile con la divisione Sublitex, Ferrino&C. e Sinterama Corporation per la sperimentazione di un tessuto ecosostenibile per esterni nato nell’ambito di una ricerca sulle possibilità di utilizzo del camouflage come pratica d’arte nel paesaggio. Una sperimentazione che unisce arte e produzione industriale per proporre la tecnica della mimetizzazione come azione per contrastare l’impatto visivo di fabbricati, capannoni o altre strutture nel paesaggio, da qui il camouflage del titolo. La fase sperimentale del progetto è stata promossa dalla Regione Piemonte nell’ambito del programma Dopo l’UNESCO, Agisco! in sinergia con l’azione Nuovi Committenti Langhe-Roero e Monferrato, a cura di a.titolo con il sostegno della Fondation de France e della Regione Piemonte. L’obiettivo è quello di contribuire alla trasformazione e al miglioramento della qualità estetica e ambientale del territorio anche attraverso la realizzazione di progetti artistici. Il progetto di Hilario Isola è stato presentato in anteprima nell’edizione 2016 di Artissima con l’opera di arte pubblica Paesaggio con ponte e uomo pensoso. La prima edizione sarà realizzata in primavera nelle Langhe, in un parcheggio del Comune di La Morra.  
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Ma come nasce precisamente l’idea di un Atelier del Camouflage? Quali immagini, quali testi o riflessioni lo accompagnano? 
«Per la verità più che da testi sono partito dall’osservazione del polpo – racconta Hilario Isola – è un animale che invidio. Vorrei avere la sua intelligenza, spesso sogno di avere tante mani quanti i suoi tentacoli per fare più cose nello stesso momento. Mi affascina soprattutto quella capacità magica di mimetizzarsi e diventare in pochi istanti roccia, corallo, alga». 
Perché trasporre questa ‘magica capacità’ nel tuo progetto di Atelier? 
«L’idea nasce da una mia attitudine a vivere lo spazio del mio studio come un luogo aperto e permeabile ad altri ambiti del contemporaneo per collaborare con altri artisti ma anche musicisti o scienziati. Attraverso la tecnica del camouflage, alla quale lavoro da tempo, ho messo a punto un materiale che mi permette di attivare una nuova sperimentazione d’arte ambientale capace di nascondere le brutture nel paesaggio. Una ricerca che, fin dalla fase ideativa, ho pensato aperta e condivisa a chi si occupa di arte, architettura, design e paesaggio.
Il tuo Atelier del camouflage si propone dunque di cambiare il modo di vedere il paesaggio che si vive. È solo una questione che riguarda il paesaggio o anche una riflessione più ampia rispetto all’arte? 
«Viviamo in un’epoca dove tutto è legato all’apparire, penso alla spettacolarizzazione dell’arte e dei musei, alla monumentalità di alcune opere o architetture; il camouflage è il contrario. L’idea di far scomparire le cose mimetizzandole e allo stesso tempo creare nuovi punti di vista, inaspettati e un po’ magici. Un dispositivo per guardare oltre ciò che mi piace proporre a cittadini, aziende e altri artisti».
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Affermi che non paesaggio senza immaginario del paesaggio. Il paesaggio può essere osservato in termini tecnici ma non può ridursi solo a una dimensione quantitativa. Il paesaggio e la trasformazione di esso hanno in sé dei significati, qualcosa da trasmettere e scoprire? 
«Da alcuni anni mi sono installato in uno studio in piena campagna, una vecchia segheria idraulica, mi occupo di un piccolo vigneto, da cui produco vino, e di alcuni boschi da cui traggo legna da ardere. Qui osservo il paesaggio che sempre di più emerge dalla dimensione di fondale dove cerco di relegarlo. È come osservare uno spazio in movimento che chiede attenzione ma soprattutto di essere guardato in modo inedito. Per questa nuova attenzione al paesaggio, nei miei progetti recenti cerco di sfidare un sorta di ‘difficoltà di vedere’; una distanza emotiva dello sguardo che è fonte di errori, fallimenti quando non di violenze. Da sempre le mie ricerche si presentano come esperimenti di percezione: nascondere, rimpicciolire, allontanare o avvicinare il fuoco visivo. Un esercizio che può rivelare intenzioni e segreti nella costruzione del paesaggio. Provo a far sconfinare la pratica e l’etica con cui coltivo la natura nella mia stessa ricerca artistica cercando di lavorare con le mani anche sulla materia incolta che ci portiamo dentro». 
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Nell’anteprima del lavoro che è stato presentato nella scorsa edizione di Artissima sei partito da alcuni frammenti di paesaggi immaginari di Giuseppe Pietro Bagetti (1764 -1831) che hai intrecciato, coprendo interamente una draga posata in un’aiuola di un parcheggio urbano al Lingotto di Torino, quale relazione vedi tra questi due ambiti apparentemente distanti? Tra natura naturale e natura artificiale? 
«Le opere di Bagetti che ho scelto sono due paesaggi idealizzati dove la natura, vista attraverso la lente del romanticismo si rivela sublime, primordiale. Tutto sembra incolto e selvaggio. In questo esperimento di camouflage oltre a cercare nelle opere dell’artista piemontese quelle con i colori più adatti a mimetizzarsi con quelli dell’aiuola, ho cercato anche una sorta di assonanza visiva, un legame sottile tra paesaggio dipinto e paesaggio reale. La possibilità di lasciare crescere le erbacce e lasciare l’aiuola incolta, oltre ad essere un omaggio a Gilles Clément mi è parsa una modalità per evidenziare questo processo di mimesi». 
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In questo sguardo sul paesaggio hai coinvolto tre aziende mettendo in relazione la storia della pittura con un alto livello di innovazione. Quale valore aggiunto ha apportato nel lavoro questa coproduzione? Nel tuo lavoro e nella produzione industriale? 
«Collaborare con le industrie ha esteso di molto la dimensione della mia ricerca e del mio studio mettendomi a confronto con tecnologie innovative e macchinari e dimensioni che non avevo mai neanche mai immaginato. La cosa che più mi ha sorpreso però non sono le macchine e le dimensioni della produzione industriale ma quanto potenziale creativo e umano sta dietro alla ricerca del prodotto. Mi è stata offerta la possibilità di esplorare liberamente nuovi materiali, tecnologie e applicazioni senza l’obbligo di portare risultati specifici. Questa libertà paradossalmente ha fatto sì che si creasse un rapporto di fiducia che ha aperto nuovi ambiti di riflessione e ricerca”. In primavera la prima installazione verrà realizzata in un parcheggio, come immagini il progetto? «Il tema che abbiamo individuato è un muraglione di 30 metri in cemento armato appena sotto il belvedere della Morra da cui si vedono 130 paesi delle Langhe e le colline con le vigne. Il muraglione è punto di vista ma è anche  molto visibile e molto impattante rispetto al paesaggio circostante. L’area verrà interamente riconvertita in un parcheggio, quindi l’opera in futuro sarà visibile da molto lontano m anche da vicino. Per quel che riguarda i soggetti del tessuto sto lavorando su più fronti: il vedutismo e la tradizione della vista a volo d’uccello, le piante spontanee che crescono sugli antichi bastioni, l’astrazione del paesaggio vitivinicolo, le mitologie e le storie legate al vino». 
E in futuro come pensi di proporre il progetto in altri contesti e con altri artisti? 
«Sullo sviluppo industriale del tessuto le aziende sono in fase avanzata di sperimentazione: la versatilità e la personalizzazione della stampa digitale su tessuto, la resistenza del colore nel tempo, la velocità dei sistemi di messa in opera unite a costi contenuti sono gli obbiettivi che si sta perseguendo per poter raggiungere l’interesse di enti pubblici ma anche singoli privati che in futuro vogliano investire nel Camouflage. Per quel che mi riguarda il mio sogno è che Atelier del Camouflage possa davvero diventare una pratica comune e coinvolgere nella progettazione altri artisti, architetti designer».
Lisa Parola e Hilario Isola

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