27 febbraio 2017

Social, danno e cura

 
Passate a setaccio i nomi "social" e "malattia" associandoli, e vi si aprirà un mondo. Ma la cura, ora, potrebbe arrivare direttamente online, o almeno un piccolo aiuto

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Pare che ogni ora passata su Facebook riduca del 3 per cento la nostra dose di felicità. Poi ci sono le depressioni “temporanee”, quelle per esempio legate a certi periodi dell’anno. Chi sfoglia compulsivamente i social network durante il periodo natalizio, per esempio, vedrà che gli altri hanno passato delle feste migliori. Sempre.
L’erba del vicino è sempre più verde? Stando su Twitter, Facebook e Instagram, solo per citare i tre maggiori “profili” del mondo, parebbe di sì.
Poi ci sono i giovani del Regno Unito, che pare debbano affrontare alcuni dei “più bassi livelli di benessere mentale nel mondo”; più di un terzo delle ragazze inglesi soffre di depressione e ansia, e le persone LGBT sono affette da problemi di salute mentale ad un tasso del 15 per cento superiore rispetto al resto della popolazione, ma nessuno pare farvi caso. 
Si tratta di una cartolina impietosa della nostra epoca, le cui stesse richieste di aiuto e le dichiarazioni di volontà autodistruttive vengono raccolte online, come è accaduto pochi giorni fa nel caso di Ren Hang, il giovanissimo fotografo cinese suicida a Berlino. E allora? E allora ecco che la giornalista Emily Reynolds ha preso la palla al balzo e con l’account @everydaycarebot ha deciso di offrire, via twitter, un rimedio (o rimediuccio) via twitter. 
Una pagina che offre piccoli e pratici passi per aiutare se stessi, bilanciando gli atti più indulgenti di auto-amore con l’incoraggiamento a fare quelle cose che solo noi, dal profondo, possiamo voler fare. Un ultimo atto di resistenza collettiva che “rifugge gli schemi più accademici con consigli estremamente pratici e onesti”, ha spiegato in una intervista pubblicata su Dazedigital Reynolds, che nella sua vita ha sofferto di manie e ansia, e che a 23 anni ha avuto diagnosticato un disturbo bipolare. 
Difficile capire cosa realmente potrà migliorare nella percezione dell’altro, grazie al contributo di circa 150 “consigli”, ma quel che è certo è che – via twitter – il raggio d’azione può essere ben più vasto della lettura di un libro, e ben meno dispendioso rispetto al lettino di un analista. Ricorda Reynolds: “. Altresì vero è che il cortocircuito tra la “causa” di parecchi malesseri esistenziali contemporanei, e la loro cura, è dietro l’angolo. Rischiando di diventare un rimedio “fai da te” che potrebbe generare ulteriori problematiche.
“Mi ci sono voluti 10 anni per ottenere una corretta diagnosi e un sacco di esperienze negative con gli operatori sanitari – aggiungendo un’avvertenza – Quando sono depresso ho più probabilità di rimanere in linea a parlare con sconosciuti su Twitter, piuttosto che parlare con amici reali, o uscire di casa. E anche se questo è sicuramente confortante, non sono sicura sia sano”. Nemmeno noi, in effetti. E dunque? Opinioni, esperienze e ipotesi aperte. (MB)

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