30 marzo 2017

MaaM, che Macro!

 
I fatti? Anzi, il fatto? Che al Comune di Roma, di avere un direttore al MACRO, punta di diamante architettonica tra gli spazi dedicati all'arte contemporanea capitolina, pare che non gli freghi proprio nulla. E allora? Allora il programma - parrebbe - è quello di trasformare il museo di via Nizza in un bel centro "polivalente"

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Hanno detto che sarà il direttore “squatter” Giorgio De Finis, ideatore del MaaM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, che si trova in una ex fabbrica occupata al Prenestino, e che “negli anni si è caratterizzato come spazio aperto al territorio e a street artist, collettivi e singoli artisti che non si riconoscono in gallerie e che lì trovavano un luogo dove lavorare ed esporre. I risultati, come è sempre in casi simili, sono stati e sono altalenanti, molto dipendenti dalla qualità di chi vi interviene”, scrivevamo già a gennaio, e che Repubblica ha scoperto poche ore fa: Giorgio De Finis pare essere, appunto, tra i favoritissimi per la direzione del Macro, secondo le volontà del vicesindaco Luca Bergamo.
Probabilmente si deve essere verificato lo stesso misurderstanding di sempre: un assessore alla cultura non è necessariamente uno informato sui fatti dell’arte contemporanea. Né tantomeno sui modi di essere concepita, esposta, sistematizzata, e affini.
L’arte contemporanea, come i suoi musei, sono un sistema. E di un sistema devono fare parte. Sennò si fa il MaaM, sennò si fa il Leoncavallo, sennò si fa il Berghain e tutti contenti. Ce la vedete voi una qualsiasi città europea (non azzardiamo paragoni con gli Stati Uniti) che rinuncia al suo museo più prezioso per metterci dentro creatività varia ed eventuale? Giovani e non giovani? Pittori, scultori, incisori, urbanisti, musicisti e tutti quelli che hanno bisogno di esprimersi? Ce la vedete Parigi che molla il suo Museé d’Arte Moderne de la Ville perché non sa che pesci prendere?
Ancora da Exibart del 9 gennaio: “Il MAAM è una cosa precisa, ha la sua ragion d’essere perché si trova, appunto, in quel quartiere con cui ha allacciato rapporti e ha un’utenza non sempre necessariamente interessata all’arte, ma alla pratica dell’incontro”. Ecco. La pratica dell’incontro forse, se il Macro funzionasse come si deve, potrebbe farla “portandosi” nelle periferie, magari coinvolgendo gli abitanti, magari inventandosi azioni per diventare il vero museo di un territorio, contestualmente ad una identità di museo internazionale, come è giusto che sia per Roma. E allora? E allora serve un bando di concorso chiarissimo, serve una nomina forte, servono dei fondi. Punto. E servirebbe, forse, che gli artisti, i critici, i giornalisti, i curatori, i direttori di fondazione, gli uffici stampa, e tutta la cittadinanza romana che ha a cuore il suo Macro inizi ad alzare davvero la voce senza aspettare che l’Assessore, a suo buon cuore o del comune, si palesi a presentare una soluzione servita senza nemmeno un piatto d’argento. O no? (MB)

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