05 agosto 2017

Fino al 1.X.2017 Amalia Del Ponte, Onde lunghe e brevissime Museo del ‘900, Milano

 

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Quella di Amalia Del Ponte è la storia di una grande avventura personale che rimette in discussione i fecondi Anni Sessanta e Settanta a Milano – quelli definiti “della ricerca”- dandone una lettura completamente diversa: cercare di estrarre dall’esperienza un nucleo di verità sostanziale per intuire dentro e oltre la materia i nessi tra le cose. 
Non solo – come indica il suo nome – Amalia Del Ponte ci ha sempre parlato di un “ponte” tra le cose, ma ha sempre cercato l’essenza. Ogni volta che l’ha intuita, ha voluto raccontare, poi, la sua parabola e il comportamento che essa avrebbe assunto per manifestarsi nel mondo. 
Rispetto ai gruppi che si formarono in quegli anni, la differenza è enorme. 
I nuovi materiali, che apparvero proprio allora, suggerirono all’Arte Programmata, Optical e Cinetica un’utilizzazione visiva e psichica appena oltre la soglia di superficie, allineando la propria ricerca a quella delle scoperte tecnologiche e ai progressi del mondo industriale. Amalia Del Ponte, la materia, invece non la “utilizzò”, la “interrogò” semmai, con il rispetto che si deve a qualcosa di vivo. C’è voluto il tempo di un sentire, di un interpretare, poi di un’esplorare in profondità, quasi molecola per molecola, ovvero una “gestazione”, cercando un dialogo intimo tra se e quella porzione di mondo che di volta in volta la materia rappresentava. La parola “ascolto” che nell’antica India è considerata fonte di ogni conoscenza, è forse la più indicata a tradurne l’intenso colloquio, sostenuto da costanti immersioni in studi scientifici alla ricerca di un denominatore comune fra le cose, di una segreta armonia dell’Universo, di una relazione tra l’Uomo e il Cosmo. Amalia ha studiato con Marino Marini all’Accademia di Belle Arti di Brera, ma ha frequentato, poi, gli scritti di Leonardo da Vinci, studi di ottica e di acustica,  testi dell’antica sapienza indiana, cinese, greca, nonché l’alchimia, per trovare infine la “consistenza improduttiva”, ma altamente significativa delle proprie scelte artistiche. La magnifica doppia mostra Onde lunghe e brevissime, in corso sino a ottobre tra il Museo del Novecento e lo Studio Museo Francesco Messina a Milano curata, con intelligenza e passione, da Iolanda Ratti e da Eleonora Fiorani, rende merito al suo genio anticipatore – ben conosciuto agli intenditori, ma sempre appartato – d’interprete della ricerca dell’ultimo cinquantennio, secondo due traiettorie fondamentali, la Luce e il Suono, che l’artista tende a ricondurre a un’ancipite unità archetipica, dove la conoscenza scientifica ha trovato conferme nel pensiero mistico unitario precedente quello dei Greci. 
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Amalia Del Ponte Tropo (n.14), foto Daniele Savi
Il centro della mostra del Museo del Novecento che filologicamente ripercorre gli anni pionieristici fra il ‘64 e il ’73, ai piedi del magnifico soffitto di Fontana che vi fa capolino, è la scultura How do you feel? (1971), donata al museo dall’artista già nel 2014 e non esposta sino ad ora. Con le sue specularità e rifrangenze basate su specifici calcoli e misurazioni, l’opera era esposta insieme all’ambiente Area Percettiva – andato distrutto per la febbrile massa dei visitatori – che Amalia Del Ponte ideò nel 1973, in occasione della sua partecipazione alla XII Biennale Internazionale d’Arte di San Paolo, dove vinse il Premio Internazionale per la Scultura. 
La classica armonia che si stabilisce fra il materiale fluido e trasparente del plexiglass e l’opaca ruvidità del cemento, suggerisce precisamente l’”uso a fini espressivi di rapporti matematici e geometrici” di cui parla Vittorio Fagone, presentando alla Galleria Vismara i suoi magici Tropi, nel 1967, ma soprattutto, con la sua sola presenza, l’opera è in grado di stabilire quel viaggio di andata e ritorno nello spazio, che attraverso un lampo di trasparenza viene, poi, di sponda, rinviato altrove dall’impenetrabilità della quinta di cemento. Così se l’occhio che percorre un paesaggio non può che riassumere il movimento inafferrabile del viaggiatore, qui, al contrario, l’oggetto viene riportato all’interno dell’unità complessa che è la mente dello spettatore, divenuta camera, dimora e osservatorio sia della propria interiorità in rapporto all’opera che della materia che compone il paesaggio dell’opera. 
È necessario che noi usciamo dalle nostre menti per poter usare i nostri cervelli suggerisce Amalia Del Ponte, cogliendo in paradosso la diversa velocità associativa del nostro cervello, rispetto alla sua capacità di formulare concetti. Di fatto il suo approdo agli ambienti rientra nello stesso ordine di riflessioni, una sorta di partecipazione (Einfühlung), a cui il titolo How do you feel? già ci richiama, simile allo stato di empatia, o immedesimazione nel vissuto altrui, che i neurobiologi, oggi, ritengono sia favorito dai cosiddetti neuroni specchio. La premessa è nel suo intenso lavoro sulla fluidità, sulla formazione dei cristalli e nella sperimentazione sulla fusione del plexiglass. 
D’altra parte, un’unica onda energetica, un’unica sostanza intercomunicante, sia come luce sia come suono, che attraversa il materiale o da questo si rifrange su autore-spettatore – anche lo spettatore diviene, così, creatore -, è il cardine delle concezioni dell’artista, con la sola differenza che la frequenza dell’onda sonora è assai più lenta rispetto a quella luminosa. 
Dopo le incandescenti folgorazioni dei Tropi e dei prismi che nel Museo del Novecento hanno attraversato da parte a parte la nostra intimità, è la volta della ricerca sul suono che, con esiti altrettanto significativi, la Del Ponte proporrà dal 1985 in diverse occasioni, accompagnandola con performance di importanti musicisti e compositori, prima di essere invitata da Gillo Dorfles a esporre i suoi Litofoni nella sala personale del Padiglione Italia della Biennale di Venezia, nel 1995.
I suoni della pietra di tre litofoni, intonati dall’artista – Aria della Freccia (1994) – che si sprigionano dal vano sottostante l’area centrale dell’ex Chiesa di San Sisto, sede dello Studio Museo Francesco Messina, a questo punto ci avvolgono, collocandoci dentro le sonorità di una variegata cassa di risonanza grazie alla magistrale interpretazione di Elio Marchesini; fanno posto, ora, anche al sentimento di plastica profondità che accompagna come certezza di una pienezza la nostra esistenza dentro un abisso, divenuto ormai carne del mondo.
Giovanna dalla Chiesa
mostra visitata il 21 aprile
Dal 21 aprile al 1 ottobre 2017
Amalia Del Ponte, Onde lunghe e brevissime
Museo del ‘900
Via Marconi, 1 Milano
Orari: lunedì dalle 14:30 alle 19:30, dal martedì alla domenica dalle 9:30 alle 19:30, giovedì fino alle 22:30
Info: c.museo900@comune.milano.it

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