12 luglio 2018

TEATRO Right to the city

 
“Right to the city”. A Bologna un’interrogazione sui confini che abitiamo
di Paola Granato

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Quante città ci sono in una città? Cosa sono i confini che abitiamo? In quanti modi diversi possiamo esperire i luoghi che attraversiamo ogni giorno? “Right to the City”, prima tappa bolognese del progetto europeo Atlas of Transition Biennale di cui Emilia Romagna Teatro Fondazione è capofila e che coinvolge, oltre all’Italia, altri Paesi quali Albania, Belgio, Polonia, Francia, Grecia e Svezia, affronta queste e altre questioni.  
I giorni passati a Bologna sono stati intensi da molteplici punti di vista, l’immersione in un progetto articolato ha provocato uno spostamento personale prima che artistico, mettendo le persone che ne hanno preso parte di fronte a questioni drammaticamente attuali obbligandole a rivedere le prospettive dalle quali guardiamo il fenomeno della migrazione.
Il primo appuntamento a cui abbiamo preso parte è stato il Migrantour. Alcuni rifugiati politici e richiedenti asilo ci hanno guidato nel centro storico di Bologna. Piazza Verdi, il ghetto ebraico, Piazza Maggiore, luoghi che per chi frequenta Bologna sono quotidiani e di passaggio. Le diverse visioni hanno offerto un ribaltamento di prospettiva che ha attivato la possibilità di uno sguardo diverso su luoghi che vivono nell’immaginario dei cittadini in maniera molto spesso statica.
“Le persone che partono a migliaia in barca in treno o a piedi hanno molto coraggio e una forte immaginazione. Vanno verso il futuro”. Chi scrive questa frase è il protagonista del libro Uno scià alla corte d’Europa di Kader Abdolah pubblicato da Iperborea quest’anno. Il professore universitario che decide di narrare, a partire da un diario di viaggio ritrovato, le memorie di uno scià di Persia a fine 800 che visita l’Europa, si interroga su cosa può fare un docente universitario (che a sua volta ha lasciato il Paese d’origine) per aiutare le migliaia di persone che decidono di attraversare il Mediterraneo. La sua decisione è quella di portarle nel libro, e intrecciare i viaggi dello scià con le loro storie, “Perché in fondo sono ondate che appartengono già all’Europa”. Ed è proprio questo spirito che ha animato “Right to the city”: portare all’interno di progetti artistici abitanti della città dalle diverse provenienze geografiche, riuscendo a far emergere con una prospettiva gioiosa e positiva la condizione di queste persone e andando oltre: facendo spazio e creando le condizioni affinché lo spazio pubblico potesse essere abitato in maniera non ordinaria.
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Migrantour foto di Alice Vacondio, Right to the City, Atlas of Transition Biennale
L’affrontare la narrazione sui migranti in un’ottica totalmente volta a scardinare la retorica corrente è il punto di forza di un progetto che ha saputo problematizzare concetti quali sicurezza e accoglienza smontando la visione del “migrante inventato” che porta a un’inevitabile disumanizzazione, a vedere una massa laddove ci sono soggetti desideranti. Di questo si è parlato nell’incontro dal titolo Maps of Transition, che aveva come punto di partenza le mappe emotive disegnate da chi ha guidato il tour della città.
Ed è di mappe desiderabili che parla Piersandra Di Matteo, curatrice del progetto, che ha messo in dialogo la città e il tema della migrazione “Non per farne un palcoscenico, né tantomeno per antropomofizzarla”, scrive nel suo editoriale. In questa cornice si inserisce il lavoro di alcuni artisti che hanno ideato progetti capaci di mettere in relazione abitanti della città «Senza tematizzare l’essere migrante come fosse un marchio d’esistenza», afferma ancora la curatrice. Progetti che sono stati frutto di giornate di laboratorio e lavoro con i partecipanti e che hanno visto la loro realizzazione nelle strade della città, occupando dal centro alla periferia. In questo contesto si inserisce il lavoro Cent pas presque del coreografo Taoufiq Izeddiou, che ha interrotto per circa un’ora il flusso del traffico cittadino di Via Rizzoli, caotica strada dello shopping del centro di Bologna, con una danza rallentata conclusasi in un liberatorio e rituale ballo che ha coinvolto anche il pubblico.
Il rallentare ci aiuta a porre le domande giuste in un oggi decisamente troppo accelerato. «Con Cent pas presque ho fatto lo sgambetto allo spazio per rallentarlo», racconta il coreografo in un incontro pubblico all’Arena del Sole di Bologna base e cuore di “Right to the city”. 
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100 passi quasi, piazza dei colori foto di Konstancja Dunin-Wasowicz Right to the City, Atlas of Transition Biennale
All’interno del teatro, in uno spazio usato per la prima volta in occasione di questo progetto, una serie di installazioni, che sono tracce di pratiche, incontri e laboratori sono raccolte sotto il titolo Vedute prossime. I Tentativi di esaurimento di alcuni luoghi bolognesi di Zimmerfrei, raccolgono le tracce dei workshop Memoria Esterna e Atlante. É un ulteriore invito al rallentamento e all’osservazione, all’ascolto nel senso più ampio che il termine può avere, perché è solo esaurendoli i luoghi che possiamo assimilarli e esperirli. Sul concetto di clandestinità ha invece lavorato Anna Raimondo nella duplice versione di un progetto di sound art: l’installazione (In)visible sounds e la trasmissione radiofonica dal vivo (In)visible Radio Creatures #2.
Uno sguardo importante quello di Right to the city, che si è interrogato in maniera mai banale sui confini che abitiamo. E, se come affermano Maribel Casas-Cortes e Sebastian Cobarrubas in un saggio dal titolo Drawing escape tunnels trough borders, le mappe non sono territorio in sé, ma fare le mappe è autorganizzazione, è generare nuove connessioni, è essere in grado di trasformare le condizioni sia materiali che immateriali in cui siamo immersi, fare mappe è quindi produrre territorio. Ciò che ha fatto questo progetto è, proprio, produrre un nuovo territorio in cui sperimentare, immaginare e lavorare per far emergere un’esistente resistente che molto spesso rimane nascosto dietro discorsi retorici. Un viaggio all’interno della città che ha fatto ascoltare molte voci, facendo costantemente riverberare la questione del ruolo dell’arte come strumento per ampliare l’orizzonte delle possibilità.
Paola Granato

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