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Una bara usata come banco per impastare il pane o, addirittura, come barca con la quale tentare una traversata del mare davanti a Napoli. È un modo peculiare, ironico e ardimentoso di esorcizzare la morte, quello che Isotta Bellomunno mette al centro della sua arte fatta di performance, autoritratti fotografici, disegni, sculture e installazioni. Il tutto a partire da un retaggio familiare tanto importante quanto impegnativo, ovvero, quello della più antica e celebre famiglia di pompe funebri partenopea, con una tradizione centenaria che diventa per l’artista il punto di partenza per una riflessione, dagli esiti variegati, incentrata sulla fine della vita e sulla rinascita, sostenuta da un vasto immaginario che mette insieme anche nutrimento e mammelle, religiosità popolare e gioco infantile.
È stata un successo la sua prima mostra personale romana, intitolata “Da consumarsi preferibilmente entro” e ospitata l’autunno scorso nelle stanze poeticamente consunte dello spazio espositivo domestico di Casa Vuota al Quadraro, in cui campeggiava una cassa da morto messa al centro del salotto, trasformata in una ball box per bambini, riempita di palline colorate in cui il pubblico poteva liberamente immergersi.
E ora Isotta Bellomunno è protagonista di un “Autoritratto” al museo Macro di Roma, ovvero di una conferenza semiseria in cui vengono raccontate la genesi e le linee di ricerca del suo lavoro, in dialogo con Sabino de Nichilo e Francesco Paolo Del Re. Appuntamento oggi, 24 febbraio, alle ore 16 presso la Sala Cinema del museo. In attesa della prossima mossa dell’artista, che potrebbe forse essere un nuovo intervento pubblico: per esempio, chissà, lanciare la sua bara-barca nel Tevere per una nuova traversata controcorrente, liberatoria come una risata.