22 maggio 2019

L’INTERVISTA / WOLFGANG TILLMANS

 
“VOTE TOGETHER. VOTE FOR EUROPE”
“Ciò che ci unisce è molto di più di quello che ci divide”. Questo il motto della grande campagna dell’artista

di

420 milioni di cittadini europei tra il 23 e il 26 maggio eleggeranno il nuovo Parlamento Europeo, che rappresenterà 508 milioni di cittadini: “Vote together” è la campagna di Between Bridges, fondazione creata da Wolfgang Tillmans nel 2017, che invita tutti gli elettori a riflettere sull’importanza di partecipare al voto e, soprattutto, mira a renderli più consapevoli dell’importanza dell’Unione Europea per la vita quotidiana, i diritti e il futuro dei cittadini degli Stati membri.
Una campagna molto concreta che si avvale di materiale scaricabile e dell’immediata diffusione: dai 44 poster in tutte le 24 lingue ufficiali dell’EU, ai video pensati per essere postati sui social media, a cui si affiancano spiegazioni pratiche su come votare e notizie di politica riguardanti le elezioni (e non solo) in tutta l’Unione, fino alle magliette con vari slogan e la data delle elezioni, con le quali, per la campagna, importanti fotografi hanno ritratto cittadini comuni e personaggi illustri.
Abbiamo posto alcune domande su questa iniziativa a Wolfgang Tillmans.
Che cos`è “Vote together”, come è nata? 
«Vote togheter è un’iniziativa collaborativa che coinvolge molti attivisti e entusiasti da tutta Europa. Condividiamo tutti una principale interesse: ci preoccupiamo per l’Unione Europea e vogliamo motivare la gente ad esercitare il proprio diritto democratico e partecipare alle elezioni europee.
Considerando l’attuale clima politico, quest’anno c’è davvero molto in gioco. I partiti populisti che vogliono minare la cooperazione europea considerano come un’opportunità poter trasformare la tradizionale bassa affluenza alle urne in un grande vantaggio per loro stessi. Queste elezioni, quindi, sono un voto per dire in quale Europa vogliamo vivere e non un evento minore rispetto alle “importanti” elezioni nazionali. La vera domanda è: possiamo permetterci di non votare?».

 

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Peter Puklus, Wolves Ladies

 

Come funziona la campagna, a livello pratico?
«Il progetto ha differenti strategie: abbiamo creato una serie di t-shirt e una di 44 poster, abbiamo inviato questi ultimi a varie istituzioni partner e a singole persone negli Stati membri e sono disponibili, inoltre, nel nostro sito per essere stampati da chiunque. C’è anche una serie di video in differenti lingue che sono disponibili gratuitamente per essere condivisi sui social media. I poster e le magliette riportano la data delle elezioni e l’affermazione “Vote together. Vote for Europe.” in tutte le 24 lingue ufficiali dell’EU. Abbiamo inviato le magliette a varie fotografi in tutta Europa affinchè ritrasessero persone che le indossavano per diffondere le immagini attraverso i social media.
Il nostro approccio consiste nel porre l’accento sulla solidarietà e sulla bellezza delle polifonia, e noi proviamo a comunicare che non si tratta della campagna “Vote togheter” in sè, ma si tratta di ciascuno di noi, di partecipare al processo democratico e assicurare un’EU pacifica e collaborativa».
Nel sito web votetogether.eu vengono fornite informazioni molto pratiche, ad esempio come funziona il Parlamento Europeo o spiegazioni su come esercitare il diritto di voto a queste elezioni. Il progetto risponde ad una necessità di mettere a disposizione dei cittadini informazioni chiare e corrette sulle elezioni?
«Molte persone non sono consapevoli di che cosa faccia davvero l’EU e quali benefici garantisca nella loro vita quotidiana. Purtroppo l’EU ha un problema di comunicazione e raramente comunica i propri successi. Nonostante ci sia indubbiamente spazio per miglioramenti ad ogni livello, questi successi sono spesso dati per scontato. Le informazioni che abbiamo raccolto e che forniamo nel nostro sito web mostrano i traguardi raggiunti dell’EU attraverso la collaborazione, in modo che sappiano per che cosa, di fatto, stanno votando quando votano per partiti non nazionalisti. Ad esempio, tra i traguardi collaborativi ci sono il fatto che dal 2021 la plastica monouso sarà bandita dal mercato, oppure che i lavoratori a tempo pieno abbiano diritto a quattro settimane di ferie all’anno, o che la qualità dell’acqua dei nostri fiumi, come il Danubio, sia costantemente migliorata durante i decenni».

 

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Elina Brotherus, 26 toukokuuta with Marcello

 

Perchè, secondo Lei, non dovremmo permettere che l’Unione Europea si divida? Perchè la sua unità dovrebbe essere un valore? Ritiene che un numero consistente di cittadini europei sottovaluti l’importanza dell’EU per la pace, i diritti umani e la libertà? 
«Ciò che mi preoccupa è che la gente costruisca muri nella propria testa. Per me è una cosa bella essere parte della comunità europea, sia sul piano personale che su quello globale. Ad esempio possiamo tenere meglio sotto controllo i giganti della tecnologia se agiamo come Unione, in modo più efficace che come Danimarca o Portogallo da soli. Possiamo tenere i nostri fiumi puliti se lavoriamo insieme. Sono anche cosciente che nella società occidentale ci siano razzismo e potenziale nazionalista e ci sono persone che vogliono incolpare l’EU per le carenze dei loro governi nazionali. Ciò che possiamo opporre a questo è la nostra solidarietà.
È esattamente il successo dell’Europa che irrita i nemici. È una minoranza che preferisce lo scontro alla negoziazione. Si tratta di difendere i nostri valori dalle minoranze autoritarie che odiano il fatto che abbiamo diritti delle donne e diritti di gay e lesbiche».
Lei ha condotto campagne: contro i nazionalismi, contro la Brexit e, ora, per le elezioni europee. Nel 2017, inoltre, Lei ha creato la fondazione “Between Bridges”, con sede a Berlino, “per l’avanzamento della democrazia, la comprensione internazionale, le arti, i diritti LGBT”. Molte importanti istituzioni hanno appoggiato i Suoi progetti. Quale elemento, secondo Lei, unisce tutti questi temi? 
«Io vedo me stesso come un frutto della storia europea post-bellica di riconciliazione, pace e scambio. Per tutta la mia vita adulta sono stato coinvolto nella vita della Gran Bretagna, con le sue persone, la sua musica e la sua cultura. Nel 2016 ho sentito l’urgenza di mettermi in gioco come attivista perchè ero testimone del fatto che un messaggio di divisione stava guadagnando forza durante l’avvicinamento del referendum sulla Brexit. Percepivo l’assenza del messaggio opposto: che ciò che ci unisce è molto di più di quello che ci divide. Nazionalismo e Brexit sono un attacco alla mia vita e al mio lavoro e alla vita e al lavoro di moltissime altre persone».

 

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RINEKE DIJKSTRA, JULIA+YANNE 11_05_2019

 

Lei si considera un’attivista? In che modo questi progetti sono connessi al resto della Sua ricerca attraverso la fotografia?
«Quando ho iniziato a fare arte alla fine degli anni Ottanta, ero cosciente che le libertà di cui godiamo oggi erano state guadagnate dagli attivisti delle precedenti generazioni. Io vedevo il mio lavoro come lavoro politico, ma non ero un attivista.
Nel 1999 ho pubblicato un libro intitolato “Soldiers – The Nineties”, che contiene soltanto fotografie di soldati ponendo le domande: perchè li stiamo guardando? E perchè siamo nutriti con fotografie di soldati che non fanno nulla? Non ho mai pensato che ci fosse una contraddizione tra il fatto di essere un artista e allo stesso tempo nell’essere interessato a vedere come la creazione di immagini e il loro uso siano connessi con la società e la politica.
Nel 2016 è stata la prima volta che ho effettivamente fatto una campagna, in cui ho toccato con mano la politica, quando ho visto che l’Europa della cooperazione, dell’amicizia e dei confine aperti era sotto attacco. Dall’altra parte, per quanto concerne la mia arte, il lavoro che ho fatto sull’HIV nel 2006 con il London’s HIV-iBase and Treatment Action Campaign in Sud Africa e l’installazione al Truth Study Centre riguardavano tutti la politica».
Nel 2016, in un’intervista a The Guardian, Lei ha dichiarato: «Ho sempre guardato alle sfumature delle cose quotidiane perchè sento che è una responsabilità politica anche il fatto di guardare il mondo che ti circonda in modo aperto, senza pregiudizi e senza paura». Per Lei guardare in questo modo è una responsabilità politica: ritiene che una parte di questa responsabilità La abbia condotta a queste campagne?
«Nonostante io veda il mio attivismo separato dalla mia arte – in quanto l’arte per me non ha uno scopo definito, mentre l’attivismo è portato avanti con in mente un obiettivo più o meno specifico -, credo che il mio attivismo influenzi il mio lavoro artistico in una miriade di aspetti, in modo crescente negli anni. Io ho sempre visto me stesso come un artista politico, implicitamente. Nella mia intera carriera mi sono occupato di come rappresentare una persona, ad esempio. Per me vedere e mostrare qualcosa ha una valenza politica. Quale tipo di bellezza, sessualità, potere o sottomissione voglio mostrare? Che cosa vedo io? Che cosa vedono gli altri? Ciò che cerco nella mia arte, e forse anche nel mio attivismo, sono idee, modi di vita e identità plurali, che non siano determinati, definiti, ma che contengano il potenziale per mettere in dubbio le certezze».

 

Silvia Conta

 

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