05 marzo 2009

architettura_opinioni Le archistar e lo Spettacolo debordiano

 
Cosa c’entrano le opere ridondanti e invadenti dei vari Gehry, Hadid, Piano e Herzog con la Società dello Spettacolo così come l’aveva delineata Guy Debord? Questo breve saggio tenta di collocare il boom dell’architettura contemporanea in una logica che vede i grandi architetti di oggi al servizio del postcapitalismo. Inconsciamente?

di

…per qualche momento rimase lì a guardare bevendo con gli occhi la gloria di quell’immenso, squisito gioiello che era il Palazzo nella notte. Era perfettamente visibile da quell’altezza, fra due grandi grattacieli, molto al di là di essi, e splendeva meravigliosamente, senza abbagliare né la mente né lo sguardo. Riluceva di uno splendore morbido e vivo che mutava incessantemente di colore, come un fuoco sfavillante in mille combinazioni di tinte, ognuna sottilmente e delicatamente, ma a volte anche sorprendentemente, diversa. Non una sola volta scorse una combinazione che si ripetesse…

Alfred E. Van Vogt, Slan (1949; 1968)

Gli edifici progettati e costruiti dalle archistar contemporanee – Frank Gehry, Zaha Hadid, Daniel Liebeskind e gli altri – stanno trasformando profondamente il volto delle metropoli mondiali. La volontà di meravigliare e catturare lo sguardo alla base di queste visioni fa pensare immediatamente al Barocco: come Bernini e Borromini, anche questi architetti ipertecnicisti pongono la loro arte al servizio di un’ideologia. Se quattro secoli fa c’era la Controriforma e la necessità di combattere i protestanti con le armi delle immagini e della comunicazione, oggi i medesimi strumenti veicolano un nuovo tipo di messaggio religioso completamente secolarizzato, ma non per questo meno potente e pervasivo: il neoliberismo postcapitalista. “Se immaginate che il mondo sia una città, l’Occidente agli inizi del ventunesimo secolo è una comunità blindata di ricchi, circondata da quartieri poveri e ghetti spaventosi”, scrive Timothy Garton Ash in un interessante parallelo [1]. Franco La Cecla, invece, autore del recente pamphlet Contro l’architettura [2], chiarisce polemicamente il legame diretto tra potere economico globalizzato e nuova concezione scenografica dell’architettura: secondo lui, le archistar sono “artisti al servizio dei potenti di oggi. Sono grandi, abilissimi professionisti addetti a stabilire ‘trend’, a stupire e richiamare il grande pubblico con trovate che hanno pochissimo di un edificio e moltissimo invece a che fare con una messa in scena. Costruiscono enormi cartelloni pubblicitari sedotti da un foglio accartocciato” [3].
Un dettaglio del Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry
Sembra quindi che i nuovi architetti stiano rapidamente realizzando i sogni (e gli incubi) urbani degli scrittori fantascientifici della golden age, dall’Asimov di Notturno al Van Vogt di Slan, passando per il Silverberg di Monade 116 e il Ballard di Condominio: sogni fatti di torri fantastiche, grattacieli stratosferici e abitazioni modulari trasparenti. D’altra parte, poi, è sorprendente considerare come questa nuova scenografia metropolitana costituisca, in qualche misura, la traduzione più aggiornata, in termini urbanistici, della nozione di spettacolo elaborata da Guy Debord quarant’anni fa [4].
Sicuramente, per Debord lo spettacolo era legato al funzionamento della società attuale così come iniziava a profilarsi nei suoi tratti fondamentali alla fine degli anni ‘60, dal punto di vista del controllo sociale e politico. Tuttavia non va dimenticato che il Situazionismo nasce in relazione proprio all’urbanismo degli anni ‘50, e che il concetto di détournement – poi impiegato in maniera immensamente feconda nel terreno del cinema e della comunicazione di massa – all’inizio è intimamente legato alla flânerie di fine Ottocento e inizio Novecento, tra dandismo, Surrealismo e Walter Benjamin. Parigi diventa quindi/perciò il campo di battaglia di vagabondaggi e scoperte che si susseguono decennio dopo decennio, generazione dopo generazione, fino ad arrivare appunto ai situazionisti.
Il Museo Betile in costruzione a Cagliari e disegnato da Zaha Hadid
Oggi l’attenzione non si concentra più sulla capitale francese, ma sulle aggressive città dell’Asia e del Medioriente, come Kuala Lumpur, Shanghai, Dubai. Tra cattedrali spaziali erette in un deserto nient’affatto figurativo e isole residenziali a forma di mondo, il nuovo ordine economico impone la sua dolce volontà di potenza anche in campo figurativo, attraverso l’intervento entusiasta dei testimoni occidentali.
E, a questo punto, è come se – dopo gli anni luce di viaggio che distanziano l’analisi debordiana dal neoconservativismo degli ultimi trent’anni – la Società dello Spettacolo rientri in maniera roboante nell’alveo dell’urbanismo, declinandolo secondo i canoni di una nuova modellazione che trasforma la città, come afferma Terry Nichols Clark, in una “entertainment machine” [5], in una Disneyland per adulti, già oltre il non-luogo e le astrazioni post-strutturaliste. Il tutto, servito in una salsa che di postmoderno (nel senso originario di un Robert Venturi o di un Rem Koolhaas) conserva molto poco, e che invece si presenta in maniera decisa ed esibita come continuazione della logica modernista su differenti basi corporative, e come affermazione di un Neobarocco a tratti inquietante, e forse anche minaccioso.
Il Denver Art Center di Daniel Libeskind
Una cosa è certa: la trasformazione completa dei cittadini in spettatori, e delle comunità locali in target di mercato, si sta compiendo proprio sotto i nostri occhi. Secondo modalità e funzioni che, probabilmente, neanche lo stesso visionario Debord era stato in grado immaginare.

[1] T. Garton Ash, Nord ricco, Sud povero, in Free World. America, Europa e il futuro dell’Occidente (2004), Mondadori, Milano 2006, p. 160.
[2] F. La Cecla, Contro l’architettura, Bollati Boringhieri, Torino 2008.
[3] F. Erbani, Archistar? No, grazie. Il trionfo della messa in scena, “La Repubblica”, 14 maggio 2008, p. 49.
[4] Sono debitore di questa e delle seguenti suggestioni al prof. Allen J. Scott e al suo intervento dal titolo Creative Cities and the Cultural Economy, in Creative Construct. Building for Culture and Creativity, Canada Fairmont Château Laurier, Ottawa 2008.
[5] T.N. Clark & R. Lloyd, The City as an Entertainment Machine, Research Report #454, Annual Meeting of the American Sociological Association, 2000, faui.uchicago.edu/EM3.SS.doc.

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christian caliandro


*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 54. Te l’eri perso? Abbonati!

[exibart]

5 Commenti

  1. mi lascia perplesso l’inserimento di Piano tra i decostruttivisti
    mi lascia perplesso la riduzione della carriera di Gehry alle grandi realizzazioni genere Bilbao tralasciandone tutto il periodo iniziale che è anti monumentale e ricco di altre implicazioni
    mi lasciano perplesso molte altre cose ad esempio la citazione di Debord, solito abusato e usurato grimaldello per chi vorrebbe contorni netti e non sfumati: o bianco o nero, o alienato o libero, razionale o irrazionale , servo o padrone ecc: Ma perchè tra i tanti neo- Hegeliani non proviamo a studiarci Kojeve: forse non dovremmo così sorbirci queste tiritere alla Bertinotti, tiritere spiattellate tra l’altro da personaggi come Gregotto che poi se devono costruire l’ennesimo supermercato in qualche zona già affollata non si tirano certo indietro…
    che gli architetti abbiano a che fare con la committenza è un dato di fatto banale:se vogliamo che abbia invece un significato più essenziale dovremmo pensare che anche Bernini e Borromini fossero dei servi dei padroni e che quindi le loro architetture siano brutte e inutili e magari da demolire:
    c’è un equivoco che perdura nel pensare che la rete di distribuzione, i condizionamenri economici siano per forza rispecchiati dall’opera nei suoi minimi dettagli . mi sembra che ci sia un eccesso di ideologia in tutto questo e scarso amore o interesse per la materia in questione che Ahimè per qualcuno non si può risolvere in un ritorno alle classiche parole d’ordine come razionalismo, progetto ecc se tutto il mondo avesse seguito una certa strada forse tutto ciò che è divertimento piacere partecipazione libertà espressione sperimentazione sarebbe stato bollato come “Consumistico”.
    se qualcuno costruisce troppi cappannoni , se qualcuno sventra le coste non è mica colpa di Gehry ma sarà colpa della politica. Che l’autore del libro si studi un pò la politica
    magaridi casa nostra tanto per cominciare e non si faccia strumentalizzare dalle beghe tra architetti invidiosi

  2. Non molto .

    Innnanzitutto non condivido per nulla che i 3 citati appartengano al “neoliberismo postcapitalista”. Tutti e tre hanno avuto una stagione matura lunga prima di divenire famosissimi; stagione fatte di piccole cose grande ricerca (Libeskind stava per mollare tutto quando, residente a Milano, ha provato a partecipare al concorso per Berlino….e sappiamo come è andata). Le grandi cose le hanno fatte con capitali veri, altro che post-capitali…quelli si muovono con altre logiche di natura edilizia (vedi Macao, Dubai, Las Vegas, ….).

    Poi citare La Cecla, un perfetto sconosciuto in tutto il panorama architettonico prima di riuscire a dare mercato ad un libro che ha venduto solo tra le fasce di non addetti, porta a dare un taglio fuori da tutti i ragionamenti che “producono” l’architettura. E infatti sia lo sconosciuto La Cecla (che segue di qualche anno il pamphlet di Wolfe, “Maledetti architetti”, che ha avuto la medesima inutilità), sia quest’altro sconosciuto che scrive, parlano del fenomeno città asiatiche associandolo ai tre ma dimenticando che tutti e tre sono nati, cresciuti e “diventati dei grandi” (in senso progettuale) ben lontano dalle suddette città asiatiche, nelle quali appunto funzionano logiche altre, quelle veramente legate ai post-capitali. Tutti e tre infatti si sono fatti le ossa in “periferia” (es. HdeM a Basilea) e poi hanno messo a punto il marchio nelle città culturalmente ricche e potenti (es. Londra, NY, ….).

    L’unico nome che vedo citato e che potrebbe starci è Rem Koolhaas, sul quale però si dovrebbe aprire un ragionamento bene più complesso. Lui si aprì con “Delirious New York” il fronte dell’analisi dei nuovi canoni estetici (guidati dal capitale) ed anche lui è oggi in crisi totale dopo l’iconico incendio del suo edificio simbolo di Pechine (la sede della televisione nazionale), andato in fumo nella notte delle lanterne.

    Dovrei continuare, continuare, continuare……ma tedierei.

    Mi sembra in definitiva un saggetto. Questo sì che si nasconde dietro i paroloni senza mai aver vissuto o conosciuto una vera operazione architettonica. Forse questo guarda ancora l’orinatoio cercando di dimostrare che anche la firma “Richard Mutt” fu fatta per dare un connotato estetico?

    Claudio

  3. Colgo l’occasione per consigliare caldamente la lettura del saggio di Tom Wolfe, ‘From Bauhaus to Our House’ (‘Maledetti architetti’, 1981): un capolavoro assoluto di acume e lucidità.

  4. «ARTE-PURA, ARTISTA-ARCHITETTO COMUNICATORE & MUSEO/CITTA’»…

    ”Archistar per ricostruire L’Aquila? ” Non polemica, ma: “COMUNIC/AZIONI PURE”… (Interveniamo per “Capire” e non per “polemizzare” – convinti come siamo, che la polemica è segno di pura critica e responsabilità ed è segno di grande civiltà e cultura e, non è mai fatta da “parolieri”, da “incolti” o da individui di scarsa “sensibilità” e politica e culturale…!) – Giulio Carlo Argan ha detto, e « scritto: (…)”” La cosa più bella al mondo è capire”” – quando era Sindaco di Roma, preferì dimettersi per non far fare scempi architettonici ai soliti “furbi doppiogiochisti dell’architettura” e degli scienziati/mercenari “tecnici-consiglieri” degli speculatori/urbanistici del ns. territorio… massacrato dal cattivo gusto dentro e fuori i centri storici delle Città…il totale orrore (il Kitsch) è sotto gli occhi di tutti…, in tutta l’ Italia (dal Nord al Sud e dal mare ai monti, ai laghi)! E ai dopo terremoti… (diamo ancora ragione a Carlo Ripa di Meana)

    1)- Comunic/Azione pura come comunica/azione messaggio/massaggio puro di arte pura, di civiltà
    di “Natura-Cultura” per la Città…di oggi – degli uomini dalla sensibilità violata – e non dei
    professorini di domani…La Città va costruita con i cittadini per i cittadini, lo diciamo in
    Primis agli “Archistar” (ci sono i modi e i mezzi per farlo! Un tempo in tal modo si costruiva la
    Città…), e poi al Governo. Un “Cantiere Scuola d’Avanguardia Aperto in tutti i sensi…” con
    pochi individualismi è possibile?

    2)- Siamo del medesimo parere di Carlo Ripa di Meana (e non dei “parolieri”…, ma dei veri uomini
    di cultura, con d’idee originali e di pura sensibilità, di naturale signorilità e di rara onestà
    Intellettuale provata, coraggiosa e responsabile; lo diciamo per voler gridare anche: “W Italia
    Nostra”! Meno male che esiste (c’è la sua storia) con le sue battaglie in difesa dell’arte e della
    cultura – vi sono le varie sezioni sparse in Italia – se pur insufficienti, ma efficienti in molte
    città, guidate da uomini di sana formazione intellettuale con iscritti appassionati, attenti difensori dell’habitat…

    A)-«COMUNIC/AZIONE»: La Città se non è per l’uomo non è Città. Lo spazio urbano deve
    essere strutturato esteticamente. Lo spazio urbano deve essere interpretato e non va violentato…

    B)-«TERREMOTO & CITTA’ E I SEGNI DEL TEMPO»: la Città dell’AQUILA, può diventare
    un’occasione di alta cultura più che ATTUALE. Si può studiare per “farla diventare” una
    «CITTA’/Museo-APERTO» alla Città di tutti gli uomini – far diventare sul nostro pianeta questo
    «spazio urbano» un modello di Città-MUSEO/Città APERTA – il più attuale ”Museo Vivo Del
    Terremoto Vivo” per salvaguardare l’uomo e la sua vita con quella di tutti (…di tutti gli esseri
    viventi!) e del suo paesaggio con i “Beni culturali”. L’Abruzzo ha questa gran sensibilità, basta
    vedere la qualità dei vari musei che ha fondato nella sua Regione, tanti e originali da far invidia
    ad un’intera nazione come la Germania…che ha “predato” interi monumenti dell’antichità e,
    opere d’arte della Magna Grecia uniche al mondo!

  5. “Dobbiamo negare alle case d’abitazione il carattere d’arte ed invece pretendere quello estetico ed umano”

    Cfr.A.Libera,G.ponti, G.Vaccaro: Per tutti, anzi per cisacuno: appello di tre architetti per la “carta della casa”.In Sile n.30 giugno 1943

    …poco importa che io non fossi ancora nato…

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