03 marzo 2004

fino al 2.V.2004 Carlos Garaicoa – Jaume Plensa Siena, Palazzo delle Papesse

 
L’immaginazione al potere nelle storiche stanze delle Papesse. Due protagonisti dell’arte contemporanea internazionale mostrano come i sogni diventino materia, le idee forma, le paure immagini percepibili. Una professione di fede nella vitalità del linguaggio artistico…

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Riparte l’attività del Palazzo delle Papesse dopo una chiusura per lavori durata poco più di tre mesi. E dopo la discutibile esperienza della mostra Palazzo delle libertà, debole, pretenziosa, spesso al di sotto del benché minimo standard museale, il Centro d’Arte Contemporanea di Siena si riscatta con un duo d’eccezione -Carlos Garaicoa e Jaume Plensa- accompagnato dal consueto intervento nel caveau, affidato stavolta al britannico Richard Wilson.
Le personali, che occupano ciascuna un piano del palazzo, offrono uno spaccato completo e stimolante della ricerca dei due artisti. Due figure forti, capaci di dare forma ad oggetti e visioni di indubbia potenza espressiva, alla ricerca di un linguaggio poetico che coniughi forma, contenuto, immaginazione, progettualità.
Jaume Pensa (Barcellona, 1955) riunisce sotto il titoloJaume Plensa Fiumi e cenere un corpus di lavori recenti e quattro opere inedite. Il suo vocabolario è lirico ed emozionale; parole e lettere sono incise sul bronzo, incastonate nel vetro, scandite nei suoni, usate come mattoni per la costruzione di sagome umane. Ma la passione dell’artista catalano per la parola -che sembra ereditare alcune delle sue cifre dal concettualismo storico e in alcuni momenti sembra addiritture strizzare l’occhio al minimal- si concretizza in sculture e installazioni di raffinatissima costruzione formale. Un’attitudine scultorea che dà forma alle idee attraverso l’uso di materiali diversi: metallo, vetro, legno, plastica e persino luce.
Ma idee, per Plensa, significa soprattutto domande. Punti interrogativi costellano le sue opere: dai divanetti in pelle che ne riproducono l’intera sagoma (Poet’s chair I e II, 2002), alle domande incise sulle campane tubolari di (13 doubts, 2001); fino al piccolo, ironico palcoscenico di Where did I forget my shoes? (1995), minuta apparizione onirica che sembra fornire -forse più delle grandi sculture- un’efficace chiave di lettura per l’universo poetico di Plensa. Un universo dove i sogni si fanno materia, le idee scultura, le domande filosofia.
Non meno densa la mostra La misura di quasi tutte le cose del cubano Carlos Garaicoa (L’Avana, 1967). Egli dimostra, sin dai primi lavori -databili all’inizio degli anni Novanta- un profondo interesse per lo spazio urbano, inteso come luogo della socialità e della memoria. Segni e simboli vengono riproposti, in una nuova veste, agli occhi degli stessi cittadini, nel tentativo di riaccendere in loro domande sulla propria Carlos Garaicoa storia. In quella che Garaicoa stesso ha definito “una rilettura della trama urbana”. Una modalità operativa questa, recuperata dall’artista nel lavoro site specific El Cazador (2004), figlio di un evento performativo che ha visto protagoniste le strade di Siena.
Al centro del percorso espositivo, come un grande spazio per la meditazione, sta Jardin Japonés (1997-2004), opera che testimonia una mutazione del linguaggio di Garaicoa, inizialmente più legato ad elementi performativi e sociologici, verso tonalità più liriche e introspettive. Un’intera stanza è occupata da un vero giardino zen, con la classica distesa di sabbia pettinata che lascia emergere capitelli e frammenti architettonici; il tutto circondato da fotografie che immortalano, in un’ulteriore sacralizzazione, fregi e rovine.
La riflessione sull’architettura, protagonista assoluta del linguaggio garaicoiano, trova la sua massima espressione nell’installazione Autoflagelaciòn. Supervivencia. Insubordinaciòn (2003), in cui una selva di piccole maquettes, sistemate su altrettanti piedistalli, rimane legata da sottili filamenti alla matrice progettuale, tracciata –sempre da fili di cotone- sulle candide pareti. Più tesa e angosciante la distopia di Campus o la Babel del conocimiento (2002-2004), un luogo dove gli studenti sono iper-preparati e le strutture impeccabili, ma ogni contatto umano è rigorosamente vietato. Un’opera controversa e densa di riferimenti: dalla Biblioteca di Babele di Borges al Panopticon di Jeremy Bentham; in cui la struttura architettonica diventa simbolo e contenitore di aspirazioni e paure dell’uomo contemporaneo.

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Carlos Garaicoa – La misura di quasi tutte le cose / Jaume Plensa – Fiumi e cenere / Richard Wilson – Bank Job. Palazzo delle Papesse Centro d’Arte Contemporanea, fino al 2.V.2004. Orari: 12.00-19.00, chiuso lunedì. Biglietto: intero: 5 euro Ridotto: 3,50 euro. Catalogo gli Ori.

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