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Luca Bray – Un mar de Suenos
Colori ad olio e acrilici, apparentemente in conflitto, prima si respingono e successivamente si amalgamano, accordandosi, guidati e orientati dalle mani di Bray con armoniosa libertà, congiunta ad estrema meticolosità.
Comunicato stampa
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Un mare di sogni
Eccomi immerso nell'ipotetica condizione mentale ed emozionale nella quale Luca Bray si imbatte ogni qual volta approccia l'assoluto creativo. Mi sto riferendo alla così detta "sindrome della pagina bianca".
Il panico, ossia l'inquietudine della pagina bianca, fortunatamente o sfortunatamente non rientra tra le mie fobie ricorrenti, ma è noto che esso colpisca assai di frequente soprattutto i creativi e di deduzione le persone dotate di rilevante sensibilità.
L'entità fisica su cui mi appresto ad immaginare non è la stessa utilizzata dall'artista; un tempo era la carta e il foglio, ora invece la base ricettiva del pensiero dello scrittore si è evoluta e trasfigurata radicalmente in elemento tecnologico e direi quasi virtuale. Per gli artisti o perlomeno per coloro che si avvalgono del colore e del pigmento, solitamente le basi dalle quali tutto prende origine sono rimaste tali: la carta e la tela rimangono elementi predefiniti e predestinati
Sia che si tratti di tela intonsa che di pagina bianca, sempre di spazio incontaminato si sta parlando, di quello che potremmo definire un luogo dove regna l'assenza, apparentemente il nulla, ma che improvvisamente può trasformarsi in fonte inesauribile di spunti creativi e di significati. Un luogo ancestrale che, Luca Bray interpreta in prima istanza come fosse una pagina sulla quale appuntare i propri pensieri, riflessioni, impressioni: un corso d'acqua che conduce con sé il liquido dell'istante riflessivo.
La scrittura diviene così il primo passaggio con il quale Bray interagisce con la tela. Un rapporto di scambio reciproco, dove l'artista lascia scorrere liberamente e fluidamente il pensiero tradotto in grafia. Parole, ricordi, sogni, paure e desideri formalmente univoci, si rincorrono, si intrecciano, interagiscono, dando forma e concetto all'idea che, progressivamente si evolve e si trasmuta in immagine.
Le mani si immergono direttamente nella vernice, senza la mediazione del pennello, incontrando sintonia e sinergia immediate, per poi dirigersi e procedere sul supporto, sfidando il tempo del reale, convergendo e rivelando ciò che non si vede, alla ricerca di un mondo altro.
Colori ad olio e acrilici, apparentemente in conflitto, prima si respingono e successivamente si amalgamano, accordandosi, guidati e orientati dalle mani di Bray con armoniosa libertà, congiunta ad estrema meticolosità. L'apparente casualità dell'astrazione pittorica è invece governata da un assoluto ordine esecutivo che domina il caso, sfruttandone le virtù del circostante e l'eventualità della condizione dell'istante. Il gesto diviene imprescindibile, non solo come espressione del colore che si libera sulla tela, ma anche come approccio fisico e mentale che l'artista attua nei confronti del quadro come spazio della riflessione e dell'introspezione.
Il supporto pittorico durante l'esecuzione non è posizionato sulla parete e quindi in verticale, ma trova dimora direttamente a contatto con il terreno, in orizzontale, quasi a voler annullare l'assunzione ad icona, nonostante tuttavia l'artista approcci ad essa inginocchiandosi, assumendo pertanto un atteggiamento equiparabile alla preghiera che, si esplica in un atto di meditazione confluente nel dinamismo creativo. Prende così forma un viaggio lungo, faticoso, che appare come utopia, forse irraggiungibile o probabilmente concreta, poco importa, quello che Bray ricerca bramosamente è la possibilità di perlustrare; egli non si accontenta del qui ed ora, dell'evidente, di ciò che si concretizza allo sguardo abitudinario, ma con le sue mani sulla tela imprime il desiderio dell'esplorazione che, ci consente di "innalzare" nuove immagini del mondo.
Quello di Luca Bray non è un viaggio esclusivamente simbolico, ma muove dal reale, è parte integrante e direi sostanziale della vita dell'artista stesso. Partito terminata l'Accademia alla volta del Messico con dentro lo zaino l'incoscienza dell'ignoto, Bray troverà in questi luoghi una seconda patria che, lo proietterà a guardare con occhi fino a quel momento non utilizzati, a considerare l'iridescenza della vita nelle sue sfaccettature, provando a spingere la visione oltre l'orizzonte.
L'incontro con la città, i suoi abitanti, la terra e soprattutto con il mare, vissuto come abisso dell'immensità, che entra e penetra dentro accorpandoti a lui, comunicandoti non solo la bellezza dell'eterno blu, ma i sogni infiniti che esso porta con sé. Un mare di sogni nei quali navigare, perdersi, immaginare, naufragare e poi improvvisamente ridestarsi e riprendere nuove rotte verso terre lontane ed ignote.
L'arte di Luca Bray vive in questi paradigmi: archetipi lontani, originari, primordiali che si confondono, si svincolano, si dimenano, disgregandosi in macchie, schizzi che si dissociano fino ad annullarsi per poi ritrovarsi e ricongiungersi, colature che scorrono inconsapevoli del prossimo incontro con la parola che, a sua volta da verbo diviene atto del dipingere. Riemergiamo e prendiamo fiato.
L'incognita di una visone astratta è quella di perdere lo sguardo sul reale, non distinguere più fantasia e realtà, smarrendo il contatto con essa e abbandonando la visione dell'insieme. Luca Bray tuttavia non si lascia sovrastare dall'irreale e dall'illusorio, ma oltre alla ricerca della sensibilità primigenia ed incontaminata, tipica del mondo dell'infanzia, si nutre dell'attuale, perseguendo un'indagine del contemporaneo nelle sue plurime sfaccettature che, lo "autorizza" e gli concede di trovare l'infinito nel finito.
Il viaggio non è giunto al termine, anzi è solo all'inizio e Luca Bray prosegue per Barcellona, New York, Tokyo, Sidney e poi Shanghai, tutti luoghi, territori dove l'artista cremasco ha vissuto, sperato, osservato, creato e compreso il mondo dell'altro. Nel 1914 durante un viaggio in Tunisia, Paul Klee ebbe la rivelazione del colore: "Il colore ed io siamo divenuti una cosa sola. Sono pittore". Parole intense come il colore, emozionanti, ma sopratutto esse accolgono l'epifania di una coscienza artistica che diviene imprescindibile, essenziale per la vita stessa. Il colore non è solo inteso come pigmento ma anzitutto come senso dell'arte nell'eterno dell'esistenza, un valore inestimabile che ci avvicina al bello, alla comprensione dello spazio dimorante, all'infinita curiosità per l'esplorazione dell'apparente zona d'ombra e al sensibile rispetto dell'eterogeneità.
All'unisono si immergono e vivono dentro i quadri di Bray tutti questi assiomi, vincolati solo dalla voglia di essere. Essere e abitare il mondo divengono atti essenziali in ogni luogo dove l'arte lo conduca, ove lo spinga e lo stimoli ad inoltrarsi tra le culture, negli interstizi delle città, tra i solchi dei volti, nei racconti degli sguardi. In ogni luogo dove Bray giunge, dopo aver compreso lo spazio che lo accoglierà, non solo come architettura abitativa, ma principalmente come territorio della riflessione artistica, ne identifica la parete ospitante e scrive con intenzione simbolicamente indelebile: un mar de suenos. Come precedentemente espresso esso non è un mare solo reale, ma un mare metaforico, un sogno infinito del conoscere, dello sperimentare, che mi riporta alla mente, senza scampo, l'avventura del mitico Odisseo. Sarebbe tuttavia troppo semplicistico e generico limitarsi a questa assonanza, ciò che invece a mio avviso risulta molto più appassionante è l'incontro che Ulisse fa una volta sceso nell'Ade, dove si imbatte nell'indovino tebano Tiresia; il quale gli profetizzerà che, una volta finalmente fatto ritorno ad Itaca e ripreso possesso di sua moglie e del suo regno, il destino che lo aspetterà, sarà paradossalmente di ripartire per un nuovo viaggio!
Il fato umano, o perlomeno di coloro che decidono di "vivere", è quello di comprendere, di non adeguarsi ed accontentarsi, ma pur con difficoltà continuare a viaggiare e quindi sperare. L'arte è un luogo immaginativo in cui con la mente ci è consentito di simulare e quindi vivere esperienze vere, come provare ad immaginare il mare dentro, per sempre.
Alberto Mattia Martini
Eccomi immerso nell'ipotetica condizione mentale ed emozionale nella quale Luca Bray si imbatte ogni qual volta approccia l'assoluto creativo. Mi sto riferendo alla così detta "sindrome della pagina bianca".
Il panico, ossia l'inquietudine della pagina bianca, fortunatamente o sfortunatamente non rientra tra le mie fobie ricorrenti, ma è noto che esso colpisca assai di frequente soprattutto i creativi e di deduzione le persone dotate di rilevante sensibilità.
L'entità fisica su cui mi appresto ad immaginare non è la stessa utilizzata dall'artista; un tempo era la carta e il foglio, ora invece la base ricettiva del pensiero dello scrittore si è evoluta e trasfigurata radicalmente in elemento tecnologico e direi quasi virtuale. Per gli artisti o perlomeno per coloro che si avvalgono del colore e del pigmento, solitamente le basi dalle quali tutto prende origine sono rimaste tali: la carta e la tela rimangono elementi predefiniti e predestinati
Sia che si tratti di tela intonsa che di pagina bianca, sempre di spazio incontaminato si sta parlando, di quello che potremmo definire un luogo dove regna l'assenza, apparentemente il nulla, ma che improvvisamente può trasformarsi in fonte inesauribile di spunti creativi e di significati. Un luogo ancestrale che, Luca Bray interpreta in prima istanza come fosse una pagina sulla quale appuntare i propri pensieri, riflessioni, impressioni: un corso d'acqua che conduce con sé il liquido dell'istante riflessivo.
La scrittura diviene così il primo passaggio con il quale Bray interagisce con la tela. Un rapporto di scambio reciproco, dove l'artista lascia scorrere liberamente e fluidamente il pensiero tradotto in grafia. Parole, ricordi, sogni, paure e desideri formalmente univoci, si rincorrono, si intrecciano, interagiscono, dando forma e concetto all'idea che, progressivamente si evolve e si trasmuta in immagine.
Le mani si immergono direttamente nella vernice, senza la mediazione del pennello, incontrando sintonia e sinergia immediate, per poi dirigersi e procedere sul supporto, sfidando il tempo del reale, convergendo e rivelando ciò che non si vede, alla ricerca di un mondo altro.
Colori ad olio e acrilici, apparentemente in conflitto, prima si respingono e successivamente si amalgamano, accordandosi, guidati e orientati dalle mani di Bray con armoniosa libertà, congiunta ad estrema meticolosità. L'apparente casualità dell'astrazione pittorica è invece governata da un assoluto ordine esecutivo che domina il caso, sfruttandone le virtù del circostante e l'eventualità della condizione dell'istante. Il gesto diviene imprescindibile, non solo come espressione del colore che si libera sulla tela, ma anche come approccio fisico e mentale che l'artista attua nei confronti del quadro come spazio della riflessione e dell'introspezione.
Il supporto pittorico durante l'esecuzione non è posizionato sulla parete e quindi in verticale, ma trova dimora direttamente a contatto con il terreno, in orizzontale, quasi a voler annullare l'assunzione ad icona, nonostante tuttavia l'artista approcci ad essa inginocchiandosi, assumendo pertanto un atteggiamento equiparabile alla preghiera che, si esplica in un atto di meditazione confluente nel dinamismo creativo. Prende così forma un viaggio lungo, faticoso, che appare come utopia, forse irraggiungibile o probabilmente concreta, poco importa, quello che Bray ricerca bramosamente è la possibilità di perlustrare; egli non si accontenta del qui ed ora, dell'evidente, di ciò che si concretizza allo sguardo abitudinario, ma con le sue mani sulla tela imprime il desiderio dell'esplorazione che, ci consente di "innalzare" nuove immagini del mondo.
Quello di Luca Bray non è un viaggio esclusivamente simbolico, ma muove dal reale, è parte integrante e direi sostanziale della vita dell'artista stesso. Partito terminata l'Accademia alla volta del Messico con dentro lo zaino l'incoscienza dell'ignoto, Bray troverà in questi luoghi una seconda patria che, lo proietterà a guardare con occhi fino a quel momento non utilizzati, a considerare l'iridescenza della vita nelle sue sfaccettature, provando a spingere la visione oltre l'orizzonte.
L'incontro con la città, i suoi abitanti, la terra e soprattutto con il mare, vissuto come abisso dell'immensità, che entra e penetra dentro accorpandoti a lui, comunicandoti non solo la bellezza dell'eterno blu, ma i sogni infiniti che esso porta con sé. Un mare di sogni nei quali navigare, perdersi, immaginare, naufragare e poi improvvisamente ridestarsi e riprendere nuove rotte verso terre lontane ed ignote.
L'arte di Luca Bray vive in questi paradigmi: archetipi lontani, originari, primordiali che si confondono, si svincolano, si dimenano, disgregandosi in macchie, schizzi che si dissociano fino ad annullarsi per poi ritrovarsi e ricongiungersi, colature che scorrono inconsapevoli del prossimo incontro con la parola che, a sua volta da verbo diviene atto del dipingere. Riemergiamo e prendiamo fiato.
L'incognita di una visone astratta è quella di perdere lo sguardo sul reale, non distinguere più fantasia e realtà, smarrendo il contatto con essa e abbandonando la visione dell'insieme. Luca Bray tuttavia non si lascia sovrastare dall'irreale e dall'illusorio, ma oltre alla ricerca della sensibilità primigenia ed incontaminata, tipica del mondo dell'infanzia, si nutre dell'attuale, perseguendo un'indagine del contemporaneo nelle sue plurime sfaccettature che, lo "autorizza" e gli concede di trovare l'infinito nel finito.
Il viaggio non è giunto al termine, anzi è solo all'inizio e Luca Bray prosegue per Barcellona, New York, Tokyo, Sidney e poi Shanghai, tutti luoghi, territori dove l'artista cremasco ha vissuto, sperato, osservato, creato e compreso il mondo dell'altro. Nel 1914 durante un viaggio in Tunisia, Paul Klee ebbe la rivelazione del colore: "Il colore ed io siamo divenuti una cosa sola. Sono pittore". Parole intense come il colore, emozionanti, ma sopratutto esse accolgono l'epifania di una coscienza artistica che diviene imprescindibile, essenziale per la vita stessa. Il colore non è solo inteso come pigmento ma anzitutto come senso dell'arte nell'eterno dell'esistenza, un valore inestimabile che ci avvicina al bello, alla comprensione dello spazio dimorante, all'infinita curiosità per l'esplorazione dell'apparente zona d'ombra e al sensibile rispetto dell'eterogeneità.
All'unisono si immergono e vivono dentro i quadri di Bray tutti questi assiomi, vincolati solo dalla voglia di essere. Essere e abitare il mondo divengono atti essenziali in ogni luogo dove l'arte lo conduca, ove lo spinga e lo stimoli ad inoltrarsi tra le culture, negli interstizi delle città, tra i solchi dei volti, nei racconti degli sguardi. In ogni luogo dove Bray giunge, dopo aver compreso lo spazio che lo accoglierà, non solo come architettura abitativa, ma principalmente come territorio della riflessione artistica, ne identifica la parete ospitante e scrive con intenzione simbolicamente indelebile: un mar de suenos. Come precedentemente espresso esso non è un mare solo reale, ma un mare metaforico, un sogno infinito del conoscere, dello sperimentare, che mi riporta alla mente, senza scampo, l'avventura del mitico Odisseo. Sarebbe tuttavia troppo semplicistico e generico limitarsi a questa assonanza, ciò che invece a mio avviso risulta molto più appassionante è l'incontro che Ulisse fa una volta sceso nell'Ade, dove si imbatte nell'indovino tebano Tiresia; il quale gli profetizzerà che, una volta finalmente fatto ritorno ad Itaca e ripreso possesso di sua moglie e del suo regno, il destino che lo aspetterà, sarà paradossalmente di ripartire per un nuovo viaggio!
Il fato umano, o perlomeno di coloro che decidono di "vivere", è quello di comprendere, di non adeguarsi ed accontentarsi, ma pur con difficoltà continuare a viaggiare e quindi sperare. L'arte è un luogo immaginativo in cui con la mente ci è consentito di simulare e quindi vivere esperienze vere, come provare ad immaginare il mare dentro, per sempre.
Alberto Mattia Martini
31
maggio 2014
Luca Bray – Un mar de Suenos
Dal 31 maggio al 27 luglio 2014
arte contemporanea
performance - happening
performance - happening
Location
FONDAZIONE SAN DOMENICO
Crema, Via Verdelli, 6, (Cremona)
Crema, Via Verdelli, 6, (Cremona)
Orario di apertura
ORARI DI APERTURA:
da MARTEDI’ a SABATO dalle 16.00 alle 19.00
DOMENICO dalle 10.00 alle 12.00 e dalle 16.00 alle 19.00
Vernissage
31 Maggio 2014, ore 17.00
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