Create an account
Welcome! Register for an account
La password verrà inviata via email.
Recupero della password
Recupera la tua password
La password verrà inviata via email.
-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Salvo – Il migliore
Una volta Salvo ha detto che «ciò che sta tra un imbiancare un muro e fare la Gioconda si può chiamare pittura». Se a lungo andare le pareti rischiano di scrostarsi, i quadri di Salvo non sono fatti di banale calce e tempera muraria, al contrario: sono come pietra dura, imperturbabile, solida e solenne
Comunicato stampa
Segnala l'evento
Una volta Salvo ha detto che «ciò che sta tra un imbiancare un muro e fare la Gioconda si può chiamare pittura». Se a lungo andare le pareti rischiano di scrostarsi, i quadri di Salvo non sono fatti di banale calce e tempera muraria, al contrario: sono come pietra dura, imperturbabile, solida e solenne. Non è un caso che nel trattato Della pittura -Imitazione di Wittgenstein , scritto dall'artista nel 1989, ricorra più e più volte il riferimento alla durezza delle pietre, che il pubblico aveva imparato a riconoscere nelle lastre di marmo da lui realizzate nei primi anni Settanta. La "letteratura epigrafica" incisa in quelle opere preannunciava una pacifica messa a morte dell'arte concettuale, quasi fossero delle pietre miliari che scandivano il ritorno alla pittura.
Tra critica e celebrazione, l'opera elegiaca di Salvo sentenziava con rara intelligenza sulla catatonia della fine del secolo,intuendo che l'iconoclastia sarebbe stata destinata al koimeterion , "luogo in cui si dorme". Le sue lastre marmoree possedevano inoltre il caustico orgoglio dell'[auto]ironia: Io sono il migliore , Amare me,Salvo è vivo/Salvo è morto,Respirare il padre, Più tempo in meno spazio, frasi che si opponevano all'apostasia degli anni Settanta, precorrendo viceversa il recupero dei pennelli e delle tele per ristabilire un rendez-vous con il passato, troppo a lungo negato (i suoi Autoritratti benedicenti, datati agli stessi anni, sono una prefigurazione di quest'intenzione di "trarre l'arte in Salvo", per rispetto e riconoscenza nei confronti della tradizione).
Pur escludendo l'immagine, le lapidi di Salvo erano in grado di evocarla, imponendo una posterità che sarà appannaggio esclusivo della figurazione; la parola veniva gradualmente meno (perdendo la sua preminenza), ma non per questo il contenuto scompariva o era meno loquace, raggiungeva semmai l'agognata sintesi tra concetto ed esecuzione. «La frontiera di questa sinteticità - affermava l'artista - è che la rappresentazione resti leggibile ». Rinunciando alla verbalizzazione, l'idioma di Salvo si era convertito in pittura, senza più la necessità di doversi raccontare; la lingua smetteva infatti di articolare le parole e iniziava ad assaporare l'impasto della pittura, soddisfacendo la categoria dell'estetica che noi solitamente chiamiamo "gusto".
Lasciandosi alle spalle l'ambage concettuale, Salvo è stato tra gli artisti che per primi hanno ripreso a frequentare i musei per poter dialogare con il passato. È su queste premesse che il MAC di Lissone rende omaggio a un artista che ha sempre saputo infondere grazia e ingegno nel suo lavoro. Come i sassolini di Pollicino che lo riconducevano a casa, le Lapidi di Salvo ci permettono di risalire a ritroso nel tempo, nella storia e nell'arte, ritrovando le radici stesse dell'artista: i minareti, le moschee, le chiese e le cattedrali da lui dipinte nel corso degli anni sono infatti una logica prosecuzione delle lapidi qui esposte.
Sono cioè luoghi della preghiera, della memoria e del silenzio su cui siamo invitati a vegliare da quando l'artista ci ha lasciati prematuramente.
Salvo. Leonforte, 1947 - Torino, 2015.
Tra critica e celebrazione, l'opera elegiaca di Salvo sentenziava con rara intelligenza sulla catatonia della fine del secolo,intuendo che l'iconoclastia sarebbe stata destinata al koimeterion , "luogo in cui si dorme". Le sue lastre marmoree possedevano inoltre il caustico orgoglio dell'[auto]ironia: Io sono il migliore , Amare me,Salvo è vivo/Salvo è morto,Respirare il padre, Più tempo in meno spazio, frasi che si opponevano all'apostasia degli anni Settanta, precorrendo viceversa il recupero dei pennelli e delle tele per ristabilire un rendez-vous con il passato, troppo a lungo negato (i suoi Autoritratti benedicenti, datati agli stessi anni, sono una prefigurazione di quest'intenzione di "trarre l'arte in Salvo", per rispetto e riconoscenza nei confronti della tradizione).
Pur escludendo l'immagine, le lapidi di Salvo erano in grado di evocarla, imponendo una posterità che sarà appannaggio esclusivo della figurazione; la parola veniva gradualmente meno (perdendo la sua preminenza), ma non per questo il contenuto scompariva o era meno loquace, raggiungeva semmai l'agognata sintesi tra concetto ed esecuzione. «La frontiera di questa sinteticità - affermava l'artista - è che la rappresentazione resti leggibile ». Rinunciando alla verbalizzazione, l'idioma di Salvo si era convertito in pittura, senza più la necessità di doversi raccontare; la lingua smetteva infatti di articolare le parole e iniziava ad assaporare l'impasto della pittura, soddisfacendo la categoria dell'estetica che noi solitamente chiamiamo "gusto".
Lasciandosi alle spalle l'ambage concettuale, Salvo è stato tra gli artisti che per primi hanno ripreso a frequentare i musei per poter dialogare con il passato. È su queste premesse che il MAC di Lissone rende omaggio a un artista che ha sempre saputo infondere grazia e ingegno nel suo lavoro. Come i sassolini di Pollicino che lo riconducevano a casa, le Lapidi di Salvo ci permettono di risalire a ritroso nel tempo, nella storia e nell'arte, ritrovando le radici stesse dell'artista: i minareti, le moschee, le chiese e le cattedrali da lui dipinte nel corso degli anni sono infatti una logica prosecuzione delle lapidi qui esposte.
Sono cioè luoghi della preghiera, della memoria e del silenzio su cui siamo invitati a vegliare da quando l'artista ci ha lasciati prematuramente.
Salvo. Leonforte, 1947 - Torino, 2015.
10
dicembre 2015
Salvo – Il migliore
Dal 10 dicembre 2015 al 23 gennaio 2016
arte contemporanea
Location
MAC – MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DI LISSONE
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Lissone, Viale Elisa Ancona, 6, (Monza E Brianza)
Orario di apertura
mercoledì e venerdì, 10-13; giovedì, 16-23; sabato e domenica, 10-12; 15-19
Vernissage
10 Dicembre 2015, h 19.30
Ufficio stampa
CLP
Autore
Curatore