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Gea Casolaro – Visioni dell’Eur
Esistono luoghi che una volta ricevuto lo status di immagine, traggono da esso una forza immaginativa ed espressiva superiore a qualsiasi aspettativa. L’Eur è senza dubbio uno di questi
Comunicato stampa
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Nell’ambito della quinta edizione di Fotografia-Festival Internazionale di Roma si inaugura venerdì 7 aprile alle ore 18.00, negli spazi espositivi della Casa del Cinema a Villa Borghese la mostra personale di Gea Casolaro dal titolo Visioni dell’Eur.
Curata da Raffaele Gavarro e realizzata in collaborazione con The Gallery Apart, la mostra dà una particolare visione di alcuni dei film più famosi che hanno utilizzato il quartiere Eur di Roma come set, costruendone un percorso intimo e familiare.
Esistono luoghi che una volta ricevuto lo status di immagine, traggono da esso una forza immaginativa ed espressiva superiore a qualsiasi aspettativa. L’Eur è senza dubbio uno di questi. Luogo emblematico di una modernità fatta di spazi vuoti e geometrie metafisiche, in cui solitudine e angoscia si intrecciano ad un’estrema e disperata fiducia nel futuro. Tra questi spazi e da questi sentimenti, hanno preso forma molte straordinarie visioni cinematografiche dei più importanti registi italiani, tra cui ricordiamo almeno Antonioni, Fellini e Petri. Ma in quegli stessi luoghi in cui si giravano pellicole come L’Eclissi, La decima vittima, Otto e mezzo o La dolce vita, la gente viveva un quotidiano del tutto normale e certamente privo di quelle tensioni poetiche.
Queste sono le premesse di Visioni dell’EUR, un lavoro che Gea Casolaro ha realizzato attraverso la paziente ricerca di fotogrammi di film e di immagini fotografiche famigliari scattate negli anni Sessanta e Settanta, che facevano riferimento agli stessi luoghi. Si sono così andate formando delle coppie di immagini che l’artista ha ricostruito come unità e che hanno reso visibile la doppia percezione, reale e immaginativa, che caratterizza l’Eur, ma soprattutto le immagini che lo raccontano.
La mostra si snoda attraverso una dozzina di doppie immagini che formano un inedito paesaggio visivo dell’Eur. Per le foto private, è stato naturalmente prezioso l’archivio “Album di Roma”, attraverso cui le Biblioteche di Roma stanno raccogliendo foto dei cittadini romani, ricostruendo una sorta di storia privata della città.
La mostra sarà documentata da una pubblicazione.
Gea Casolaro è nata a Roma nel 1965, dove vive.Dal 1994, prevalentemente attraverso l’uso della fotografia, analizza le infinite realtà racchiuse in ogni immagine, in ogni sguardo. Vince il Premio Suzzara nel ’96, partecipa nel 1998 ai workshop organizzati a Sarajevo dalla Biennale giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo realizzando “Maybe in Sarajevo” pubblicato dalla Meltemi editore nel 2001 ed esposto oltre che alla Biennale giovani di Roma anche in diverse mostre personali nel 2000: ViaFarini, Ar/ge kunst, D’AC e nel 2002 nella collettiva “Exit” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
La sua installazione di video e foto “Doppio sguardo” è stata presenta nel 2003 alla Galleria Estro e in Anteprima XIV Quadriennale al Palazzo Reale di Napoli, e l’anno successivo a Venezia nell’ambito dell’esposizione “Retentiva - Funzioni e disfunzioni della fotografia italiana attuale”.
Il suo video “Volver atrás para ir adelante”, girato in Argentina subito dopo la crisi economica è stato il vincitore del concorso “The video game” ed è inoltre presente nella rassegna itinerante “On air, video in onda dall’Italia” a cura della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone. La stessa opera è stata nel 2004 al centro di una personale dall’omonimo titolo, organizzata da The Gallery Apart al Teatro India di Roma e presentata nel 2005 al “Festival International de Cinéma Vision du Réel” di Nyon e nell’esposizione “Ti voglio bene, from Italy with love” alla Raid Project di Los Angeles. Sarà inoltre protagonista della rassegna “Elettroshock - Il video in Italia dagli anni ‘70 a oggi (1973-2006)”, in programma nei prossimi mesi a Pechino e a Canton.
E’ del 2005 il suo lavoro “Sopra il nostro futuro” con immagini scattate in Cina e Argentina ed esposto in una personale e nella collettiva “Italian Camera”, negli spazi espositivi dell’Isola di San Servolo a Venezia.
È stata una delle sei artiste internazionali che hanno tenuto i workshop di Networking 2005 e, sempre nella Regione Toscana, ha appena terminato un lavoro appositamente realizzato per l’ultima edizione di Spread in Prato.
Visioni dell’Eur: l’instancabile assedio della modernità al presente.
di Raffaele Gavarro
“Di fatto, la modernità è, più di ogni altra cosa, la storia del tempo: la modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.” Da: Zygmunt Bauman, “Modernità liquida”, Editori Laterza, 2002
La modernità procura una certa angoscia.
Mi rendo conto che questa non è una delle tipiche osservazioni con cui si è soliti esordire parlando della modernità. Ma senza dubbio l’angoscia, o in una forma forse più mitigata, l’inquietudine, sono tra le sensazioni che l’uomo ha di frequente manifestato di fronte ad essa nella sua storia. E non è da escludere che sia proprio quell’intrinseco rapporto con il tempo, di cui parla con grande acutezza Bauman, a dare origine a questa reazione, a cui dobbiamo naturalmente aggiungere quel tipico rinnovarsi del nuovo nel presente, che è facile intuire procuri anch’esso qualche ansia.
Eppure il carattere positivo della continuità progressiva della modernità è parte dello stesso concepire il modernus fin dalla nascita di questo aggettivo, anche se sarà com’è noto l’illuminismo a sancire in modo definitivo quell’identità tra reale e razionale, e poi tra essere e dover essere, attraverso cui si formulerà la decisiva uguaglianza tra valore e novità, che rappresenterà la caratterizzante coscienza storica della modernità. Ma costatata, alla fine della seconda guerra mondiale, che la sincronia tra reale e razionale aveva poco a che vedere con la storia, apparve chiaro che non tutto era così positivo e che quell’identità di melius e novum andava perlomeno ridiscussa. Da qui la nascita del postmoderno, che tentò di sottrarre il tempo alla fatale congiunzione con la modernità. Tentativo che si rivelò essere una breve parantesi, dopo la quale il moderno riprese vigore e nuovi slanci nella sua progressione, inducendo a parlare prima di tutti Ulrich Beck di seconda modernità alla metà degli anni novanta, e a seguire altri di neomodernità, surmodernità e così via.
Tempo e modernità sono due degli aspetti attorno ai quali muove questo Visioni dell’Eur di Gea Casolaro. L’altro aspetto essenziale è la coeva molteplicità di sguardi, che senza soluzione di continuità insistono su luoghi e persone, sulle loro immagini, in una indefinibile perdita, sovrapposizione e ridefinizione delle identità possibili.
Il lavoro è partito da un’osservazione semplice, o meglio dal collimare di una osservazione multipla. Guardi un film e riconosci un luogo, che magari ti appartiene o che hai semplicemente registrato nella memoria visiva. Guardi una foto e riconosci lo stesso luogo. Ma anche viceversa, naturalmente. Vedi un luogo e ne ricordi la sua immagine filmica o fotografica, nello scatto di tuo padre o in quello di qualsiasi album di famiglia ti sia capitato di guardare. Pensi al carattere che ha quello stesso luogo nelle differenti immagini e soprattutto a come è stato visto diversamente da chi lo ha attraversato. La Casolaro fa fisicamente quello che con buona probabilità è capitato a molti di fare mentalmente: prende le due immagini, quella del film e quella della foto e le unisce formando un’unità nuova che cerca una rinnovata sintonia con il luogo, ma soprattutto producendo una inedita prospettiva temporale.
Naturalmente la questione del luogo e del tempo, la sua evidente connessione con la modernità, sono esaltate dall’architettura dell’Eur, come sappiamo straordinario set per alcuni dei film più importanti della cinematografia italiana. Da Il Mattatore di Dino Risi del 1959, a La dolce vita di Federico Fellini del 1960, a L’Eclisse di Michelangelo Antonioni e Boccaccio ’70 del 1961 - in particolare nell’episodio di Fellini intitolato Le tentazioni del dottor Antonio - , continuando con Otto1/2 sempre di Fellini e Il Sorpasso di Dino Risi del 1962, Il Boom di Vittorio De Sica e I Mostri di Dino Risi del 1963, e ancora La decima vittima di Elio Petri del 1965. Per concludere questa particolare e parzialissima filmografia, citiamo ancora almeno Il conformista di Bernardo Bertolucci del 1970 e C’eravamo tanto amati di Ettore Scola del 1974. L’Eur è stato - ed è - un luogo significativo per il cinema, che ha ispirato in particolare ad alcuni registi una sottile e pervasiva inquietudine, che molto aveva a che fare con l’idea di una modernità perfettamente compiuta in quel monocromo e razionale alternarsi di vuoti e pieni.
- “Ma io in quel luogo ci vivevo, normalmente, così come altri vivevano altrove, senza avvertire quella tensione che poi scoprii nei film. E come me credo tutti quelli che abitavano all’Eur, che anzi era un posto pieno di verde e di tranquillità”.
Così Gea Casolaro, mentre parlavamo di come era nato il progetto del lavoro, sfogliando il suo album di famiglia e le immagini de “L’album di Roma”, catturati dai dettagli dei luoghi e delle persone. È questo scarto tra il vissuto quotidiano e l’interpretazione cinematografica a determinare l’interrogativo dello sguardo che costruisce l’immagine nuova incastrandone due. Tecnicamente le immagini trovano un punto di unione in un dettaglio, appartengono più o meno agli stessi anni e quindi al loro interno si ritrovano gli stessi elementi, ed è come se si formasse un canale di scorrimento tra le due immagini, un crossover visivo che se dà certezza dell’identità del luogo, ne disperde in modo definitivo l’induzione specifica di senso. Guardando il bambino e l’uomo davanti alla cancellata di via dell’Umanesimo, si avverte come quella specie di piccolo puzzle fotografico comporta da una parte la perdita del senso di famigliarità della foto e dall’altra della muta aggressività dell’uomo visto di spalle che si allontana. È naturale guardando questa nuova immagine tentare di ricomporre un senso nuovo, dando a quella doppiezza strabica una unitarietà che è il risultato della capacità di mediazione del nostro sguardo. Perché ad ogni sguardo corrisponde una realtà. Tutto il lavoro di Gea Casolaro parte da questa considerazione preliminare, non solo questo delle Visioni, ma tutte le immagini che ha sin qui realizzato fanno riferimento essenziale alla relatività di uno sguardo che è naturalmente restituito al ruolo essenziale di conoscenza individuale. Naturalmente non c’è niente di più pertinente alla modernità che questa condizione di relatività, assolta in tutta la sua capacità teorica di dilatare all’infinito le possibilità esperienziali dell’individuo. Ma in questo lavoro la Casolaro compie un passo ulteriore e delicato rispetto a suoi cicli di lavoro precedenti - come quello di Maybe in Sarayevo, o quello straordinario del video Volver atràs para ir adelante, girato a Buenos Aires e accompagnato da improvvise immagini fotografiche che ne fissano alcuni punti casuali, o ancora alle recenti visioni multiple di Sopra il nostro futuro -, togliendo il proprio occhio dal mirino della macchina fotografica e cercando nelle immagini degli altri una propria capacità espressiva. La Casolaro taglia e cuce frame e foto del passato, riuscendo a mostrare come la continuità del presente sul piano orizzontale sia trasferibile su quello verticale. Non solo più presenti, come era stata per anni la tesi del postmoderno, ma un presente che nella diversità percettiva degli individui, si pone come un flusso temporale unico e in costante progressione. Esemplare in tal senso è la foto del bambino che sulle scalinata del Palazzo della Civiltà e del Lavoro sembra guardare la scena tratta dal film Partner di Bernardo Bertolucci del 1968. Tutto è lì in quello e in questo istante, in un immediato e irrimediabile corto circuito tra quei presenti e il nostro.
Curata da Raffaele Gavarro e realizzata in collaborazione con The Gallery Apart, la mostra dà una particolare visione di alcuni dei film più famosi che hanno utilizzato il quartiere Eur di Roma come set, costruendone un percorso intimo e familiare.
Esistono luoghi che una volta ricevuto lo status di immagine, traggono da esso una forza immaginativa ed espressiva superiore a qualsiasi aspettativa. L’Eur è senza dubbio uno di questi. Luogo emblematico di una modernità fatta di spazi vuoti e geometrie metafisiche, in cui solitudine e angoscia si intrecciano ad un’estrema e disperata fiducia nel futuro. Tra questi spazi e da questi sentimenti, hanno preso forma molte straordinarie visioni cinematografiche dei più importanti registi italiani, tra cui ricordiamo almeno Antonioni, Fellini e Petri. Ma in quegli stessi luoghi in cui si giravano pellicole come L’Eclissi, La decima vittima, Otto e mezzo o La dolce vita, la gente viveva un quotidiano del tutto normale e certamente privo di quelle tensioni poetiche.
Queste sono le premesse di Visioni dell’EUR, un lavoro che Gea Casolaro ha realizzato attraverso la paziente ricerca di fotogrammi di film e di immagini fotografiche famigliari scattate negli anni Sessanta e Settanta, che facevano riferimento agli stessi luoghi. Si sono così andate formando delle coppie di immagini che l’artista ha ricostruito come unità e che hanno reso visibile la doppia percezione, reale e immaginativa, che caratterizza l’Eur, ma soprattutto le immagini che lo raccontano.
La mostra si snoda attraverso una dozzina di doppie immagini che formano un inedito paesaggio visivo dell’Eur. Per le foto private, è stato naturalmente prezioso l’archivio “Album di Roma”, attraverso cui le Biblioteche di Roma stanno raccogliendo foto dei cittadini romani, ricostruendo una sorta di storia privata della città.
La mostra sarà documentata da una pubblicazione.
Gea Casolaro è nata a Roma nel 1965, dove vive.Dal 1994, prevalentemente attraverso l’uso della fotografia, analizza le infinite realtà racchiuse in ogni immagine, in ogni sguardo. Vince il Premio Suzzara nel ’96, partecipa nel 1998 ai workshop organizzati a Sarajevo dalla Biennale giovani artisti dell’Europa e del Mediterraneo realizzando “Maybe in Sarajevo” pubblicato dalla Meltemi editore nel 2001 ed esposto oltre che alla Biennale giovani di Roma anche in diverse mostre personali nel 2000: ViaFarini, Ar/ge kunst, D’AC e nel 2002 nella collettiva “Exit” alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo.
La sua installazione di video e foto “Doppio sguardo” è stata presenta nel 2003 alla Galleria Estro e in Anteprima XIV Quadriennale al Palazzo Reale di Napoli, e l’anno successivo a Venezia nell’ambito dell’esposizione “Retentiva - Funzioni e disfunzioni della fotografia italiana attuale”.
Il suo video “Volver atrás para ir adelante”, girato in Argentina subito dopo la crisi economica è stato il vincitore del concorso “The video game” ed è inoltre presente nella rassegna itinerante “On air, video in onda dall’Italia” a cura della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Monfalcone. La stessa opera è stata nel 2004 al centro di una personale dall’omonimo titolo, organizzata da The Gallery Apart al Teatro India di Roma e presentata nel 2005 al “Festival International de Cinéma Vision du Réel” di Nyon e nell’esposizione “Ti voglio bene, from Italy with love” alla Raid Project di Los Angeles. Sarà inoltre protagonista della rassegna “Elettroshock - Il video in Italia dagli anni ‘70 a oggi (1973-2006)”, in programma nei prossimi mesi a Pechino e a Canton.
E’ del 2005 il suo lavoro “Sopra il nostro futuro” con immagini scattate in Cina e Argentina ed esposto in una personale e nella collettiva “Italian Camera”, negli spazi espositivi dell’Isola di San Servolo a Venezia.
È stata una delle sei artiste internazionali che hanno tenuto i workshop di Networking 2005 e, sempre nella Regione Toscana, ha appena terminato un lavoro appositamente realizzato per l’ultima edizione di Spread in Prato.
Visioni dell’Eur: l’instancabile assedio della modernità al presente.
di Raffaele Gavarro
“Di fatto, la modernità è, più di ogni altra cosa, la storia del tempo: la modernità è il tempo nell’epoca in cui il tempo ha una storia.” Da: Zygmunt Bauman, “Modernità liquida”, Editori Laterza, 2002
La modernità procura una certa angoscia.
Mi rendo conto che questa non è una delle tipiche osservazioni con cui si è soliti esordire parlando della modernità. Ma senza dubbio l’angoscia, o in una forma forse più mitigata, l’inquietudine, sono tra le sensazioni che l’uomo ha di frequente manifestato di fronte ad essa nella sua storia. E non è da escludere che sia proprio quell’intrinseco rapporto con il tempo, di cui parla con grande acutezza Bauman, a dare origine a questa reazione, a cui dobbiamo naturalmente aggiungere quel tipico rinnovarsi del nuovo nel presente, che è facile intuire procuri anch’esso qualche ansia.
Eppure il carattere positivo della continuità progressiva della modernità è parte dello stesso concepire il modernus fin dalla nascita di questo aggettivo, anche se sarà com’è noto l’illuminismo a sancire in modo definitivo quell’identità tra reale e razionale, e poi tra essere e dover essere, attraverso cui si formulerà la decisiva uguaglianza tra valore e novità, che rappresenterà la caratterizzante coscienza storica della modernità. Ma costatata, alla fine della seconda guerra mondiale, che la sincronia tra reale e razionale aveva poco a che vedere con la storia, apparve chiaro che non tutto era così positivo e che quell’identità di melius e novum andava perlomeno ridiscussa. Da qui la nascita del postmoderno, che tentò di sottrarre il tempo alla fatale congiunzione con la modernità. Tentativo che si rivelò essere una breve parantesi, dopo la quale il moderno riprese vigore e nuovi slanci nella sua progressione, inducendo a parlare prima di tutti Ulrich Beck di seconda modernità alla metà degli anni novanta, e a seguire altri di neomodernità, surmodernità e così via.
Tempo e modernità sono due degli aspetti attorno ai quali muove questo Visioni dell’Eur di Gea Casolaro. L’altro aspetto essenziale è la coeva molteplicità di sguardi, che senza soluzione di continuità insistono su luoghi e persone, sulle loro immagini, in una indefinibile perdita, sovrapposizione e ridefinizione delle identità possibili.
Il lavoro è partito da un’osservazione semplice, o meglio dal collimare di una osservazione multipla. Guardi un film e riconosci un luogo, che magari ti appartiene o che hai semplicemente registrato nella memoria visiva. Guardi una foto e riconosci lo stesso luogo. Ma anche viceversa, naturalmente. Vedi un luogo e ne ricordi la sua immagine filmica o fotografica, nello scatto di tuo padre o in quello di qualsiasi album di famiglia ti sia capitato di guardare. Pensi al carattere che ha quello stesso luogo nelle differenti immagini e soprattutto a come è stato visto diversamente da chi lo ha attraversato. La Casolaro fa fisicamente quello che con buona probabilità è capitato a molti di fare mentalmente: prende le due immagini, quella del film e quella della foto e le unisce formando un’unità nuova che cerca una rinnovata sintonia con il luogo, ma soprattutto producendo una inedita prospettiva temporale.
Naturalmente la questione del luogo e del tempo, la sua evidente connessione con la modernità, sono esaltate dall’architettura dell’Eur, come sappiamo straordinario set per alcuni dei film più importanti della cinematografia italiana. Da Il Mattatore di Dino Risi del 1959, a La dolce vita di Federico Fellini del 1960, a L’Eclisse di Michelangelo Antonioni e Boccaccio ’70 del 1961 - in particolare nell’episodio di Fellini intitolato Le tentazioni del dottor Antonio - , continuando con Otto1/2 sempre di Fellini e Il Sorpasso di Dino Risi del 1962, Il Boom di Vittorio De Sica e I Mostri di Dino Risi del 1963, e ancora La decima vittima di Elio Petri del 1965. Per concludere questa particolare e parzialissima filmografia, citiamo ancora almeno Il conformista di Bernardo Bertolucci del 1970 e C’eravamo tanto amati di Ettore Scola del 1974. L’Eur è stato - ed è - un luogo significativo per il cinema, che ha ispirato in particolare ad alcuni registi una sottile e pervasiva inquietudine, che molto aveva a che fare con l’idea di una modernità perfettamente compiuta in quel monocromo e razionale alternarsi di vuoti e pieni.
- “Ma io in quel luogo ci vivevo, normalmente, così come altri vivevano altrove, senza avvertire quella tensione che poi scoprii nei film. E come me credo tutti quelli che abitavano all’Eur, che anzi era un posto pieno di verde e di tranquillità”.
Così Gea Casolaro, mentre parlavamo di come era nato il progetto del lavoro, sfogliando il suo album di famiglia e le immagini de “L’album di Roma”, catturati dai dettagli dei luoghi e delle persone. È questo scarto tra il vissuto quotidiano e l’interpretazione cinematografica a determinare l’interrogativo dello sguardo che costruisce l’immagine nuova incastrandone due. Tecnicamente le immagini trovano un punto di unione in un dettaglio, appartengono più o meno agli stessi anni e quindi al loro interno si ritrovano gli stessi elementi, ed è come se si formasse un canale di scorrimento tra le due immagini, un crossover visivo che se dà certezza dell’identità del luogo, ne disperde in modo definitivo l’induzione specifica di senso. Guardando il bambino e l’uomo davanti alla cancellata di via dell’Umanesimo, si avverte come quella specie di piccolo puzzle fotografico comporta da una parte la perdita del senso di famigliarità della foto e dall’altra della muta aggressività dell’uomo visto di spalle che si allontana. È naturale guardando questa nuova immagine tentare di ricomporre un senso nuovo, dando a quella doppiezza strabica una unitarietà che è il risultato della capacità di mediazione del nostro sguardo. Perché ad ogni sguardo corrisponde una realtà. Tutto il lavoro di Gea Casolaro parte da questa considerazione preliminare, non solo questo delle Visioni, ma tutte le immagini che ha sin qui realizzato fanno riferimento essenziale alla relatività di uno sguardo che è naturalmente restituito al ruolo essenziale di conoscenza individuale. Naturalmente non c’è niente di più pertinente alla modernità che questa condizione di relatività, assolta in tutta la sua capacità teorica di dilatare all’infinito le possibilità esperienziali dell’individuo. Ma in questo lavoro la Casolaro compie un passo ulteriore e delicato rispetto a suoi cicli di lavoro precedenti - come quello di Maybe in Sarayevo, o quello straordinario del video Volver atràs para ir adelante, girato a Buenos Aires e accompagnato da improvvise immagini fotografiche che ne fissano alcuni punti casuali, o ancora alle recenti visioni multiple di Sopra il nostro futuro -, togliendo il proprio occhio dal mirino della macchina fotografica e cercando nelle immagini degli altri una propria capacità espressiva. La Casolaro taglia e cuce frame e foto del passato, riuscendo a mostrare come la continuità del presente sul piano orizzontale sia trasferibile su quello verticale. Non solo più presenti, come era stata per anni la tesi del postmoderno, ma un presente che nella diversità percettiva degli individui, si pone come un flusso temporale unico e in costante progressione. Esemplare in tal senso è la foto del bambino che sulle scalinata del Palazzo della Civiltà e del Lavoro sembra guardare la scena tratta dal film Partner di Bernardo Bertolucci del 1968. Tutto è lì in quello e in questo istante, in un immediato e irrimediabile corto circuito tra quei presenti e il nostro.
07
aprile 2006
Gea Casolaro – Visioni dell’Eur
Dal 07 aprile al 28 maggio 2006
fotografia
Location
CASA DEL CINEMA
Roma, Via Marcello Mastroianni, 1, (Roma)
Roma, Via Marcello Mastroianni, 1, (Roma)
Orario di apertura
lun - ven 15.00-19.00 sab – dom 10.00-14.00 / 15.00-19.00
Vernissage
7 Aprile 2006, ore 18
Ufficio stampa
ZONE ATTIVE
Ufficio stampa
MARIA BONMASSAR
Autore
Curatore