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Pippo Spinoccia – Crocifissione vista da tergo
L’artista siciliano presenta una originale installazione dal tema solo apparentemente sacro realizzata con vari materiali tra i quali la cartapesta e il legno. Colori intensi e quasi incendiati in un insieme allegorico di denuncia e insieme di speranza
Comunicato stampa
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Donatella Airoldi
Crocifissione vista da tergo
Colori accesi, blu cobalto, rossi che irrorano finalmente corpi coatti intenti a tessere una vita sfilacciata a volte cesellata nelle punte delle mani. Colori che mozzano il fiato. Come quando si guarda un mondo inondato da un sole acceso, mediterraneo, al confine con l’Africa. Ma anche colori densi, carichi di toni e di chiaroscuri, come se uno sguardo ardente li avesse animati. Visuali e campi nitidi e precisi frutto di visioni taglienti che incombono su una folla silenziosa trattenuta nel fiato corto e acerbo in attesa di un ultimo respiro che potrebbe tuttavia non esserci. Un Cristo colorato su una croce, più uomo che Dio, parzialmente vestito, obliquo, il volto girato. Forse emblema e simbolo di qualcosa d’altro. Una maglietta blu-azzurro gli ricopre il dorso mentre una Pax sicuramente auspicata si libra nel blu. Forse il Cristo è un marinaio che canta remando inclinato su una gondola o forse è un segno di una legittima voce profanante senza il pericolo di ambasciate incendiate
Solennità sussurrata o nascosta in linee verticali e orizzontali, chiaramente testarda nel dispiegare categorie o scienze sociali chiudendo la propria volontà in scatole di carta colorata resa impregnata e idrorepellente dalla vita. Potrebbe essere un’ancestrale agonia di un comune condannato che ritaglia la sua vita in commissioni e spese domestiche lontano dai frastuoni delle città intorbidite da soldi e mercato. Si apre un sipario scottante, senza mutevoli campionature di solidi artifizi, visibilità di un corpo cangiante che trasforma il proprio essere nel mondo sovrapponendo piccoli movimenti in cedimenti stabili del cuore.
La crocifissone di Ernia fu per Aristotele premessa al suo componimento poetico. Ernia era il signore filosofo della città di Atarneo in Asia Minore che nel 341ac venne crocefisso e sottoposto a tortura nella capitale persiana Susa. Malgrado le orribili sofferenze non ‘confessò’ nè colpe, né empietà tanto che il re persiano impressionato fece interrompere la tortura e gli chiese cosa desiderasse come sua ultima grazia. E Ernia rispose ‘dite ai miei amici e compagni che non ho commesso nulla di indegno né turpe’.
Una lezione lontana che parla di coerenza, di limpidezza dell’essere, di luce che traspare nelle cose. Pippo Spinoccia ci conduce nella realtà di una quotidianità esacerbata dove le opere parlano e raccontano storie piegate nelle linee contuse e ammaccate di vite difficili, ci allarga gli orizzonti limitati, ci impone riflessioni etico-politiche che non bisogna eludere, ma incidere, con una delicata sensazione di collettività che deve farsi promotrice di senso e sensibilità, nella profondità scura delle menti.
‘Crocifissione vista da tergo’, cm 302x328x320, installazione. Materiali: carta pesta, legno, polistirolo, ferro, cartone, spago, spugna, stoffa, tele, fettuccia, filo di ferro, colori acrilici, altro. Data di ultimazione: febbraio 2006. Il primo rimando emozionale che si riceve è quello di percepire se stessi come intrusi dietro un palcoscenico, come agenti segreti che spiano qualche verità custodita dietro le quinte, poi, procedendo dall’altra parte nella platea, di trovarsi improvvisamente in mezzo a una piazza di qualche paese del sud mentre un carro siciliano avanza. Forse una processione. C’è un personaggio seduto che assiste stupito guardando diritto negli occhi lo spettatore, il terreno è nero con macchie distribuite di colore rosso, alcuni oggetti sparsi, una scatola con la dicitura ’si rispedisce al mittente’ ne scandiscono misteriosamente la superficie. Due fondali dipinti: a sinistra in rosso, a destra in blu-nero. Anche qui alcune scritte: ‘I ricchi muoiono, i poveri crepano’, e la frase di Woody Allen ‘ Dio è morto, Marx pure, e io non mi sento troppo bene’. Canali di lettura indotti, suggeriti. Quale teatro migliore per una siffatta sacrale rappresentazione.
Pippo Spinoccia fa scorrere la pittura come se fosse una compiacente visione cromatica pungente, esprime nel modo che più gli è consono le trasversali opinioni teatrali dove le voci sono un coro comune, fatto di palcoscenici diversi e ambigui, stendardi variopinti su un carrello da televisione, carri allegorici trasportati da un popolo che non esiste più ma che si intravede aleggiante nelle sue opere. Ne percepisci il brusio sommesso in un silenzio di pura contestazione o di puro dolore, intuisci il calpestio di una moltitudine di piedi che arrancano in salita, l’odore del miracoloso e del senso dell’esistenza pesante sulle spalle.
Collegare astute sintonie cromatiche per essere veicolo di possibili quanto inauditi cambiamenti epocali può provocare nuove filosofie strutturali dove l’arte non è solo esposizione vinta da un mercato stantio, con muffa visibile in superficie, ma chiede a gran voce cambiamenti e pensieri laterali oggi incrinati in alloggi popolari distrutti dal solo pensiero infossato in quei visi crepuscolari che non sostengono il peso del condannato.
Questi scavi nell’interiorità delle coscienze a cui l’opera di Pippo Spinoccia ci costringe sono forse direttamente collegabili alla bellezza e al dolore dei suoi colori così intensi, così facilmente trasmissibili, comprensibili, nonché alle sue figurazioni fermate-fissate nello spazio, non più riproducibili, emblemi di memorie passate che qui e ora si ha avuto il privilegio di sfogliare e di toccare con mano. Elementi statici, un’unità di tempo-luogo-azione per interrompere un tempo che scorre inesorabilmente e ci fa complici, a volte perplessi, di un destino comune. Ma questa unità di tempo-luogo-azione viene subito dopo frantumata dalle mille complessità e associazioni correlate per una dimensione universale e senza limiti, forza centrifuga che si espande senza fine.
Pippo Spinoccia è un testimone a tutto tondo della contemporaneità, con la sua dimensione naturale, con quella atmosfera sognante, possibile e irreale. E’ un ‘sesto potere’ portatore di civiltà che invade la piazza, non le tumultuose folle dagli scontri sanguinosi, ma unico e pregnante delegato uno stendardo che non può più cambiar colore ed è felice della propria unicità.
Il senso possibile dell’arte di Pippo Spinoccia è provocare la storia e ascoltare il suo grido.
Crocifissione vista da tergo
Colori accesi, blu cobalto, rossi che irrorano finalmente corpi coatti intenti a tessere una vita sfilacciata a volte cesellata nelle punte delle mani. Colori che mozzano il fiato. Come quando si guarda un mondo inondato da un sole acceso, mediterraneo, al confine con l’Africa. Ma anche colori densi, carichi di toni e di chiaroscuri, come se uno sguardo ardente li avesse animati. Visuali e campi nitidi e precisi frutto di visioni taglienti che incombono su una folla silenziosa trattenuta nel fiato corto e acerbo in attesa di un ultimo respiro che potrebbe tuttavia non esserci. Un Cristo colorato su una croce, più uomo che Dio, parzialmente vestito, obliquo, il volto girato. Forse emblema e simbolo di qualcosa d’altro. Una maglietta blu-azzurro gli ricopre il dorso mentre una Pax sicuramente auspicata si libra nel blu. Forse il Cristo è un marinaio che canta remando inclinato su una gondola o forse è un segno di una legittima voce profanante senza il pericolo di ambasciate incendiate
Solennità sussurrata o nascosta in linee verticali e orizzontali, chiaramente testarda nel dispiegare categorie o scienze sociali chiudendo la propria volontà in scatole di carta colorata resa impregnata e idrorepellente dalla vita. Potrebbe essere un’ancestrale agonia di un comune condannato che ritaglia la sua vita in commissioni e spese domestiche lontano dai frastuoni delle città intorbidite da soldi e mercato. Si apre un sipario scottante, senza mutevoli campionature di solidi artifizi, visibilità di un corpo cangiante che trasforma il proprio essere nel mondo sovrapponendo piccoli movimenti in cedimenti stabili del cuore.
La crocifissone di Ernia fu per Aristotele premessa al suo componimento poetico. Ernia era il signore filosofo della città di Atarneo in Asia Minore che nel 341ac venne crocefisso e sottoposto a tortura nella capitale persiana Susa. Malgrado le orribili sofferenze non ‘confessò’ nè colpe, né empietà tanto che il re persiano impressionato fece interrompere la tortura e gli chiese cosa desiderasse come sua ultima grazia. E Ernia rispose ‘dite ai miei amici e compagni che non ho commesso nulla di indegno né turpe’.
Una lezione lontana che parla di coerenza, di limpidezza dell’essere, di luce che traspare nelle cose. Pippo Spinoccia ci conduce nella realtà di una quotidianità esacerbata dove le opere parlano e raccontano storie piegate nelle linee contuse e ammaccate di vite difficili, ci allarga gli orizzonti limitati, ci impone riflessioni etico-politiche che non bisogna eludere, ma incidere, con una delicata sensazione di collettività che deve farsi promotrice di senso e sensibilità, nella profondità scura delle menti.
‘Crocifissione vista da tergo’, cm 302x328x320, installazione. Materiali: carta pesta, legno, polistirolo, ferro, cartone, spago, spugna, stoffa, tele, fettuccia, filo di ferro, colori acrilici, altro. Data di ultimazione: febbraio 2006. Il primo rimando emozionale che si riceve è quello di percepire se stessi come intrusi dietro un palcoscenico, come agenti segreti che spiano qualche verità custodita dietro le quinte, poi, procedendo dall’altra parte nella platea, di trovarsi improvvisamente in mezzo a una piazza di qualche paese del sud mentre un carro siciliano avanza. Forse una processione. C’è un personaggio seduto che assiste stupito guardando diritto negli occhi lo spettatore, il terreno è nero con macchie distribuite di colore rosso, alcuni oggetti sparsi, una scatola con la dicitura ’si rispedisce al mittente’ ne scandiscono misteriosamente la superficie. Due fondali dipinti: a sinistra in rosso, a destra in blu-nero. Anche qui alcune scritte: ‘I ricchi muoiono, i poveri crepano’, e la frase di Woody Allen ‘ Dio è morto, Marx pure, e io non mi sento troppo bene’. Canali di lettura indotti, suggeriti. Quale teatro migliore per una siffatta sacrale rappresentazione.
Pippo Spinoccia fa scorrere la pittura come se fosse una compiacente visione cromatica pungente, esprime nel modo che più gli è consono le trasversali opinioni teatrali dove le voci sono un coro comune, fatto di palcoscenici diversi e ambigui, stendardi variopinti su un carrello da televisione, carri allegorici trasportati da un popolo che non esiste più ma che si intravede aleggiante nelle sue opere. Ne percepisci il brusio sommesso in un silenzio di pura contestazione o di puro dolore, intuisci il calpestio di una moltitudine di piedi che arrancano in salita, l’odore del miracoloso e del senso dell’esistenza pesante sulle spalle.
Collegare astute sintonie cromatiche per essere veicolo di possibili quanto inauditi cambiamenti epocali può provocare nuove filosofie strutturali dove l’arte non è solo esposizione vinta da un mercato stantio, con muffa visibile in superficie, ma chiede a gran voce cambiamenti e pensieri laterali oggi incrinati in alloggi popolari distrutti dal solo pensiero infossato in quei visi crepuscolari che non sostengono il peso del condannato.
Questi scavi nell’interiorità delle coscienze a cui l’opera di Pippo Spinoccia ci costringe sono forse direttamente collegabili alla bellezza e al dolore dei suoi colori così intensi, così facilmente trasmissibili, comprensibili, nonché alle sue figurazioni fermate-fissate nello spazio, non più riproducibili, emblemi di memorie passate che qui e ora si ha avuto il privilegio di sfogliare e di toccare con mano. Elementi statici, un’unità di tempo-luogo-azione per interrompere un tempo che scorre inesorabilmente e ci fa complici, a volte perplessi, di un destino comune. Ma questa unità di tempo-luogo-azione viene subito dopo frantumata dalle mille complessità e associazioni correlate per una dimensione universale e senza limiti, forza centrifuga che si espande senza fine.
Pippo Spinoccia è un testimone a tutto tondo della contemporaneità, con la sua dimensione naturale, con quella atmosfera sognante, possibile e irreale. E’ un ‘sesto potere’ portatore di civiltà che invade la piazza, non le tumultuose folle dagli scontri sanguinosi, ma unico e pregnante delegato uno stendardo che non può più cambiar colore ed è felice della propria unicità.
Il senso possibile dell’arte di Pippo Spinoccia è provocare la storia e ascoltare il suo grido.
09
maggio 2006
Pippo Spinoccia – Crocifissione vista da tergo
Dal 09 al 23 maggio 2006
arte contemporanea
Location
QUINTOCORTILE
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Milano, Viale Bligny, 42, (Milano)
Orario di apertura
martedì-venerdì ore 17,30-19,30
Vernissage
9 Maggio 2006, ore 18
Autore