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Giampiero Poggiali Berlinghieri
Opere multimediali e interattive
Comunicato stampa
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…..Erano lavori che aprivano un ciclo e in cui l’ottima precedente esperienza pittorica cercava altre storie, altri percorsi.
Poi con “Delfo” nel 1997 entra in scena anche un computer e appaiono elementi di una robotica self made, che non nasconde la sua origine da bric a brac e anzi sottolinea la sua estetica del riuso. Gli oggetti non muoiono, ma si trasformano. In questa concezione Poggiali attua uno spostamento della sua poetica inglobando anche, non solo uno strumento di lavoro e di scambio per eccellenza di questi tempi, il personal computer, ma anche operando sul versante del recupero e della conservazione. Infatti il paradosso è che la tecnologia fa presto a invecchiare. Ogni oggetto prodotto in serie rischia in pochi anni di scomparire, perde il suo fascino d’attualità e assume i contorni del vecchio e del desueto.
In effetti, da questo punto di vista i lavori di Poggiali vanno invece verso un’altra direzione perché rendono inattuale l’elemento mediatico e high tech. Creano una sorta di cortocircuito temporale. Non solo hanno l’aspetto giocoso di qualcosa che non può fare paura, ma nello stesso tempo inglobando una tecnologia elementare, si spostano nell’asse del tempo verso un momento di sospensione. Si veda per esempio “Pfaff” del 2002, vera e propria cattedrale tra vecchia (la macchina da cucire) e nuova tecnologia (il sensore a infrarossi). In effetti l’effetto Poggiali fa sì che il futuro, il mondo spogliato dall’umanità e popolato dalle sole macchine, diventi sempre di più il brutto sogno di un pessimista, che una realtà possibile. L’artista fiorentino nega con forza ogni orizzonte heideggeriano di una tecnica che tutto distrugge in nome di una mera funzionalità senza scopo altro. In pratica il gioco della techné annulla le distanze e rende familiare ciò che è unheimlich. Allora è chiaro che è l’istinto a prevalere sulla ragione e sui programmi anche perché di tecnologia si può vivere, senza bisogno di morire come essere umani.
Un messaggio come “No war” diventa assolutamente naturale nello scenario dell’oggetto artistico in cui è collocato e questo è un punto di forza del lavoro. La stessa forma ultima della croce, presente in molti lavori come “Autoritratto”, “Peretola Nord”, “Peretola Est” e “Crucification” possiede sempre la sua drammatica simbologia, ma diventa uno specchio barocco della realtà, una sorta di favola dell’esserci - ancora una volta Heidegger - in quanto ormai attraverso l’arte, l’oscurità della terra ha lasciato posto alla luce.
Poggiali offre un’arte ottimista, velata di preoccupazioni, ma aliena da ogni facile catastrofismo o da ogni innamoramento della tecnologia come riflesso di una contemporaneità che non sappia più evadere dal tempo. Alla fine è questa fuga temporale che prevale, come in ogni favola che si rispetti è l’altrove che conta, cioè il fatto che la raccontabilità della storia non dipenda da alcuna contingenza.
Fuori, fuori da tutto, ma nello stesso tempo proponendo un radicamento nella realtà attraverso la metafora dell’arte. In questo senso questi lavori multimediali e interattivi richiedono da parte di noi che guardiamo e “ascoltiamo”, una complicità forte e sincera, una disposizione a comprendere e sorridere che diventa una filosofia di partecipazione al gioco del mondo.
Valerio Dehò
Poi con “Delfo” nel 1997 entra in scena anche un computer e appaiono elementi di una robotica self made, che non nasconde la sua origine da bric a brac e anzi sottolinea la sua estetica del riuso. Gli oggetti non muoiono, ma si trasformano. In questa concezione Poggiali attua uno spostamento della sua poetica inglobando anche, non solo uno strumento di lavoro e di scambio per eccellenza di questi tempi, il personal computer, ma anche operando sul versante del recupero e della conservazione. Infatti il paradosso è che la tecnologia fa presto a invecchiare. Ogni oggetto prodotto in serie rischia in pochi anni di scomparire, perde il suo fascino d’attualità e assume i contorni del vecchio e del desueto.
In effetti, da questo punto di vista i lavori di Poggiali vanno invece verso un’altra direzione perché rendono inattuale l’elemento mediatico e high tech. Creano una sorta di cortocircuito temporale. Non solo hanno l’aspetto giocoso di qualcosa che non può fare paura, ma nello stesso tempo inglobando una tecnologia elementare, si spostano nell’asse del tempo verso un momento di sospensione. Si veda per esempio “Pfaff” del 2002, vera e propria cattedrale tra vecchia (la macchina da cucire) e nuova tecnologia (il sensore a infrarossi). In effetti l’effetto Poggiali fa sì che il futuro, il mondo spogliato dall’umanità e popolato dalle sole macchine, diventi sempre di più il brutto sogno di un pessimista, che una realtà possibile. L’artista fiorentino nega con forza ogni orizzonte heideggeriano di una tecnica che tutto distrugge in nome di una mera funzionalità senza scopo altro. In pratica il gioco della techné annulla le distanze e rende familiare ciò che è unheimlich. Allora è chiaro che è l’istinto a prevalere sulla ragione e sui programmi anche perché di tecnologia si può vivere, senza bisogno di morire come essere umani.
Un messaggio come “No war” diventa assolutamente naturale nello scenario dell’oggetto artistico in cui è collocato e questo è un punto di forza del lavoro. La stessa forma ultima della croce, presente in molti lavori come “Autoritratto”, “Peretola Nord”, “Peretola Est” e “Crucification” possiede sempre la sua drammatica simbologia, ma diventa uno specchio barocco della realtà, una sorta di favola dell’esserci - ancora una volta Heidegger - in quanto ormai attraverso l’arte, l’oscurità della terra ha lasciato posto alla luce.
Poggiali offre un’arte ottimista, velata di preoccupazioni, ma aliena da ogni facile catastrofismo o da ogni innamoramento della tecnologia come riflesso di una contemporaneità che non sappia più evadere dal tempo. Alla fine è questa fuga temporale che prevale, come in ogni favola che si rispetti è l’altrove che conta, cioè il fatto che la raccontabilità della storia non dipenda da alcuna contingenza.
Fuori, fuori da tutto, ma nello stesso tempo proponendo un radicamento nella realtà attraverso la metafora dell’arte. In questo senso questi lavori multimediali e interattivi richiedono da parte di noi che guardiamo e “ascoltiamo”, una complicità forte e sincera, una disposizione a comprendere e sorridere che diventa una filosofia di partecipazione al gioco del mondo.
Valerio Dehò
10
giugno 2006
Giampiero Poggiali Berlinghieri
Dal 10 giugno al 06 agosto 2006
arte contemporanea
Location
CASTELLO SCALIGERO
Malcesine, Via Castello, (Verona)
Malcesine, Via Castello, (Verona)
Biglietti
€ 5
Orario di apertura
10-13 e 15-18 – martedì chiuso
Vernissage
10 Giugno 2006, ore 11
Sito web
www.artestudio53.it/arte/
Editore
MORGANA
Autore