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Adolfina De Stefani – Un diavolo per cappello
La mostra è il primo appuntamento del ciclo Spazio Aperto 2006, in cui Vittoria Biasi, Maria Vinella, Anna Guillot e Lorenzo Mango propongono le loro riflessioni critiche intorno le linee di tendenza della contemporaneità
Comunicato stampa
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Per Adolfina De Stefani, l’occhio ‘altro’ da cui guardare il mondo e le sue contraddizioni, è il suo bianco, conquistato tra attraversamenti di corpi immersi nello spazio o piantati nella terra, rivelatori di illusioni sociali. Il bianco, la cui supremazia è riconosciuta presso tutte le culture, è il terreno più arduo per conciliare energie divergenti.
Non è più possibile parlare di monocromia, secondo i precedenti statuti. Le superfici bianche contemporanee recano il segno dell’impossibilità di collimare istanze e energie. I piani sono elaborati nel movimento e permettono l’ingresso all’ombra e allo sbarramento della luce.
Il percorso di Adolfina De Stefani si inserisce in questa storia silenziosa che, forse a nostra insaputa, si sta tracciando e che condurrà ad elaborare altri valori del bianco.
Questo bianco cerca la sua dimensione altra nel reale, nell’immersione tra la compagine umana.
Forse questo valore del bianco era già annunciato nella dichiarazione di poetica di Angelo Savelli quando scrive di “…un atto creativo mosso dal di dentro che sa tutto senza nullo sapere ma trasferisce al gesto del braccio tutto ciò che è necessario per dare il non finito…” distinguendo un concetto di spaziale reale e terreno dall’altro al di là del sublime.
Gli oggetti proposti da Adolfina De Stefani hanno rapporto con il corpo, sono parti di un abbigliamento che mutano l’approccio con l’esterno. I bianchi sono possibili protezioni, una seconda pelle se indossati, punto di confluenza del senso o del desiderio se visti oltre il rapporto con il proprio corpo.
Gli spilli, con le testine bianche, ricoprono il cappello creando una seconda visione del bianco, trascrizione di una condizione, un environnemt dinamico che coinvolge lo sguardo in un sottile gioco di relazioni spaziali e volumetriche. Un senso ironico racchiude il percorso dell’artista, che, ‘fissa’ i suoi disappunti con gesti elementari e rituali creando una rappresentazione altra instabile e mutevole. La delicata costruzione è una progettualità spinosa, pungente che riconduce a simbologie sacre e tormenti. Il percorso di pietre infuocate o di chiodi dei fachiri è il riferimento ironico consumato dal linguaggio dell’arte espressione di passaggi umani forzati, di disequilibrio sociale.
Non è più possibile parlare di monocromia, secondo i precedenti statuti. Le superfici bianche contemporanee recano il segno dell’impossibilità di collimare istanze e energie. I piani sono elaborati nel movimento e permettono l’ingresso all’ombra e allo sbarramento della luce.
Il percorso di Adolfina De Stefani si inserisce in questa storia silenziosa che, forse a nostra insaputa, si sta tracciando e che condurrà ad elaborare altri valori del bianco.
Questo bianco cerca la sua dimensione altra nel reale, nell’immersione tra la compagine umana.
Forse questo valore del bianco era già annunciato nella dichiarazione di poetica di Angelo Savelli quando scrive di “…un atto creativo mosso dal di dentro che sa tutto senza nullo sapere ma trasferisce al gesto del braccio tutto ciò che è necessario per dare il non finito…” distinguendo un concetto di spaziale reale e terreno dall’altro al di là del sublime.
Gli oggetti proposti da Adolfina De Stefani hanno rapporto con il corpo, sono parti di un abbigliamento che mutano l’approccio con l’esterno. I bianchi sono possibili protezioni, una seconda pelle se indossati, punto di confluenza del senso o del desiderio se visti oltre il rapporto con il proprio corpo.
Gli spilli, con le testine bianche, ricoprono il cappello creando una seconda visione del bianco, trascrizione di una condizione, un environnemt dinamico che coinvolge lo sguardo in un sottile gioco di relazioni spaziali e volumetriche. Un senso ironico racchiude il percorso dell’artista, che, ‘fissa’ i suoi disappunti con gesti elementari e rituali creando una rappresentazione altra instabile e mutevole. La delicata costruzione è una progettualità spinosa, pungente che riconduce a simbologie sacre e tormenti. Il percorso di pietre infuocate o di chiodi dei fachiri è il riferimento ironico consumato dal linguaggio dell’arte espressione di passaggi umani forzati, di disequilibrio sociale.
03
ottobre 2006
Adolfina De Stefani – Un diavolo per cappello
Dal 03 al 20 ottobre 2006
arte contemporanea
Location
STUDIO ARTE FUORI CENTRO
Roma, Via Ercole Bombelli, 22, (Roma)
Roma, Via Ercole Bombelli, 22, (Roma)
Orario di apertura
dal martedì al venerdì dalle 17 alle 20
Vernissage
3 Ottobre 2006, ore 18
Autore
Curatore