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Corrado Levi / Rosa Maria Rinaldi – Corpi d’Altrove e Denti dal Marocco
C’è qualcosa che accomuna le opere di Corrado Levi e di Rosamaria Rinaldi esposte in questa mostra: sono entrambe, come direbbe Saba, “cose leggere e vaganti”
Comunicato stampa
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C’è qualcosa che accomuna le opere di Corrado Levi e di Rosamaria Rinaldi esposte in questa mostra: sono entrambe, come direbbe Saba, “cose leggere e vaganti”.
Solo che, per la verità, si tratta di “cose” un po’ particolari.
Nel caso di Corrado, i minimi oggetti bianchi sparsi sulla tavola o sulla tela sono denti: denti veri, che in una civiltà di sapienza antica come il Marocco si possono comprare al mercato, ad uso curativo e protesico, se non magico. Trasferiti nello spazio mentale dell’opera, agiscono come segni misteriosi, come sassolini di Hansel e Gretel che scandiscono il percorso nel bosco dei desideri. Sono ready-made del museo della vita e ci dicono qualcosa di noi: del nostro corpo, portatore sano (sano?) di una violenza arcaica e insieme involucro vulnerabile, indifeso.
Guardateli da vicino: sono mezzi di aggressione, piccoli strumenti di sadismo quotidiano. Eppure raccontano anche una storia di ansie, di sconfitte. Se i denti, come ha spiegato Freud, sono uno dei simboli fallici più universali, la loro caduta esprime un sentimento di perdita, registra una ferita inferta dal potere del super-Io. Raccoglierli, allora, immetterli nello spazio inaspettato dell’arte, significa anche medicarli, dare nuovo respiro alla loro mite e crudele fragilità.
Una vicenda difforme, ma per nulla diversa, racconta Rosamaria. I suoi corpi non stanno mai in piedi. Volano, si librano, si tuffano, sono sbattuti qua e là come foglie, gettati in aria a manciate come coriandoli.
Non sono uomini: sono burattini metafisici, spaventapasseri in libera uscita, icone di un album di figurine onirico. Forse sono sigle dell’essere, marchi della vita, griffe esistenziali.
In ogni caso anche loro raccontano qualcosa di noi: di quanto sia falso il mito igienistico e trionfal-sportivo che ci seduce.
Questi atleti maldestri, disorientati, non destinati ad alcun podio, sono campioni del mondo di fallimenti. Come tutti noi. Per fortuna, a a consolarli e consolarci, interviene la carezza di un colore trasognato. Così il loro trofeo, la loro vera medaglia, è l’effusione dei rosa, degli aranci, dei bianchi, dei blu profondi che queste figurette respirano nei loro viaggi al termine della notte o dell’alba.
Tutte le opere dei due artisti, del resto, sono specchi del nostro io perché vengono dall’altrove. I corpi di Rosamaria ci giungono da quelli che Licini chiamava i cieli della fantasia. E così le reliquie e i semi di Corrado. Che vengono dal Marocco, ma da un Marocco che non si trova in nessun atlante, perché è il luogo del miraggio e del sogno.
Elena Pontiggia
Solo che, per la verità, si tratta di “cose” un po’ particolari.
Nel caso di Corrado, i minimi oggetti bianchi sparsi sulla tavola o sulla tela sono denti: denti veri, che in una civiltà di sapienza antica come il Marocco si possono comprare al mercato, ad uso curativo e protesico, se non magico. Trasferiti nello spazio mentale dell’opera, agiscono come segni misteriosi, come sassolini di Hansel e Gretel che scandiscono il percorso nel bosco dei desideri. Sono ready-made del museo della vita e ci dicono qualcosa di noi: del nostro corpo, portatore sano (sano?) di una violenza arcaica e insieme involucro vulnerabile, indifeso.
Guardateli da vicino: sono mezzi di aggressione, piccoli strumenti di sadismo quotidiano. Eppure raccontano anche una storia di ansie, di sconfitte. Se i denti, come ha spiegato Freud, sono uno dei simboli fallici più universali, la loro caduta esprime un sentimento di perdita, registra una ferita inferta dal potere del super-Io. Raccoglierli, allora, immetterli nello spazio inaspettato dell’arte, significa anche medicarli, dare nuovo respiro alla loro mite e crudele fragilità.
Una vicenda difforme, ma per nulla diversa, racconta Rosamaria. I suoi corpi non stanno mai in piedi. Volano, si librano, si tuffano, sono sbattuti qua e là come foglie, gettati in aria a manciate come coriandoli.
Non sono uomini: sono burattini metafisici, spaventapasseri in libera uscita, icone di un album di figurine onirico. Forse sono sigle dell’essere, marchi della vita, griffe esistenziali.
In ogni caso anche loro raccontano qualcosa di noi: di quanto sia falso il mito igienistico e trionfal-sportivo che ci seduce.
Questi atleti maldestri, disorientati, non destinati ad alcun podio, sono campioni del mondo di fallimenti. Come tutti noi. Per fortuna, a a consolarli e consolarci, interviene la carezza di un colore trasognato. Così il loro trofeo, la loro vera medaglia, è l’effusione dei rosa, degli aranci, dei bianchi, dei blu profondi che queste figurette respirano nei loro viaggi al termine della notte o dell’alba.
Tutte le opere dei due artisti, del resto, sono specchi del nostro io perché vengono dall’altrove. I corpi di Rosamaria ci giungono da quelli che Licini chiamava i cieli della fantasia. E così le reliquie e i semi di Corrado. Che vengono dal Marocco, ma da un Marocco che non si trova in nessun atlante, perché è il luogo del miraggio e del sogno.
Elena Pontiggia
19
ottobre 2006
Corrado Levi / Rosa Maria Rinaldi – Corpi d’Altrove e Denti dal Marocco
Dal 19 ottobre al 05 novembre 2006
arte contemporanea
Location
ERMANNO TEDESCHI GALLERY
Milano, Via Voghera, 14, (Milano)
Milano, Via Voghera, 14, (Milano)
Orario di apertura
da martedì a sabato dalle 11 alle 13 e dalle 15h30 alle 19h30 o su appuntamento
Vernissage
19 Ottobre 2006, ore 18.30
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