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Antonio Tamburro
Della pittura di Antonio Tamburro ci corrono incontro, nella rivisitazione di memorie, le antitesi di ombre e di luci, sciabolate di colore ridotte progressivamente a scontri di bianchi e di neri nei quali il contrasto si fa aggressivo e violento
Comunicato stampa
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CONFARTE (Commissione Culturale di Confartigianato Imprese Prato) torna col pittore Antonio Tamburo a presentare dal 14 ottobre (inaugurazione alle ore 17.30) una nuova mostra nei locali della Sede Provinciale (viale Montegrappa 138 – 59100 PRATO) di Confartigianato Imprese Prato.
“La pittura per me”, confessa l’Artista, “è sempre stata una forte e dirompente passione e fin da ragazzo avevo continuamente bisogno di esprimere con qualsiasi mezzo avevo a disposizione l'irrefrenabile voglia di creare, toccare, disegnare. Era quasi un esigenza vitale che dirompeva senza lasciarmi dormire la notte. Disegnavo e abbozzavo con matite, pastelli e tempere su ogni superficie possibile e immaginaria, perfino sulle lenzuola di casa e sui libri di scuola”
Antonio Tamburo è nato ad Isernia nel 1948. Dopo la Scuola d’Arte ha frequentato, a partire dal 1966, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, con il Maestro Franco Gentilini. Alle prese con i suoi ricordi l'artista racconta "l'inizio del mio percorso pittorico è stato molto duro, non avevo molte possibilità economiche e non potevo comprarmi a sufficienza i colori, tanto che fui costretto a farmeli da solo utilizzando le terre impastate con l'olio adoperato per la frittura. Chiaramente non era il massimo per un pittore, considerando che i quadri ci impiegavano mesi per asciugarsi. A proposito di questi impasti un amico, ancora oggi mi ricorda che un mio quadro ci impiegò 10 anni per asciugarsi del tutto. Mi ricordo che comprai alcuni libri d'arte, i primi numeri della collana dei Maestri del colore e mi sembrava di possedere chissà quale tesoro; addirittura me li mettevo sotto il cuscino, me li sfogliavo, me li guardavo continuamente". A Isernia comincia a sperimentare la pittura parietale, utilizzando il gessetto direttamente sulla parete e realizza alcuni affreschi monumentali in alcuni caffè e in un famoso locale di quel periodo chiamato “Casbah”. Nel 1968 collabora con lo scenografo Filippo Senerchia realizzando le parti pittoriche di molte sue scenografie, tra cui una delle più importanti al teatro Flavio Vespasiano di Rieti. Nel 1971 restaura le parti mancanti degli affreschi realizzati dal pittore Trivisonno, nella chiesa di S. Anna in Cantalupo del Sannio. Sempre nello stesso anno realizza la prima personale alla galleria il Carboncino di Campobasso e comincia a frequentare gli artisti emergenti di quegli anni.
Della pittura di Antonio Tamburro ci corrono incontro, nella rivisitazione di memorie, le antitesi di ombre e di luci, sciabolate di colore ridotte progressivamente a scontri di bianchi e di neri nei quali il contrasto si fa aggressivo e violento. "Come in certe visioni di città immaginarie o immaginate - aveva scritto Solmi - la materia sembra esplodere in un fragore di lucidi cristalli e il dipinto è fermato (...)": è ancora quella sensazione provocata dall'impatto, quel colpo improvviso che suborna l'occhio e subdolamente inganna la conoscenza globale di questa pittura e tende a restringerne l'area entro limiti di una figurazione dominata da emozioni assai forti e tuttavia di superficie. Ed è, questa, la strada ambigua lungo la quale l'incontro forma-colore, che qui consegue risultati eccellenti, rischia di sottrarsi alla considerazione critica per accentrare l'analisi sugli aspetti di una tecnica prevaricante; anche se questa è un fattore primario, e quindi di grande rilievo, in una pittura che in verità stimola trascendenze per incantesimi e si svolge sul metro di una poesia che ne ritma il tempo come per inni misteriosi, mitici.
Antonio Tamburro è il cantore degli "interni". Un canto, il suo, alato ma sofferto, tra una lucida introspezione e inquietudine del presente. Uno scavare dentro le coscienze e l'affiorare di sentimenti contrastanti e di un tempo - il nostro - che smemora tra il contingente e il futuro... Così il pianeta "donna" vive una lacerazione interiore, scandita sul pentagramma della quotidianità.
In ogni immagine - laddove la direttrice metaforica è congiunta con quella metonimica - è sottesa la tensione di uno stato d'animo che l'artista coglie, di volta in volta, con struggente partecipazione, nel manifestarsi della paura per il mondo esterno e nello scorrere inesorabile del tempo, oppure nelle prime "scoperte" adolescenziali , o, ancora, nel dato sensoriale. (NICOLA VENTAFRIDDA)
A mio modo di vedere è una pittura carica di silenzi e di nostalgie, con allusioni a quei giorni da tanto passati (dunque "felici", legati alla "poesia del ricordo") in cui era ancora possibile il "parlottare", il bisbiglio anziché l'urlo, e una persona si avvicinava all'altra sicura d'avere molte più probabilità di contatto che d'impatto. Ciò accade tuttora nei borghi e nelle borgate - dei cui suggestivi, solitari angoli Tamburro ci da visione, nella provincia, in tutte quelle periferie dove le idee semplici resistono e non divengono strame, l'intimità sopravvive non soffocata dai clamori, il ritmo dell'esistenza è pacato, a riparo da un clima di frenesie. (DINO PASQUALI)
Un brivido di luce: un brivido freddo e tagliente, che si infila tra l'immagine, la scompiglia ma nel contempo ce la rende ancor più netta. Una motocicletta? Un nudo di donna? Uno scorcio di periferia? Una spiaggia assolata? Magari un drappo appoggiato sul tavolo? La realtà scivola dentro il fantasma: si fa visionaria, punge come uno spillo dilatando quasi l'acutezza del nostro sguardo... Ma certo: tutto si frantuma e tutto si ricompone. E' soltanto uno scossone ai nostri luoghi comuni, uno strappo: appunto un brivido. Non è difficile descrivere la pittura di Antonio Tamburro. E' difficile invece sceverarne, al di là della frenesia gestuale dell'artista, oltre la sua sete di veder così intensa e persin lancinante, quelle che sono le sue matrici culturali. (PAOLO RIZZI)
Non è facile legare le immagini stupende espresse da Antonio Tamburro a episodi specifici di vita vissuta, come verrebbe voglia di fare trattandosi di immagini veristiche che una tecnica da sempre felice riesce a offrire anche all'osservatore più esigente.
La pittura di Tamburro si alimenta nel medesimo tempo di realtà e di immaginario per cui la scena che appare in un dipinto non è l'episodio ma un momento fugace del ricordo di cui esso fa parte che in effetti andrebbe ricostruito, volendolo, attraverso tutto un ciclo in cui si manifesta quel tema. Sarebbe tuttavia anche un impegno pleonastico. (TOMMASO PALOSCIA)
“La pittura per me”, confessa l’Artista, “è sempre stata una forte e dirompente passione e fin da ragazzo avevo continuamente bisogno di esprimere con qualsiasi mezzo avevo a disposizione l'irrefrenabile voglia di creare, toccare, disegnare. Era quasi un esigenza vitale che dirompeva senza lasciarmi dormire la notte. Disegnavo e abbozzavo con matite, pastelli e tempere su ogni superficie possibile e immaginaria, perfino sulle lenzuola di casa e sui libri di scuola”
Antonio Tamburo è nato ad Isernia nel 1948. Dopo la Scuola d’Arte ha frequentato, a partire dal 1966, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, con il Maestro Franco Gentilini. Alle prese con i suoi ricordi l'artista racconta "l'inizio del mio percorso pittorico è stato molto duro, non avevo molte possibilità economiche e non potevo comprarmi a sufficienza i colori, tanto che fui costretto a farmeli da solo utilizzando le terre impastate con l'olio adoperato per la frittura. Chiaramente non era il massimo per un pittore, considerando che i quadri ci impiegavano mesi per asciugarsi. A proposito di questi impasti un amico, ancora oggi mi ricorda che un mio quadro ci impiegò 10 anni per asciugarsi del tutto. Mi ricordo che comprai alcuni libri d'arte, i primi numeri della collana dei Maestri del colore e mi sembrava di possedere chissà quale tesoro; addirittura me li mettevo sotto il cuscino, me li sfogliavo, me li guardavo continuamente". A Isernia comincia a sperimentare la pittura parietale, utilizzando il gessetto direttamente sulla parete e realizza alcuni affreschi monumentali in alcuni caffè e in un famoso locale di quel periodo chiamato “Casbah”. Nel 1968 collabora con lo scenografo Filippo Senerchia realizzando le parti pittoriche di molte sue scenografie, tra cui una delle più importanti al teatro Flavio Vespasiano di Rieti. Nel 1971 restaura le parti mancanti degli affreschi realizzati dal pittore Trivisonno, nella chiesa di S. Anna in Cantalupo del Sannio. Sempre nello stesso anno realizza la prima personale alla galleria il Carboncino di Campobasso e comincia a frequentare gli artisti emergenti di quegli anni.
Della pittura di Antonio Tamburro ci corrono incontro, nella rivisitazione di memorie, le antitesi di ombre e di luci, sciabolate di colore ridotte progressivamente a scontri di bianchi e di neri nei quali il contrasto si fa aggressivo e violento. "Come in certe visioni di città immaginarie o immaginate - aveva scritto Solmi - la materia sembra esplodere in un fragore di lucidi cristalli e il dipinto è fermato (...)": è ancora quella sensazione provocata dall'impatto, quel colpo improvviso che suborna l'occhio e subdolamente inganna la conoscenza globale di questa pittura e tende a restringerne l'area entro limiti di una figurazione dominata da emozioni assai forti e tuttavia di superficie. Ed è, questa, la strada ambigua lungo la quale l'incontro forma-colore, che qui consegue risultati eccellenti, rischia di sottrarsi alla considerazione critica per accentrare l'analisi sugli aspetti di una tecnica prevaricante; anche se questa è un fattore primario, e quindi di grande rilievo, in una pittura che in verità stimola trascendenze per incantesimi e si svolge sul metro di una poesia che ne ritma il tempo come per inni misteriosi, mitici.
Antonio Tamburro è il cantore degli "interni". Un canto, il suo, alato ma sofferto, tra una lucida introspezione e inquietudine del presente. Uno scavare dentro le coscienze e l'affiorare di sentimenti contrastanti e di un tempo - il nostro - che smemora tra il contingente e il futuro... Così il pianeta "donna" vive una lacerazione interiore, scandita sul pentagramma della quotidianità.
In ogni immagine - laddove la direttrice metaforica è congiunta con quella metonimica - è sottesa la tensione di uno stato d'animo che l'artista coglie, di volta in volta, con struggente partecipazione, nel manifestarsi della paura per il mondo esterno e nello scorrere inesorabile del tempo, oppure nelle prime "scoperte" adolescenziali , o, ancora, nel dato sensoriale. (NICOLA VENTAFRIDDA)
A mio modo di vedere è una pittura carica di silenzi e di nostalgie, con allusioni a quei giorni da tanto passati (dunque "felici", legati alla "poesia del ricordo") in cui era ancora possibile il "parlottare", il bisbiglio anziché l'urlo, e una persona si avvicinava all'altra sicura d'avere molte più probabilità di contatto che d'impatto. Ciò accade tuttora nei borghi e nelle borgate - dei cui suggestivi, solitari angoli Tamburro ci da visione, nella provincia, in tutte quelle periferie dove le idee semplici resistono e non divengono strame, l'intimità sopravvive non soffocata dai clamori, il ritmo dell'esistenza è pacato, a riparo da un clima di frenesie. (DINO PASQUALI)
Un brivido di luce: un brivido freddo e tagliente, che si infila tra l'immagine, la scompiglia ma nel contempo ce la rende ancor più netta. Una motocicletta? Un nudo di donna? Uno scorcio di periferia? Una spiaggia assolata? Magari un drappo appoggiato sul tavolo? La realtà scivola dentro il fantasma: si fa visionaria, punge come uno spillo dilatando quasi l'acutezza del nostro sguardo... Ma certo: tutto si frantuma e tutto si ricompone. E' soltanto uno scossone ai nostri luoghi comuni, uno strappo: appunto un brivido. Non è difficile descrivere la pittura di Antonio Tamburro. E' difficile invece sceverarne, al di là della frenesia gestuale dell'artista, oltre la sua sete di veder così intensa e persin lancinante, quelle che sono le sue matrici culturali. (PAOLO RIZZI)
Non è facile legare le immagini stupende espresse da Antonio Tamburro a episodi specifici di vita vissuta, come verrebbe voglia di fare trattandosi di immagini veristiche che una tecnica da sempre felice riesce a offrire anche all'osservatore più esigente.
La pittura di Tamburro si alimenta nel medesimo tempo di realtà e di immaginario per cui la scena che appare in un dipinto non è l'episodio ma un momento fugace del ricordo di cui esso fa parte che in effetti andrebbe ricostruito, volendolo, attraverso tutto un ciclo in cui si manifesta quel tema. Sarebbe tuttavia anche un impegno pleonastico. (TOMMASO PALOSCIA)
14
ottobre 2006
Antonio Tamburro
Dal 14 ottobre al 15 dicembre 2006
arte contemporanea
Location
CONFARTIGIANATO
Prato, Viale Montegrappa, 138, (Prato)
Prato, Viale Montegrappa, 138, (Prato)
Orario di apertura
Dal lunedì al giovedì 8.30-13.00 14.30.18.00
Venerdì 8.30-13.00 (su richiesta apertura nel pomeriggio)
Vernissage
14 Ottobre 2006, ore 17.30
Autore