Mangiare-esser mangiati vuole esprimere l’inconfessabile godimento che accomuna quella

messa-in-opera della bocca che è il mangiare, l’incorporare l’esteriorità materica dell’altro al fare opera dell’arte, confondendosi in un unico identico gesto di recupero, di incorporazione, di un’alterità che fugge, di un resto fantasmatico in cui il desiderio prende corpo, nel cibo così come nell’opera d’arte.

Un gesto in cui ciò che sempre si riproduce come un resto inappropriabile e quel godimento che noi stessi siamo e che ci divora e che nell’essere mangiati, ci dice di noi, del nostro desiderio, ci dir-vora.

Carlo De Rita